Paolo Taggi ci dà lezioni di tv/3: “I ballerini gay non sono pronti al coming out nei talent. La famiglia in tv? Ha anticipato i reality”
Pubblichiamo oggi, anziché ieri – giornata di anteprime -, l’ultimo appuntamento con le lezioni di Paolo Taggi su TvBlog (la foto a sinistra è tratta da una sua lezione in carne e ossa alla Scuola di Televisione di Cesare Lanza). In questo incontro conclusivo faremo un tuffo nella tv di intrattenimento degli anni ’90, cogliendo
Pubblichiamo oggi, anziché ieri – giornata di anteprime -, l’ultimo appuntamento con le lezioni di Paolo Taggi su TvBlog (la foto a sinistra è tratta da una sua lezione in carne e ossa alla Scuola di Televisione di Cesare Lanza). In questo incontro conclusivo faremo un tuffo nella tv di intrattenimento degli anni ’90, cogliendo i primi elementi anticipatori della nuova era dei reality. Poi il nostro autore di riferimento dirà la sua sul problema della crisi della famiglia in tv, oggetto del suo attuale impegno in Vuoi ballare con me?. E dulcis in fundo dispenserà qualche piccolo consiglio agli aspiranti addetti ai lavori di TvBlog, a partire dal suo ultimo libro La scatola dei format.
La famiglia è una brutta gatta da pelare in tv, oggetto di pregiudizi, sempre più sinonimo di buonismo. La sensazione è che sia in crisi sul piccolo schermo come a livello istituzionale, dalle critiche sociologiche mosse a La Sposa Perfetta al flop degli Orlando al Grande Fratello 8, passando per l’eliminazione delle lettere dei familiari da Amici… Che ne pensi?
“Io trovo che la famiglia sia un tessuto di relazioni complesso. Sullo sfondo solitamente c’è la famiglia, ma in primo piano una relazione a due, che è la base di tutte le relazioni drammaturgiche. Forse un programma che racconta la famiglia da anni, di successo e bene, è Chi l’ha visto? e in America è molto più puntato sulla ricerca reale di chi è scomparso che in Italia. Anche nei game è difficile quest’operazione di racconto, basti pensare ad Affari tuoi – programma che io considero perfetto da un punto di vista drammaturgico – dove la famiglia si limita a un consiglio, un contorno”.
Tagliamo la testa al toro. Anche su Sky non vedremo mai sdoganato un coming out nel mondo della danza? I talent show sono ancora molto “imbarazzati” dall’argomento, nel caso di genitori e figli gay a confronto avrebbe fatto ancora più notizia…
“Diciamo che a tal proposito lasciamo intravedere qualcosa di soft, in modo tale che chi vuole lo coglie. All’interno delle nostre dinamiche, nelle famiglie con figli maschi ci sono atteggiamenti diversi rispetto alla sessualità del figlio: qualche mamma è più pronta ad accettarlo, qualcun’altra meno. Secondo me la tv satellitare sarebbe pronta a sdoganare il tema, ma non lo sono i protagonisti, e in questo caso il nostro non è buonismo nel tirarci indietro, ma è rispetto dei loro tempi e del rapporto fiduciario instaurato con loro. O ne parli veramente in una trasmissione lunga, oppure è una cosa che lasci un po’ intuire rispetto che dirla, anche perché non credo che la stessa Lorella sarebbe il personaggio giusto per andare a fondo in questo. Quando nel confessionale ci sono stati momenti di apertura, poi i ragazzi stessi hanno detto che è stato un momento di debolezza. Che motivo c’è di infierire? Magari tieni qualcosa di più universalizzabile come la figlia che insulta un genitore, perché può succedere in tutte le famiglie perbene che il figlio si ribelli e che il genitore dica, com’è possibile, non lo conosco. Nel caso di Vuoi ballare con me?, le nostre famiglie vivono della loro simpatia di maschera, più che per la possibilità di raccontare una storia e per i loro vissuti interiori. Se li ripeti diventano ridondanti, per questo è meglio lasciarli sullo sfondo, anche perché i nostri eliminati escono e li finiscono, hanno più un pubblico di transito che di fedeltà”.
Quindi ritieni anche tu, come più d’uno ha notato, che Vuoi ballare con me fosse più indicato per la tv in chiaro?
“Di certo la generalista, con temi forti come genitori e figli, ci avrebbe consentito di raggiungere un pubblico largo con una permanenza maggiore e un grosso indotto intorno. Personalmente, l’impressione che ci vuole un tempo per raccontare la famiglia in tv ce l’ho da tempo…”.
Momento amarcord in arrivo? I lettori apprezzeranno…
“Era il 1998. Lavoravo a Va dove ti porta il cuore, ovvero uno spin-off de La casa dei sogni datato 1996. In entrambi i casi conduceva Milly Carlucci, ma nel secondo programma, non potendo più regalare una casa, abbiamo fatto altri interventi. Già allora chiesi di darmi 10 minuti al giorno per far vedere la vita di quelle famiglie che gareggiavano in onda. Prima ancora che arrivasse il Grande Fratello, capii che un tentativo per raccontare meglio quelle famiglie sarebbe stato incrociandole in una location, facendole vivere in ville riprese dalle telecamere, in modo tale che il pubblico le avrebbe conosciute già da prima che arrivassero in studio”.
Qualche altro aneddoto curioso sul tuo curriculum, che spazia da Al posto tuo a Un pugno di libri, passando per il Grande Talk di cui sei lo storico ideatore?
“Posso raccontarti di quando facevo Complotto di famiglia con Castagna. Mi chiesero di perdere pubblico, dicendomi su quale pubblico dovevamo perdere pubblico. Andavamo contro Non è la Rai che in quel momento andava male. Il monito era: perdiamo un po’ di giovani, perché noi eravamo sopra la garanzia. E’ la cosa più difficile del mondo, non guadagnare pubblico ma perderlo. Ci domandammo: come facciamo a perdere solo giovani?”
A proposito di giovani, tu ti confronterai di certo con tanti creativi in erba, che si nascondono dietro i tuoi studenti o gli stagisti di un tuo programma. Che opinione hai di loro?
“Un’ottima opinione. Questo lavoro, tante ore al giorno, lo fai solo coi giovani, specialmente da quando sono arrivati i reality che parlano il loro linguaggio. Alla Talpa di quest’anno erano quasi tutti autori esordienti e io ne sono stato contento. Anche gli autori di Vuoi ballare sono quasi tutti giovani”.
Trovi che si impari più sui banchi di scuola o dietro le quinte?
“Posso incominciare a risponderti partendo dalla mia esperienza personale. Innanzitutto sono laureato in geografia umana alla Statale di Milano, l’argomento era lo sviluppo delle città. Dunque lettere e non scienze della comunicazione, che ai miei tempi non c’era. Ho studiato metodologia della ricerca sociologica, storia contemporanea, in rapporto alle radio e alle tv locali. Dopo sono passato a semiologia alla Cattolica. Quando stavo a Novara mi chiedevo dove vado a imparare? Come si fanno i programmi? Ho visto fare teatro nella tv svizzera. Poi sono nate le tv locali, cercavano qualcuno che facesse vedere come funzionavano i banchi di regia gratis e ho cominciato così. Si impara un po’ dappertutto, non è detto nelle sedi canoniche: l’importante è che ci sia un ciclo produttivo completo. Il problema vero, oggi, è fare stages dove ti fossilizzano su qualcosa di particolare, a quel punto credo che la formazione serva. Rispetto a quindici anni fa, in cui ho cominciato a fare libri sulla tv e non sul cinema, mi dicevano che ero presuntuoso perché la tv la si fa accendendo le telecamere. Oggi c’è molta più attenzione alla scientificità del prodotto televisivo”.
Quindi studiare è importante anche per chi vuole fare questo mestiere?
“La teoria ti dà una consapevolezza diversa, non lo dico per vendere un libro in più. Se leggi solo i libri non ti serve a niente, ma se tu vai su un set e vedi fare delle scelte capisci perché sono state fatte. All’estero la teoria della televisione è molto più avanti che da noi. Ad esempio il mio nuovo libro, La scatola dei format, è stato tradotto in arabo e in inglese, è un metodo internazionalizzabile”.
Ho letto che vi è abbinato un kit di 100 carte, con l’ambizione di una formula da cui ricavare tutti i format del mondo…
“Ci sono cento carte, che combinate in tutte le maniere possibili danno origine a tutti i format del mondo. E’ una scommessa che lancio a tutti, come soddisfatti e rimborsati. Se con queste 100 carte che vi do e altre 100 che vi suggerisco voi mi dimostrate che c’è un format di successo fuori da quelle 200, avete vinto voi. Io sono convinto che in quelle 100 carte che propongo ci sono tutti i segreti per comporre qualsiasi format esistente, a meno che tu non voglia partire dal nulla, altrimenti ricomponi l’esistente mischiando le carte. Sfili qualche carta, provi a vedere cosa succede cambiandola”.
Come fa un giovane senza esperienza a inventare un format e proporlo?
“Per inventare la catena narrativa di un nuovo programma non ci vuole esperienza, la può inventare chiunque. Ci vogliono le persone giuste che danno luogo a una cosa interessante. Pensa alla matrice di Stranamore, mittente destinatario risposta, non c’era bisogno della televisione per inventarselo. Quando la devi vestire subentrano altre cose. Se venisse da me uno con una catena narrativa geniale, bellissima, lo prenderei come autore, così che impari il resto, ma intanto gli comprerei di corsa l’idea”.
Tu hai un nuovo format da proporre nel prossimo futuro?
“Sì, ce n’è uno che mi piace molto e che ho scritto con Nicoletti, posso parlarne perché lo anticipo anche nel nuovo libro. Abbiamo avviato una trattativa con Fox America. Si chiama il Re del Mondo e funziona così: ci sono sei grandi vecchi, persone famosissime, che scelgono sei giovani in cui si reincarnano. Li guidano a realizzarsi nella vita stando nascosti in campi diversi: potrebbe esserci un politico, un discografico, un artista, uno stilista. E’ un meccanismo para-reality, questi giovani rivivono la vita che un altro gli sta insegnando, all’ultima puntata scopri le sei anime che li hanno guidati. Altri meccanismi prevedono che l’anima possa liquidare il suo protetto perché il giovane non è all’altezza, o che un giovane possa ribellarsi alla sua anima. Ci sono elementi di mistero, altri di segretezza come nella Talpa ma in chiave nuova, c’è anche la raccomandazione se vuoi, c’è il patto di Faust per cui io rivivo in te e non faccio gli errori che ho fatto. Pensa se dietro al consigliere comunale che si presenta alle elezioni ci fosse un Andreotti, che si diverte a ricreare il suo nuovo io. E’ un reality dentro il quale ci stanno le risposte ai problemi del reality. In questo caso hai una scaletta senza eliminazione classica, molto più modulare. Insomma, credo sia maturo il tempo per un reality etico e su questo presto ci saranno notizie”.
Staremo a vedere. Grazie per queste perle di saggezza televisiva.
Luciano Traversa