Tetris, quando l’uomo della strada è più incisivo della stampa
Tetris in prima serata ha sfondato una porta aperta, toccando quell’annoso problema della distanza incolmabile tra istituzioni e cittadini. Lo ha fatto, probabilmente, con quel pizzico di ingenuità propositiva, dicasi ‘mito del dovere di cronaca’ su cui aleggia invece lo spettro del populismo. Un populismo talmente sterile e improduttivo da essere stigmatizzato persino da un
Tetris in prima serata ha sfondato una porta aperta, toccando quell’annoso problema della distanza incolmabile tra istituzioni e cittadini. Lo ha fatto, probabilmente, con quel pizzico di ingenuità propositiva, dicasi ‘mito del dovere di cronaca’ su cui aleggia invece lo spettro del populismo. Un populismo talmente sterile e improduttivo da essere stigmatizzato persino da un rappresentante del popolo, chiamato in studio come novità di questa edizione, a rappresentare l’uomo della strada. In pratica si è trattato di un attacco senza filtri al programma, che pure gli ha dato coraggiosamente voce, durante i titoli di coda:
“Io penso che non siano emersi i problemi dei lavoratori, delle persone in carne e ossa. Potrebbe essere un tema per un’altra puntata. Abbiamo raccontato la differenza e la disperazione, ma abbiamo registrato una solitudine dei tanti numeri che non contano in questo Paese in questo momento”.
Questa è la chiosa della prima puntata in prima serata di Tetris ed è da qui che vogliamo partire. Il tema, brillantemente illustrato dalla copertina cinematografica in stile Twilight, doveva essere quello della solitudine della classe dirigente, alla luce della crisi economica che imperversa in questa congiuntura storica e del recente fenomeno dei sequestri dei manager. A intervenire sono due tra i più noti imprenditori italiani, Franco Tatò e Chicco Testa, Linda Lanzillotta del Pd e Annagrazia Calabria del Pdl, Francesco Storace leader de “La Destra” e Claudio Fava leader di “Sinistra democratica”. A partecipare al dibattito è anche Paolo Guzzanti, nell’inedita veste di editore di riferimento.
E’ tutto un gioco di ruoli e di parodie a partire dalla formula del talent-talk che, come ricordato da un finto timido Luca Telese, è solo un pretesto di questa edizione in grande spolvero su La7. Una versione allungata e in collocazione privilegiata potrebbe, però, non far bene a un marchio che ha sempre vissuto di dinamismo e di ritmo, mentre ora si ritrova a sbrodolare un tema fondamentalmente “stantio”, con uno strapotere della dialettica che tende alla verbosità.
La giuria di qualità, su cui spiccano la giornalista di Omnibus Luisella Costamagna e Sergio Rizzo, ormai “quello della Casta”, non dà un valore critico aggiunto e brancola nel buio dinanzi alla retorica del merito che soccombe dinanzi alle altre variabili del successo.
Con l’auspicio che vengano trattati temi meno castrati dalla mancanza di vie d’uscita della politica italiana, non resta che ammetterlo: due ore e mezza di politikshow, salvo qualche intermezzo multimediale alternativo, sono decisamente troppe per celebrare il funerale dell’italiano medio. Chi resisterebbe così a lungo, prima di vedersi sbattuto in faccia che non conta nulla in questo Paese?
Telese, però, già pregusta l’argomento della prossima puntata: il rapporto tra politica e tv. Già immaginiamo il patinato che avanza e una linea editoriale più vicina al glamour di Niente da Personale e meno competitiva con il linguaggio più incisivo di Exit. Tutto sta a capire dove vorrà andare a parare questo Tetris diventato grande tutto a un tratto. Quasi quasi lo preferivamo quando aveva meno pretese risolutive.