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Editoriale /10 – L’iperrealityshow

Ieri abbiamo parlato dell’opportunità di mandare o meno in onda – al di là di una diretta, che è ovviamente fuori controllo – le immagini di un malore in televisione. La posizione del sottoscritto in merito la conoscete bene, ma mi piace riflettere con voi su una questione fondamentale: i tempi che cambiano.Dieci anni fa

3 Novembre 2008 09:40


Ieri abbiamo parlato dell’opportunità di mandare o meno in onda – al di là di una diretta, che è ovviamente fuori controllo – le immagini di un malore in televisione. La posizione del sottoscritto in merito la conoscete bene, ma mi piace riflettere con voi su una questione fondamentale: i tempi che cambiano.

Dieci anni fa – la cifra non è scelta a caso. Dieci anni fa non esistevano i reality show – probabilmente la scelta di non replicare dette immagini sarebbe stata quasi universalmente condivisa.

Ma, obiettivamente, sono cambiate la percezione, la morale e la televisione stessa. Mettere in mostra se stessi e le proprie abitudini senza inibizioni è diventata quasi una prassi, la nuova generazione di adolescenti, cresciuta con i reality show, è – perdonate la semplificazione, è doverosa per questioni di tempo e spazio: cercherò di non renderla banale – priva di certe inibizioni e certi tabù. E’ lecito mostrare tutto, essere protagonisti – sarà questo, per esempio, uno dei motivi del successo di Facebook. Parliamone, anche lì, perché no? -, ma soprattutto è lecito poter vedere tutto degli altri.

In questo senso, The Truman Show mi sembra un lavoro di quelli incredibilmente predittivi, precognitivi. E’ l’iperrealityshow. Ne più ne meno.

Sarà probabilmente insito nella natura stessa dell’essere umano, questo essere guardoni e impiccioni e morbosamente curiosi e pretendere di avere il diritto di vedere, di conoscere anche le cose più pruriginose, anche quelle che noi stessi non metteremmo mai in piazza, o che vorremmo esporre ma non ci riusciamo per pudore o inibizione o tabù.

La nostra maestra tv ci aiuta in questo, e così anche scelte relative a sensibilità personali vengono – giustamente, chi dice no? – contestate come se si fosse leso chissà quale diritto. Come se si fosse venuti meno a chissà quale dovere. Come se ci dimenticasse che – eccezion fatta per la diretta che può anche dover raccontare questioni naturali come la malattia o la morte – tutto il resto è filtrato, modificato e più finto di quanto non si vorrebbe.

Io, l’iperrealityshow non lo amo tanto. E dico viva la fiction, perlomeno quando è buona fiction.