Lie to me: da stasera su Rete 4 a caccia di bugie con Tim Roth
Prendete un personaggio fuori dagli schemi, dategli una passione (quella per la fisiognomica, ovvero la disciplina che studia le espressioni e gesti umani per determinare il comportamento di una persona) ed affiancatelo a casi di rapine, omicidi e truffe: otterrete Cal Lightman, protagonista della nuova serie “Lie to me”, che Rete 4 manda in onda
Prendete un personaggio fuori dagli schemi, dategli una passione (quella per la fisiognomica, ovvero la disciplina che studia le espressioni e gesti umani per determinare il comportamento di una persona) ed affiancatelo a casi di rapine, omicidi e truffe: otterrete Cal Lightman, protagonista della nuova serie “Lie to me”, che Rete 4 manda in onda da stasera alle 21 (oggi vanno in onda due episodi, dalla settimana prossima solo uno, seguito dalla quinta stagione di “Bones”).
La serie è un crime drama che porta lo spettatore oltre i classici schemi deduttivi che conosciamo: qui il colpevole lo si scopre prima dal suo volto, poi dalla prove. Il tutto grazie al protagonista, interpretato da Tim Roth (“Le iene”, “Pulp Fiction”, “La leggenda del pianista sull’oceano”), che non le manda a dire a nessuno, e che segue il filone del personaggi borderline ormai sdoganati dalla tv.
Cal ha un passato che lo ha segnato, e che lo ha portato a lavorare sulle microespressioni, segni rapidi sul nostro volto a cui si possono attribuire i nostri stati d’animo. Autore di molti libri, Lightman è una celebrità, che spesso viene chiamato ad aiutare la polizia nella risoluzione di molti casi. I suoi metodi, spesso fuori dalle regole, giungono sempre ad un risultato.
Lie to me
Aiutato dalla psicologa Gillian (Kelli Williams, “The Practice”) e dal ricercatore che evita di dire bugie Eli (Brendan Hines), Cal s’imbatte nella giovane Ria (Monica Raymund), agente aeroportuale che mostra un talento innato nell’individuazione delle microespressioni. Nei primi casi, Ria dovrà imparare a conoscere il mondo di Lightman, il suo pensiero, e quella sfacciataggine che nasconde delle cicatrici ma che gli consente di essere uno stimato collaboratore dell’Fbi, tant’è che spesso lo vedremo a fianco dell’l’agente Reynolds (Mekhi Phifer, era il Dr. Pratt in “Er”).
Le novità di “Lie to me” sono due: la prima è il citato uso di una disciplina curiosa, di cui sentiamo parlare per argomenti molto più frivoli, in un ambito invece ben più serio e finalizzato alla ricerca di criminali. Le teorie che sentiamo in ogni puntata si fondano sulle ricerche vere del Dr. Paul Ekman, dell’Università della California, punto di riferimento per i moderni studi di etologia umana.
L’altra novità sta nel modo col quale gli spettatori “giocano” con la storia: il pubblico-allievo viene istruito, puntata dopo puntata, sulle varie espressioni facciali che universalmente appartengono all’uomo. Curioso, quindi, vedere tra una scena e l’altra fare dei rifermenti a personaggi dell’attualità o che hanno fatto la storia, anch’essi analizzati nei loro gesti come i personaggi dello show.
I telespettatori possono così cercare di arrivare alla conclusione ed anticipare il protagonista, creando uno stimolo alla visione della serie che da molti anni non si vedeva in televisione. Sono molti i telefilm che appassionano, ma pochi quelli che propongono una sfida alla soluzione di un caso in maniera alternativa, e “Lie to me” è uno di questi.
La prima stagione di “Lie to me” è composta da tredici episodi, a cui fa seguito una seconda stagione da ventidue puntate, in conclusione lunedì in America. Partito con una media di dieci milioni di telespettatori, però, la serie è scesa gradualmente, arrivano, nell’ultima stagione, ad una media di circa sei milioni di telespettatori. Motivo per cui per la terza stagione sono stati ordinati solo tredici episodi.
La collocazione italiana al sabato sera non favorisce un successo dello show, che però potrebbe diventare un’interessante alternativa alle proposte di quella serata. E non vi sto dicendo una bugia.