Gli psicologi in tv: profetici come Alessandro Meluzzi o In Treatment come Paul Weston?
Ai reality fa male il dibattito parasociologico: titola così un articolo recentemente pubblicato da Roberto Levi su Il Giornale. Che, oltre all’ l’effetto boomerang della vittoria di Luxuria all’Isola, ha previsto una sorte analoga anche per La Talpa: “Ormai anche i reality hanno il loro post partita che prolunga il gioco oltre i suoi limiti…
Ai reality fa male il dibattito parasociologico: titola così un articolo recentemente pubblicato da Roberto Levi su Il Giornale. Che, oltre all’ l’effetto boomerang della vittoria di Luxuria all’Isola, ha previsto una sorte analoga anche per La Talpa:
“Ormai anche i reality hanno il loro post partita che prolunga il gioco oltre i suoi limiti… Per la vittoria di Karina si attendono ora altri parallelismi arditi e analisi altrettanto spinte sul crinale di un opinionismo permanente che non si ferma davanti a nulla e anzi avanza impavido, incurante di trasformare un semplice gioco in un concentrato di segni pregnanti. Magari adesso ci verranno a dire che la vittoria di Karina ha connotati e significati shakesperiani (fragilità, il tuo nome è femmina), che è il trionfo della vulnerabilità rispetto alla pragmatica spregiudicatezza di altri concorrenti, oppure verremo invitati a celebrare, in Karina, il successo di una donna che ha saputo sconfiggere innanzitutto le proprie debolezze. Mutando l’ordine dei fattori psicologici il risultato non cambia, l’importante è far debordare il reality oltra la sua dimensione ludica… che viene valicata ogni stagione per spirito di enfatizzazione utile a darle un simulacro di sostanza, una parvenza di peso specifico e un ulteriore rimbalzo mediatico”
Non gli si può dar torto, specie se a Cesare Lanza che definisce Karina un incrocio tra Dostojevski e Eduardo De Filippo si aggiunge lo psicologo che fa diagnosi in diretta tv. E’ accaduto quest’oggi – e molte altre domeniche – a Questa Domenica, dove Alessandro Meluzzi si è ritagliato un ruolo di perfetto opinionista vate dalle verità rivelate. Si è finalmente realizzato l’incontro tanto atteso, ovvero quello con la sua aspirante paziente Karina Cascella. Qualche settimana fa lui aveva smentito la fondatezza dei suoi attacchi di panico, ritenendo più appropriata per lei la sindrome da nevrosi isterica. Quest’oggi ha meglio motivato, appunto, la sua diagnosi:
“Quando dissi che lei non soffriva di attacchi di panico non intendevo negare il fatto che lei abbia di crisi di ansia. Dico solo che non si può dire che lei non è un attrice perfetta, perché non si può essere attori se non si è agitati da qualcosa che ti prende e che va oltre di te. Quello che distingue un vero attore da un finto attore è di essere animato da un daimon, da qualcosa che viene da dentro”.
Meluzzi ha tirato fuori persino il concetto filosofico di daimon per elevare con termini epistemologici un semplice personaggino trash partorito dal reality-rivelazione dell’anno. Ma il meglio arriva quando dice la sua sul professionista del sesso Franco Trentalance:
“Io la trovo un personaggio molto interessante. Trovo però una contraddizione grave. Il sesso di cui parla il Vangelo, quello che fa sedere anche Gesù a tavola con i peccatori e le prostitute, è diverso dal sesso che rischia di trasformare una persona non in un fine, ma in un mezzo. Capisco quello che dice. Capisco anche l’amore per la preghiera, perché anche i grandi mistici hanno avuto questa commistione tra eros, preghiera, amore dell’uomo e amore del dio. Poi i cristiani adorano un dio incarnato, quindi non hanno paura del corpo. Ma questo è un sesso commerciato, venduto e usato. Quando lei va a fare i film e ci sono ragazze che sono pagate 200 euro non sono persone che lo scelgono liberamente, anche se non sono coatte a farlo è un sesso che si compra e si vende”.
Pensieri condivisibilissimi, ben espressi e ricchi di significato. Meluzzi, se ci fate caso, ha sempre l’ultima parola in ogni programma che ha avuto l’onore di accoglierlo negli ultimi anni, dall’Italia sul Due all’Arena di Giletti passando anche per Pomeriggio Cinque. La tv, per il “Dottor M.”, è diventata un porto franco e dipende a sua volta dalla sua versatilità. Uno come lui lo inviti perché ti dà un’opinione sensata su tutto, dalla strage di Erba in cui rimarca il perdono evangelico da parte delle vittime, alla dipendenza maniacale dai videogame. Dunque lo psicologo nei salotti tv è il primo ad arrivare e l’ultimo a chiudere alla porta e, specie se psichiatra come il nostro Meluzzi, ti sa anche soccorrere all’occorrenza Andreotti in un malore in studio.
D’altro canto ci sono le serie tv in cui, a maggior ragione se il protagonista è uno psicologo, regnano l’incertezza e la crisi deontologica. Prendete In Treatment, nuova serie tv prodotta da HBO e già trasmessa in Italia su Cult. Protagonista, per l’appunto, è lo psicoterapeuta Paul Weston, che dal lunedì al giovedì ha un paziente diverso al giorno e ci consente di collegarci con il suo studio, come se assistessimo alle sue sedute via webcam. L’ambiente è pressoché statico, ovvero la stanza in cui riceve i pazienti, non c’è azione ma l’intera trama è dominata dalla dialettica nel rapporto tra paziente e analista. Un rapporto talmente travagliato che anche quest’ultimo ne esce malissimo ed è costretto, al venerdì, a farsi psicanalizzare a sua volta da una luminare andata in pensione.
Paul Weston è affascinante proprio per le sue debolezze, la sua discrezione, l’ostilità al profetismo spicciolo. E’ pronto a mettere in discussione se stesso, prima del paziente, dimostrando proprio per questo di essere un ottimo professionista. D’altro canto c’è Huff, psichiatra che ha fatto capolino un anno fa su Italia 1 nella tarda serata Medical ma di cui potremo non vedere mai la seconda stagione (nel senso che nessuno ne dà più notizia).
Huff, che si trova di fronte a casi delicati se non a veri e propri matti da legare, entra in crisi nel giorno in cui un ragazzo gay che non riesce a farsi accettare dai suoi genitori si spara nel suo studio. Da allora la sua vita va in pezzi e non riesce più a tenerla sotto controllo come ha sempre fatto, complice il dover convivere da sempre con un fratello affetto da problemi psichici che è stato abbandonato al suo destino dal resto della famiglia. Anche in questo caso il Dr. Huffstodt ha ben poco da sentenziare e la forza della serialità americana sta nell’indagare nella psiche dei presunti professionisti di essa, individuandovi dei lati oscuri e dei segni di fallibilità umana.
Come reagire, allora, all’abisso tra i rassicuranti psicologi dell’intrattenimento tv e quelli “in terapia” della finzione seriale? Magari sperando di vedere meno psicologia “dei massimi sistemi”, a sua volta “commercializzata” e dunque spicciola, nelle arene acchiappascolti.