Festival di Sanremo 2009 – Resurrezione, sopravvivenza e morte
Aggiornamento: Ho deciso di rispondere come note a margine di questo post a alcuni – la maggior parte se non tutti, credo, eccezion fatta per i soliti facinorosi – dei commenti che sono stati lasciati a questo post. Il motivo di queste note è, evidentemente, necessità di chiarezza. Ma anche piacere e sincero interesse per
Aggiornamento: Ho deciso di rispondere come note a margine di questo post a alcuni – la maggior parte se non tutti, credo, eccezion fatta per i soliti facinorosi – dei commenti che sono stati lasciati a questo post. Il motivo di queste note è, evidentemente, necessità di chiarezza. Ma anche piacere e sincero interesse per il confronto dialettico e di opinione. Prendo atto del fatto che il pubblico dei lettori è più o meno spaccato in due nel giudizio di questo festival. In coda al post troverete le note-risposta, che allungano ulteriormente il brodo ma che ritengo, a questo punto, doverose.
Ieri, il Festival di Sanremo è finito, è andato bene ma fra i tre finalisti ha vinto il meno peggio. Resuscitato come evento televisivo, vivacchia nella messa in scena e muore musicalmente.
Ora, quella qui sopra è la frase che riassume questo editoriale postsanremese. Se vorrete, potrete seguirmi nel ragionamento (lungo, lo ammetto) che la genera. Diversamente – come fin troppo spesso accade – potete fermarvi lì e scatenarvi per lo slogan. In fondo, si vive anche di slogan, e quanto segue non è che un lungo chiarimento.
La tv è il mezzo di intrattenimento più pop che esista. E il Festival di Sanremo dovrebbe essere la massima espressione pop della cultura televisiva e musicale italiana. Anche Hollywood e la sua notte degli Oscar, che si consumeranno fra poco, sono pop, per esempio. Il che stabilisce da subito una potente linea di demarcazione fra il pop nostrano e il pop estero.
Eppure, dal punto di vista dell’intrattenimento, Paolo Bonolis – onore al grande merito – ha fatto il suo dovere e ha riportato il Festival a quella parvenza di evento che dovrebbe essere. Perché Paolo Bonolis è pop, e sa come fare il suo mestiere. Sebbene ritengo – confortato dal parere di molti – che la messa in scena televisiva non sia stata spettacolare quanto avrebbe potuto e dovuto.
La spettacolarizzazione è fondamentale, nel pop. Il pop è anche un concetto estetico. E come tale, e com’è noto, ciò che è pop può facilmente sfociare nel trash.
Ma se togli la spettacolarizzazione al pop, gli togli l’anima. Lo fai sopravvivere, vivacchiare.
Pop – lo sapranno bene i nostri lettori – è contrazione di popular (accidentalmente, la contrazione funziona anche in italiano, rendendo tutto più semplice da capire). Il che non dà al termine una connotazione negativa (o positiva). Pop è semplicemente ciò che è popolare, di massa. I Beatles erano pop, i Queen erano pop, e ancora, Michael Jackson, Robbie Williams – cito a caso per rendere l’idea – Madonna sono pop.
Ciò che lascia interdetti è riflettere sul parallelismo che accomuna, inevitabilmente, il pop estero – e badate bene, il sottoscritto è tutto fuorché esterofilo – a quello nostrano.
Tanto per cominciare, il senso dello spettacolo, dell’entertainment che hanno altrove, in Inghilterra e negli States, su tutti – e non cominciamo a tirar fuori la questione dei soldi, per cortesia. Sto parlando di idee – sembra non appartenerci. O forse non appartenerci più.
E poi c’è la questione musicale.
E’ davvero possibile che la massima espressione della cultura pop del nostro paese proponga un terzetto di finalisti come Marco Carta (di matrice televisiva e mediatica), Povia (di matrice bigotta e paraculista. Invito tutti a ricordare il brano Ma tu sei scemo dello stesso Povia, e poi a tornare qui e dissertar sulla sua coerenza), Sal Da Vinci (di matrice melò gigidalessiana).
Carta è figlio del talent show Amici di Maria De Filippi. Le malelingue penseranno a una combine, vista la presenza defilippica ieri sera. Noi non siamo dietrologi.
Povia invita a non prendersi sul serio ma è evidente a tutti come si prenda sul serio e come cerchi, costantemente, di andare a toccare tematiche destinate a suscitar polemiche o pietismo.
Sal Da Vinci, con tutto il rispetto, non si sa da dove esca fuori, se non da un’amicizia con D’Alessio che ha smosso i televoti della Campania tutta.
Ora. a meno che non vogliate farmi credere che il terzetto di finalisti sanremesi fosse un terzetto di star (nel qual caso, non vogliatene ma mi costringerete a praticare l’arte dell’isolazionismo), se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui probabilmente converrete con me.
Sul fatto che, fra i tre, scelgo Carta. Che non ha voce, che ha un brano che non è niente – come niente erano gli altri due – se non banalità. Che non è sinonimo di pop.
Lo scelgo forzatamente, come nel gioco della torre: butto giù gli altri due e mi tengo il meno peggio. Anche se, francamente, sono stufo del vittimismo italico, del ridimensionamento italiota, del nostro paesello che – lo so, sembro Marco Masini. E forse a questo punto il suo testo è ancora più condivisibile – non riesce a scegliere star nemmeno nel pop, ma si accontenta del meno peggio.
E il meno peggio non è pop. Ma è trash.
Come è trash – sia ben chiaro – anche lo snobismo intellettuale di chi vota gli Afterhours per fargli vincere il premio della critica senza poter ammettere, semplicemente, che il loro live era penoso. Cosa che in un Festival dove si canta live è quantomeno curiosa.
Come è trash questo matrimonio RAI-Mediaset che ci condurrà non si sa dove e che ieri ha avuto la sua massima espressione. Non tanto nella presenza di Maria De Filippi sul palco – quello è intrattenimento pop – quanto nel passare il figlio di Amici alla vittoria all’Ariston. Quello somiglia molto al trash.
Tutto questo grazie a un mezzo, il televoto, che illude con la sua presunta democraticità. E risparmiatemi, vi prego, la fatica di dover spiegare perché il televoto sia solo fintamente democratico. E quindi, fintamente pop.
Ecco perché mi sento di dire, generosamente, che ieri, il Festival di Sanremo è finito, è andato bene ma fra i tre finalisti ha vinto il meno peggio. Resuscitato come evento televisivo, vivacchia nella messa in scena e muore musicalmente.
Note a margine in risposta a alcuni commenti dei lettori
(1) Cerchiamo di uscire da un enorme equivoco. Se si “critica” qualcosa in senso positivo non lo si fa perché c’è un interesse in merito. Se si “critica” qualcosa in senso negativo non lo si fa per “invidia”. Questo dovrebbe essere un assunto base con il quale leggere tutti i post.
Accolgo dunque con un sorriso – e con sincero dispiacere allo stesso tempo – tutti coloro che accusano di partigianeria e/o rodimento solo quando non si trovano d’accordo con quanto scritto.
(2) Questione Afterhours. Mi piacciono globalmente. Non mi è piaciuta l’esibizione. L’ascolto – con calma – del brano registrato in studio è altra cosa. Ritengo che l’esibizione live, tuttavia, nell’ambito di una manifestazione come il Festival di Sanremo sia fondamentale. Il Paese è reale, anche nella versione da studio, non mi sembra una delle loro migliori canzoni.
(3) Sal Da Vinci. Ovviamente, sulla questione Campania ho generalizzato, e me ne scuso. Obiettivamente, si converrà che era “popolarmente” (pop) sconosciuto al grande pubblico rispetto alla stragrande maggioranza degli altri big in gara. Quanto all’informarsi, è naturale che io abbia letto le biografie ma non posso tracciare una biografia di chiunque 🙂
(4) Questione Marco Carta. Non lo si massacra aprioristicamente – sarebbe stupido – e non mi pare che lo si sia massacrato gratuitamente. Francamente, non mi pare di averlo nemmeno massacrato. Non più di quanto si siano massacrati gli Afterhours di cui sopra, per la qualità del live. La canzone è, evidentemente, in linea con il gusto di un certo tipo di pubblico: quello che televota. Che, come detto, non è detto sia la maggioranza degli italiani. Ma questo è il regolamento, quindi onore al vincitore.
Ciò non toglie che sia acerbo, poco paragonabile a big del pop, e che – a mio personalissimo avviso – il brano avesse ben poco di interessante. Il meno peggio fra i tre finalisti, sempre secondo la mia opinione.
(5) Chi avrei voluto sul podio. Trovo molto interessante la canzone di Francesco Renga, per quanto mi renda conto che sia “difficile”. All’ascolto dei brani “da studio” risultano molto interessanti anche la canzone di Tricarico e quella degli Afterhours – come vedete non ho molta difficoltà a giustificare le mie posizioni. Non mi dispiaceva affatto la canzone di Alexia. Opinioni e gusti, ovviamente.
(6) Gusti. Dei gusti non si discute. E proprio perché non se ne discute, è giusto discuterne, altrimenti non si può parlare di nulla e potremmo starcene tutti a casa.
(7) Sulle nuove proposte e i big che le hanno accompagnate ho già detto bene. Del resto, ho detto bene di quasi tutto il festival. Dedicherò, viste le richieste, un post specifico alle stesse.
(8) Una dedica al commentatore che si firma Felix’: la pregiudizialità, grazie al cielo, non fa parte del mio modo di argomentare. Mi pare anzi di cercare sempre, costantemente – e questa lunga serie di note credo lo dimostri – di giustificare il mio pensiero. Cosa che non è facile, con gli spazi e i tempi di un blog.
(9) Il commento di Laura Pausini alla vittoria mi pare poco interessante, non fosse altro perché Laura è direttamente interessata al progetto di Marco Carta, e non potrebbe certo dirne male. Il sottoscritto, per esempio, non ha alcun legame, né affettivo né personale con chicchessia. Ha – forse questo non è chiaro – un enorme amore per l’evento Festival di Sanremo.
(10) Morto musicalmente. Nonostante le vendite. Questo è il mio pensiero. Non credo alle vendite, non credo all’auditel come parametro qualitativo ma solo come parametro quantitativo. Posso sbagliare, ma è il mio – personale – modo di vedere le cose.
(11) Il paragone Carta-Ramazzotti. Ramazzotti vinse il festival nel 1986 con “Adesso tu”. La ricordo come se fosse stata cantata ieri. Vorrei citare, a guisa di confronto, alcuni brani del testo di “Adesso tu” e alcuni del testo di “La forza mia”, ma temo sarei accusato di selezionare a caso. Quindi, a costo di eccedere nella lunghezza, proporrò i testi di entrambe le canzoni. Se non altro per il testo, mi si concederà che il paragone è quantomeno azzardato. Non entro in altri meriti.
Adesso tu
Nato ai bordi di periferia dove i tram non vanno avanti più dove l’aria è popolare è più facile sognare
che guardare in faccia la realtà quanta gente giovane va via a cercare più di quel che ha forse perché i pugni presi
a nessuno li ha mai resi e dentro fanno male ancor di più
ed ho imparato che nella vita nessuno mai ci da di più ma quanto fiato quanta salita
andare avanti senza voltarsi mai e ci sei adesso tu
a dare un senso ai giorni miei va tutto bene dal momento che ci sei adesso tu
ma non dimentico tutti gli amici miei che sono ancora là
e ci si trova sempre più soli a questa età non sai…non sai ma quante corse ma quanti voli
andare avanti senz’arrivare mai e ci sei adesso tu
al centro dei pensieri miei la parte interna dei respiri tu sarai
la volontà che non si limita tu che per me sei già
una rivincita adesso sai chi è quell’uomo che c’è in me
nato ai bordi di periferia dove non ci torno quasi più resta il vento che ho lasciato
come un treno già passato oggi che mi sei accanto oggi che si sei soltanto
oggi che ci sei adesso tu
La forza mia
Aprire gli occhi e ritrovarti qui
E’ come aprire una finestra al sole
E’ l’emozione del salto nel vuoto che mi porta da te
Aprire gli occhi e ritrovarti qui
E’ risvegliarsi mani nelle mani
E’ un bacio ad acqua salata che ancora più sete di te mi da
Quando tutto sembrava ormai spento
Nel mio mondo cercavo te
Quando tutto sembrava finito guardando il fondo
Invece ho sentito che
Tu sarai la forza mia
La mia strada il mio domani
Il mio sole la pioggia
Il fuoco e l’acqua dove io mi tufferò
Tu sarai la forza mia
Il mio gancio in mezzo al cielo
Il colpo al cuore
All’improvviso dentro me
Dentro me
Aprire gli occhi e ritrovarti qui
Lasciarsi andare sotto il temporale
Sentire come mi manca il respiro
Se i tuoi occhi accendono i miei
Quando tutto sembrava ormai spento
Nel mio mondo volevo te
Quando tutto sembrava sbiadito
Toccando il fondo invece ho sentito che
Tu sarai la forza mia
La mia strada il mio domani
Il mio sole e la pioggia
Il fuoco e la goccia dove io mi tufferò
Tu sarai la forza mia
Il mio gancio in mezzo al cielo
Il colpo al cuore
Il paradiso dentro me
Il mio gancio in mezzo al cielo
Il colpo al cuore
Il paradiso dentro me
Dentro me
Tu sarai la forza mia
Tu sarai la forza mia
Tu sarai la forza mia
Tu sarai la forza mia dentro me
Dentro me
(12) Povia. Il fatto che sia strutturalmente identica – ma contenutisticamente aberrante, dal mio punto di vista – alla canzone di Cristicchi non è un punto di merito. Il motivo per cui la considero aberrante è che la trovo generalizzante e autocompiaciuta, figlia di un’analisi sociologica semplicistica e poco interessante. Mi direte che racconta una storia. Bene. Vi invito a ascoltare Faber: lui, sempre secondo il modo di vedere del sottoscritto, raccontava storie.
(13) Slogan. Il motivo dello slogan era una questione di semplificazione, poi ben sviscerata, credo, considerato il fatto che spesso i commentatori di TvBlog non leggono i post fino alla fine. Per esempio, questo non era un post contro Marco Carta.
E, pensa, Chihuahua, “Il Festival è finito” non era un giudizio. Era una constatazione, nel senso che ieri il Festival di sanremo 2009 è finito… 🙂
(14) Critica e atteggiamento. Non trovo la mia critica totalizzante e sperticata. Del resto, ho speso anche parole entusiastiche su svariate scelte e situazioni del Festival e ritengo di aver espresso una critica intellettualmente onesta e scevra da pregiudizi. Naturalmente, questo è quel che penso di aver fatto: lo sottoscriverei altre 100 volte in toto, senza vergognarmi di una sola virgola.
(15) Accontentarsi. Quel che più mi spaventa è una generalizzata tendenza all’accontentarsi, e conseguentemente al ribasso. La vedo in giro e la noto al Festival, almeno secondo la mia attitudine alla vita e all’intrattenimento. Accontentarmi non mi piace.