Mike Bongiorno e l’incapacità di essere diverso da se stesso. Paolo Bonolis: “Lui e il ‘personaggio’ erano la stessa cosa”
Nel giorno in cui la televisione ha perso suo padre, si stanno sprecando, com’è giusto, i commenti di quelli che, fattivamente, sono tutti figli suoi. Mike Bongiorno è l’addio più televisivo, più programmato, più mediatico che il tubo catodico potesse incontrare: è triste, ma non è tristissimo, perché Mike ha sempre vissuto dentro quella scatola
Nel giorno in cui la televisione ha perso suo padre, si stanno sprecando, com’è giusto, i commenti di quelli che, fattivamente, sono tutti figli suoi. Mike Bongiorno è l’addio più televisivo, più programmato, più mediatico che il tubo catodico potesse incontrare: è triste, ma non è tristissimo, perché Mike ha sempre vissuto dentro quella scatola e dentro quella scatola se n’è andato. Il suo faccione che riempie gli schermi, anche oggi, non è una novità, non fa specie, non è un problema. Resta la gentile malinconia di non poterlo vedere all’opera su Sky, la nuova, ultima avventura di una carriera che non può nemmeno chiamarsi carriera, perché uno la carriera se la costruisce lavorando in televisione; Mike, invece, la televisione l’ha direttamente definita nei suoi topoi attuali. Indefinibile LUI, nella sua iconografia: stiamo parlando della morte di Gesù Cristo, televisivamente parlando. Esisterà, da questo momento in avanti, un “avanti Mike” e un “dopo Mike”.
Uno dei commenti più centrati, nell’ipocrisia variegata e inevitabile che la morte, il più grande indulto naturale dell’umanità, ha portato anche in questo caso, è quello di Paolo Bonolis, il quale afferma:
“Mike si discostava molto poco da quello che fosse realmente. C’era un’assonanza tra quello che era e quello che la gente vedeva in televisione. Mike era così e lo è stato per tanto tempo, per chi lo ha amato da vicino e chi lo ha vissuto attraverso la televisione”.
E’ vero.
La forza di quest’uomo nasce proprio dalla sua totale a-letterarietà. Mike è stato una figura post-moderna della televisione: se stesso all’ennesima potenza. Non un surrogato, non un trucco, non è mai stato un personaggio. Perfino nei fuori onda, nei litigi, nelle storiche gaffes, nelle ospitate, Mike è sempre stato Mike. Chi lo ha conosciuto nella vita privata riferisce che anche in quei casi, intimissimi, Mike restava Mike. Col prosciutto sotto braccio prima e dopo le televendite: Mike era riuscito ad incarnare il mezzo televisivo, diventando egli stesso medium: non c’era un pulsante da premere perché il signor Bongiorno diventasse Mike. L’innesco del suo talento era automatico. Solo così sapeva essere. Diceva Carmelo Bene che il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. Mike mai, in nessun modo, avrebbe potuto essere più – o meno – di così.
Perciò oggi, che la televisione si scopre privata di quel suo padre naturale, in mezzo allo spettacolo ipocrita del lutto e del cordoglio, tra la gara inopinata all’espressione più corrucciata e alla faccia più contrita, alla ricerca dell’aneddoto, del ricordo, dello spunto, non ci resta altro da fare che ricordarlo come egli stesso avrebbe voluto: con allegria.
“E’ morto ad una eta’ giusta a cui tutti vorremmo arrivare. I figlioli e i familiari che lo hanno amato possano essere fieri della vita che ha vissuto, di come l’ha saputa vivere facendo quello che riteneva giusto fare e dicendo quello che riteneva giusto dire. Quindi una vita bella che porta alla serenità di una morte giusta”.