Home Serie Tv Telefilm Festival 2010, il Workshop sulla fine della “Golden Age” dei telefilm in Italia. Freccero attacca le generaliste: “Manca una linea editoriale”. E Tiraboschi tira in ballo internet

Telefilm Festival 2010, il Workshop sulla fine della “Golden Age” dei telefilm in Italia. Freccero attacca le generaliste: “Manca una linea editoriale”. E Tiraboschi tira in ballo internet

Sempre meno telefilm, soprattutto polizieschi, sui canali generalisti, che soffrono un calo di ascolti rispetto a due anni fa per quanto riguarda la messa in onda delle serie tv. Da questi dati, forniti dal CERTA (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi) dell’Università Cattolica di Milano, è partita la discussione “E’ già finita la

pubblicato 7 Maggio 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 15:59


Sempre meno telefilm, soprattutto polizieschi, sui canali generalisti, che soffrono un calo di ascolti rispetto a due anni fa per quanto riguarda la messa in onda delle serie tv. Da questi dati, forniti dal CERTA (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi) dell’Università Cattolica di Milano, è partita la discussione “E’ già finita la Golden Age dei telefilm sulle reti italiane?”, protagonista della giornata di oggi del Telefilm Festival.

Moderato da Aldo Grasso, l’incontro ha avuto come protagonisti Giorgio Buscaglia (Responsabile Programmazione Cinema e Fiction RaiDue), Laura Corbetta (Amministratore Delegato YAM112003), Carlo Freccero (Direttore Rai4), Marco Leonardi (Direttore contenuti Mediaset Premium), Carlo Panzeri (Vice Direttore Rete4), Alberto Rossini (Direttore editoriale Canali televisivi – Digicast spa), Fabrizio Salini (Vice Presidente Fox Channels Italy) e Luca Tiraboschi (Direttore Italia 1).

Proprio quest’ultimo, insieme a Freccero, ha animato la discussione, dando una propria versione dei fatti di fronte all’evidenza che i telefilm, sulle reti generaliste, stanno subendo un calo in telespettatori: dallo share medio dell’11,09% di due anni fa, si è passati al 10,97% di un anno fa al 9,81% di quest’anno.

Per Freccero, infatti, la colpa del minore interesse da parte del pubblico è dovuta alla mancanza di una linea editoriale da parte della tv generalista, che porta le serie tv ad essere programmate secondo logiche che non ne rispettano i contenuti:

“Questa ricerca analizza le generaliste, che hanno il difetto di mancare di editorialità. Sono una cosa unica, poco riconoscibile, mentre Sky e Premium lavorano su questo, ogni rete deve identificare un pubblico. Sono FoxCrime? Non voglio avere a che fare con FoxLife. Questo permette di far rimanere centrale il telefilm, anzi, meno male che c’è il telefilm, il resto sono solo p…..ate. Chi vede il telefilm nella generalista è un disgraziato, perchè glielo spostano continuamente. Rabbrividisco con Dr. House, prima su Italia 1, poi su Canale 5, poi ancora su Italia 1… Dicono che ci sia il coordinamento palinsesti, e chi fa tv sa che chi ci lavora è gente che non sa fare nulla e viene messa a fare i poliziotti.”

L’accusa di Freccero, insomma, è che le reti generaliste lavorino come un’unica struttura, dando poca rilevanza all’impronta di ciascuna rete, cosa che invece non avviene nelle pay tv. Immediata la replica di Tiraboschi, che poi si è soffermato a spiegare le ragioni che portano, secondo lui, al calo sopra citato:

“Non cadrò nella provocazione di Freccero, non so come funzioni in Rai il coordinamento palinsesti ma da noi funziona perfettamente. L’analisi di questa ricerca mi porta a ragionare su tre filoni principali: lo scenario competitivo, che non uguale a quella di una volta. Italia 1 era la matrice da cui uscivano le grandi serie televisive, oggi i telefilm sono trasmessi da tutti. Con il digitale, ci saranno nuovi operatori e nuove offerte. Poi l’usura del prodotto, che alle genraliste arriva per ultimo, e il download, che porta ad avere un punteggio inferiore negli ascolti. La differenza tra un successo di una serie e l’insuccesso è di circa 400 mila telespettatori. Questo delta, oggi, è sufficente per decretare un successo di un telefilm. Se riuscissimo a ritrovare questi telespettatori, non parleremmo di crisi. E poi c’è la sceneggiatura: negli ultimi anni non ho visto niente di forte, solo scimmiottamenti.”

Va in controtendenza, invece, Carlo Panzeri:

“Gli ascolti record di Er erano possibili in un contesto dove le generaliste facevano il 90% di ascolto. I numeri che i telefilm fanno oggi sono comunque molto significativi. Non è detto che sia una situazione svantaggiosa, perchè ci permette di evadere dal rischio di descrivere il mondo con sole quattro variabili: uomini, donne, giovani, anziani. C’è un tasso di innovatività in queste macchine da racconto di intercettare umori e tensioni che nessun altro genere è in grado di fare. Flashforward è un gioiellino assoluto, l’idea di lavorare su un telefilm con tema libertà o predestinazione è meravigliosa”.

La crisi, per Laura Corbetta, è legato al rapporto tra giovani ed internet, con attenzione particolare a quest’ultimo:

“Bonsai è rivolto ad un target giovane, e mi rendo conto che ai giovani interessa tantissimo la serialità, ma non l’appuntamento. I giovani vanno su internet e da onnivori vedono tutto, ma senza rispettare un appuntamento. L’altro tema è il doppiaggio. Chi va su internet vede il prodotto in lingua originale, sulle generaliste resta l’idea che tutto debba essere doppiato. Non è vero però che esiste solo il download: esiste Hulu, dove il meglio della serialità viene dato in modalità free. Un prodotto sseriale oggi ha bisogno di creare conversazione, che non si può creare in tv.”

Leonardi si è soffermato sulla necessità dei canali di avere una certa media d’ascolto, soffermandosi sull’importanza di rivalutare la natura della fruizione delle reti:

“Le tv generaliste hanno un problema legato allo share, e trattano il telefilm in un modo che non ne coglie le potenzialità. Una rete dedicata ha maggiore libertà, che permette anche di rivedere la serie, e dà la possibilità a prodotti di nicchia di avere una collocazione importante. Negli ultimi anni c’è stato però un calo di qualità. Credo che la tv stia cambiando. Nessuno prende atto del fatto che con la multicanalità ci sarà la frammentizzazione dell’audience, che porterà ad una rivalutazione della fruizione.”

La ricerca ha anche rilevato che la maggioranza delle serie ora in onda sono poliziesche (“The Mentalist”, “Ncis”, “Csi”), con oltre il 66% della programmazione, in aumento rispetto agli anni passati. Perchè il procedural attiri di più di altri generi l’ha spiegato Buscaglia:

“Le serie che vanno in onda da noi sono della Cbs (Ncis, Ncis Los Angeles, Cold case), network che ha deciso di puntare sui polizieschi. Quindi è il canale che ci dà da mangiare. Abc ha preferito di andare sul romantico, con serie che si stanno inceppando (Desperate Housewives, Brothers and sisters), tant’è che quando andremo a Los Angeles (per gli screeening, ndr) ci ritroveremo con molte serie poliziesche. Questo perchè si concludono in una puntata, Lost su Raidue ha perso audience dalla prima puntata della seconda stagione, ed è difficile proporre serie diverse. Lost è andato male su Raidue da quando si è scoperto che c’era una botola…”

(a quest’ultima affermazione Grasso ha risposto “Se il pubblico italiano si spaventa per una botola siamo messi male…”).

Freccero, invece, è convinto che siano gli italiani a volere da sempre questo genere rispetto a tutti gli altri:

“Io credo che ci sia un consumo stabile della tv generalista di alcuni generi. Tutti questi telefilm della Cbs hanno preso il posto di Derrick. In una tv in cui la forza è il gossip, e dove la cosa più forte è il pop religioso, è chiaro che non c’è spazio per i telefilm, e questo dimostra lo stato del Paese italiano.”

Salini, infine, spiega che la questione della popolarità o meno di un genere non importa ai canali Fox:

“Ogni canale americano, quando progetta un prodotto, lo fa per rivolgersi ad un pubblico delimitato. Quindi il crime, il genere più capace di catturare pubblico, funziona anche fuori. Non siamo spaventati dalle curve descrenti dei nostri prodotti, perchè chi si stufa della botola di Lost può andare su un altro dei nostri canali. Non abbiamo la paura dei numeri, ma l’attenzione al nostro pubblico.”

Tra tutte queste opinioni, spicca comunque la necessità di valutare il ruolo del telespettatore, non più immobile davanti ad una rete, ma sempre alla ricerca di nuovi stimoli anche al di fuori della tv. Internet ha dimostrato una capacità di attirare grossi numeri, e se la televisione continuerà a rimanere ferma alle sue necessità, la prossima crisi sarà peggiore.