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Paolo Ruffini dopo la sentenza rivuole RaiTre

Paolo Ruffini pretende l’applicazione della sentenza del giudice del lavoro che lo ha reintegrato nel ruolo di direttore di RaiTre. Nessuna trattativa, nessuna transazione, Ruffini rivuole il posto da direttore in quanto vittima di una discriminazione di natura politica da parte dell’azienda, certificata da una sentenza. Questo, in sintesi, il pensiero espresso in un’intervista pubblicata

pubblicato 1 Giugno 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 15:17


Paolo Ruffini pretende l’applicazione della sentenza del giudice del lavoro che lo ha reintegrato nel ruolo di direttore di RaiTre. Nessuna trattativa, nessuna transazione, Ruffini rivuole il posto da direttore in quanto vittima di una discriminazione di natura politica da parte dell’azienda, certificata da una sentenza. Questo, in sintesi, il pensiero espresso in un’intervista pubblicata oggi da Repubblica.

L’ex direttore non vuole aprire un fronte con Antonio Di Bella, che ha preso il suo posto e che nei giorni scorsi aveva dichiarato di non avere competenza sulla vicenda e di attendere la decisione del Cda. La Rai, in teoria, avrebbe una sola possibilità: reintegrarlo rispettando la sentenza, ma non sembra intenzionata a piegarsi.

Mi pare che Di Bella, nel colloquio con Repubblica, abbia voluto dire un’altra cosa. Mi pare abbia detto che Rai3 è sotto attacco e lui farà di tutto per difenderla. E che se la decisione spettasse a lui non avrebbe alcun dubbio a rispettare la sentenza del giudice. Il gioco di mettere me e Di Bella l’uno contro l’altro è grottesco. Io e Antonio siamo e rimaniamo amici. Anche perché il problema non siamo noi. Ho fatto ricorso al giudice dopo mesi. Quando era chiaro anche a chi non avesse voluto vedere che la ragione della mia rimozione era politica. Lo ho fatto per una questione di dignità. Non certo per utilizzare la sua decisione in una trattativa. Non per farne mercato. La dignità, per me, non ha prezzo. Il punto era ed è quello di ristabilire un principio. E il principio è che in questo Paese si può fare libera informazione senza essere per questo discriminati. E’ un principio che riguarda tutti.


La situazione è paradossale, anche perché Ruffini era in carica da 7 anni, un periodo più lungo dei suoi predecessori, quasi un record. Certamente si può affermare che la decisione di rimuoverlo sia dovuta alla presenza, strenuamente difesa da Ruffini (come da Di Bella), di programmi sgraditi al Governo, ma l’interferenza del giudice stabilisce un precedente anomalo: “basta” non essere graditi al premier per avere diritto alla poltrona da direttore per tutta la vita?

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