Home Notizie NO GURU: le voci dell’inchiesta, quando la tv diventa utile

NO GURU: le voci dell’inchiesta, quando la tv diventa utile

Per una volta, niente fionda. Contro i guru, i feudatari, i protagonisti di scazzi e cazzeggi. Sono andato a Pordenone per la rassegna “Le voci dell’inchiesta”, di cui è direttore artistico Marco Rossitti, il passato week-end. Credo di avere intravisto, ma non ne sono sicuro, uno di noi, ovvero una persona di questo Tv Blog

23 Aprile 2010 19:34

Per una volta, niente fionda. Contro i guru, i feudatari, i protagonisti di scazzi e cazzeggi. Sono andato a Pordenone per la rassegna “Le voci dell’inchiesta”, di cui è direttore artistico Marco Rossitti, il passato week-end. Credo di avere intravisto, ma non ne sono sicuro, uno di noi, ovvero una persona di questo Tv Blog che firma con uno pseudonimo, anzi con un ben noto nick name; e che ha partecipato con un lavoro sul terremoto in Abruzzo intitolato “Yes We Camp. Appunti dal cratere” che però non sono riuscito a vedere. Peccato. Ma non svelerò l’identità vera.
Indovinate.
“Le voci dell’inchiesta” riprende la strada di una rassegna degli anni Sessanta che si svolgeva a Este, in provincia di Padova. Era una delle prime occasioni per vedere fuori dai televisori, rivedere e riflettere, sul documentarismo televisivo. Passarono lì diversi autori ormai dimenticati e anche tanti altri che invece fecero strada, ad esempio Ugo Gregoretti con le sue indimenticabili inchieste satiriche, di costume, che avevano grande successo.
Rossitti, per rendere palese il passaggio di tempo, e soprattutto per legarsi a quella esperienza, reiventandola, inaugurò proprio con Ugo Gregoretti la nuova iniziativa realizzata con CinemaZero. CinemaZero è un solido luogo di Pordenone dove si è lavorato con il cinema muto e poi con i film sonori, e si continua a lavorare con film nuovi e di qualità. Invitare ancora Gregoretti ,significò nella precedente edizione di qualche anno fa, siamo alla quarta edizione, legarsi a una tv popolare, spesso eccellente, fatta da veri e propri autori. Toccò a me condurre una serata con il grande e simpatico Ugo, e ricordare un altro maestro della tv (oltre che del cinema) Luigi Comencini di cui furono presentate alcune puntate di “L’amore in Italia”, una inchiesta che facemmo insieme in giro per l’Italia.
Quest’anno l’offerta di inchieste e documentari è stata varia, interessante (almeno per quel che sono riuscito a vedere). Film doc italiani e stranieri, tra questi voglio citare “In the Name of Democracy: America’s Conscience, A Soldier’s Sacrifice” di Nina Rosembaum, presente alla proiezione, sul tenente Walada entrato nella storia per essere stato il primo ufficiale dell’esercito americano a rifiutare la guerra in Iraq per ragioni morali. Un bel racconto. In mezzo a un folto programma che ha compreso la presentazione di un film fatto con il telefonino, e poi gonfiato a 35 mm, “La paura”, del regista teatrale Pippo Delbono. Un film su cui non esprimo un giudizio visto le sue caratteristiche di sperimentazione in chiave più che altro volontaristica, molto, forse troppo ambiziosa: il telefonino e l’apocalisse della quotidianità. Ahi!
Anche questa volta ero presente a Pordenone, insieme allo storico Guido Grainz, per accompagnare il lungo doc di cui ho fatto nel 2005 la regia , “Il paese mancato” tratto dall’omonimo libro dello storico. Recupero gradito e lunga discussione, con molto pubblico, specie di giovani, passione e curiosità.
Questa proiezione, la discussione, le opinioni raccolte, da una parte; e dall’altra gli stimoli venuti dagli altri doc, mi hanno convinto di una cosa. Il vero disastro della televisione, anzi delle televisioni- in cui siamo immersi, e rischiamo di affogare- è la sua “quotidianità”, che in passato sembrava essere il suo “bello”. Quel che viene trasmesso, anche di buono, di valido, è talmente immerso nel “trash” (anche quando non c’è o non è il caso di chiamarlo in causa come etichetta infamante), da scomparire , sparso com’è nei palinsesti, penalizzato sugli orari, ignorato dagli uffici stampa delle emittenti e dai giornali.
L’iniziativa friulana tenta, riuscendovi senza pretendere di vincere missioni impossibili, di dare la “voce” all’inchiesta, ai documentari, ai reportage, ai temi legati a grandi temi dell’attualità o della storia; ma soprattutto a chi ci lavora.
La rassegna si concentra in pochi giorni. Diventa un’antenna che chiama immagini (con i relativi sonori) ma soprattutto punta sulle “voci” di ieri e di oggi. L’effetto è curioso, straniante. A Pordenone sembra rivivere una realtà che dovrebbe, potrebbe essere al centro delle attenzioni delle televisioni e di chi se ne occupa. La realtà del silenzio stabile, inesorabile, “invisibile” ovvero non percepibile nel gran chiasso dei programmi. Il silenzio del baccano e dei rumori vocianti, frastornanti, che non si spengono neanche quando con lo zapping.
Le tv hanno bisogno di “voci”. Sempre più. “Voci”, non inutili polemiche, sfoghi o ricami critici, barocchismi gossip. “Voci” che parlano. Il vuoto circostante potrebbe risultare meno vuoto, meno angosciante. Forse.
Italo Moscati