Gf City, tutta la (torbida) verità di una giornalista-insider. Gianluca Zito: “Io ex gieffino? Sono una putt…”.
Vanity Fair non riesce mai a passare inosservato, quando si tratta di inchieste sulla tv. Ovviando a tutti i cerimoniali del caso, la giornalista Enrica Brocardo regala una sferzante retrospettativa su Grande Fratello City, il carrozzone itinerante che sta trasformando il papà dei reality italiani in un brand multiuso. La chiamano la versione light del
Vanity Fair non riesce mai a passare inosservato, quando si tratta di inchieste sulla tv. Ovviando a tutti i cerimoniali del caso, la giornalista Enrica Brocardo regala una sferzante retrospettativa su Grande Fratello City, il carrozzone itinerante che sta trasformando il papà dei reality italiani in un brand multiuso. La chiamano la versione light del Gf vero, quello che quest’anno raccoglie la sfida di due periodi di garanzia da portare a casa in una programmazione ridotta all’osso dalla crisi.
La giornalista si è “intrufolata” nella casa-acquario mignon, un piccolo prototipo della più celebre Casa televisiva, minimalista al massimo: un tavolo, sei sedie, una per ogni concorrente, due divani dove accostarsi per ascoltare le nomination e altre comunicazioni rivolte da tre autori Mediaset, non del Gf:
“La chiamano brand extension, estensione del marchio. L’obiettivo è guadagnare e l’esperimento è già in attivo con quanto si è raccolto dagli sponsor. Anche per gli sponsor, il guadagno, di immagine e non di soldi, avrebbe sempre a che fare con l’extension. Se sono una merendina, partecipo nel tentativo di far estendere verso di me non più solo le mani delle mamme che mi afferrano al supermercato, ma pure quelle dei ventitrenni al bar”.
Per essere tra i prescelti bisogna prima passare un casting, ovvero una breve intervista davanti alla telecamera, oppure una prova. L’hanno chiamata ‘disposti a tutto’: sali sul palco e fai una decina di secondi di conduzione, ballo, canto, altro. Chi sono i sei che entrano ogni giorno lo decidono gli autori, mentre l’ultimo che rimane nella casa lo decidono i concorrenti con le nomination (in stile Unan1mous), ma in caso di parità di nuovo gli autori:
“Per gli aspiranti concorrenti del Gf televisivo, entrare nella casa live significa di meno e di più che passare le selezioni ufficiali. Il regolamento prevede che solo il vincitore di tappa, ovvero chi verrà scelto fra tutti i vincitori di giornata, andrà ai provini finali di Roma. Il pubblico, a differenza di quanto dichiarato dalla cartella stampa, non vota perché non sapevano come fare, il sistema dell’applausometro non avrebbe funzionato. E non si vota neppure su Internet, per difficoltà tecniche. Per quanto mi riguarda salto le selezioni, mento (riguardo la professione e poco altro) sulla scheda biografica, firmo una liberatoria che non leggo ma con la quale, mi dicono poi, ho ceduto ad Endemol più di quanto Faust abbia subappaltato a Satana, e faccio il mio ingresso”.
E a questo punto la giornalista si imbatte fuori dalla casa in Gianluca Zito, che le dice:
“Questo cd me lo ha dato una fan che ha creato un forum su di me. Ci sono foto, qui dentro, che neppure io ricordo di aver mai fatto”.
Gianluca rivela di non essere pagato perché la sua partecipazione all’evento rientra tra gli impegni che si è assunto firmando il contratto con il Gf. Per le serate a pagamento ci pensa l’agente Lele Mora che lo ha “comprato” da Endemol:
“Io sono un prodotto, mi spiega, e per chiarire ulteriormente si autodefinisce con una parola che inizia per ‘p’ e finisce per ‘a’ e che gli ho promesso di non scrivere. Produci , fatti consumare e muori. Di passivo però c’è solo il modo del verbo. Perché per trovare il modo di farsi consumare come Gianluca occorre essere freneticamente attivi. Nella casa light, infatti, si va di corsa. Sesso e insaponamenti esclusi, bisogna concentrare in poche ore quello che in Tv accade nell’arco di mesi. Ci danno un tema di discussione, il tradimento, un rebus da risolvere. Tutto sommato, funziona. Scattano le recriminazioni. Proprio come in Tv”.
E, contattato a posteriori dalla Brocardo, c’è un provinante che sintetizza in una frase la perversa vacuità del meccanismo:
“Posso fare colpo con la disperazione economica, il matrimonio fallito, il mio carattere di merda. Sono un po’ buono, un po’ figlio di puttana”.
Ed ecco che ritorna, quella parolina magica che riassume il futuro da post-gieffino…