ADDIO PAOLO BRUNATTO, un Milarepa in incognito
Ciao Paolo, si dovrebbe scrivere, secondo le retoriche vigenti in caso di morte. I necrologi e i discorsi commemorativi sono pieni di ciao, generi,freddi più di una bara. Preferisco addio. Addio è una parola per sempre che attende un ipotesi remota,remotissima di incontri, di ri-trovamenti. Addio è un saluto che si fa agli amici veri,
Ciao Paolo, si dovrebbe scrivere, secondo le retoriche vigenti in caso di morte. I necrologi e i discorsi commemorativi sono pieni di ciao, generi,freddi più di una bara. Preferisco addio.
Addio è una parola per sempre che attende un ipotesi remota,remotissima di incontri, di ri-trovamenti. Addio è un saluto che si fa agli amici veri, a quelli che ti stanno a cuore e che per mesi se non addirittura per anni non hai più visto o rivisto, e quando era accaduto l’ultima volta avevi pronunciato un ciao seguito da una risposta in ciao.
Conoscevo Brunatto per squisite ragioni cinematografiche e televisive. Eravamo in buona compagnia: i Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Glauber Rocha, Gianni Barcelloni e tutta la compagnia underground di autori, scrittori e registi che erano o aspiravano ad essere indipendenti. E lo erano in piccole sale, leggendarie e innocenti come il Filmstudio di Roma, o in pellicole ancora circolanti come droghe innocenti, povere (solo passioni per la celluloide, ma non solo) fra amatori, addetti ai lavori di demolizione e ricostruzione dei linguaggi del cinema nell’avanzare timido (complesso di inferiorità) e tracotante (la potenza del denaro e della politica) della televisione, ieri esclusivamente Rai.
Facevo, come punto di riferimento artistico e produttivo, gli sperimentali della Rai, e debuttammo con Gianni Amelio e molti altri giovani in una attività che ancora viene ricordata e che, al Museo del cinema di Torino, fu segnalata come una delle poche, se non l’unica patria autonoma di una ricerca fatta con la macchina da presa o con i piccoli videotape per assalire pacificamente la fortezza televisiva.
In quella temperie ci conoscemmo. E lui che sarà poi consulente di Bernardo Bertolucci per “L’ultimo imperatore” e “Il piccolo Buddha”, aveva cominciato ad avvicinarsi al buddhismo. Forse mi invidiava perchè, con Liliana Cavani, ero stato in India e a Katmandou nel Nepal per capire i luoghi in cui visse Milarepa, il giovane in cerca di luce; e perchè sempre con Liliana sceneggiammo la vita di questo giovane in un film che portava nel titolo il suo nome dolce, Milarepa, ovvero vestito di tela.
Paolo non è mai vestito di tela ma aveva sempre una di quelle camicie senza collo, lunghe, che si portano in India e in Nepal; teneva i capelli legati dietro la nuca; campava con poco, nel viterbenese; era molto intenso e religioso (nel senso di profondità) quando parlava,
Aveva una attività senza posa. Girava il mondo per raccontare arte e cultura, e soprattutto per “immortalare” i grandi poeti o artisti, senza distinzione di nazionalità. Era appassionato, amava questi temi e le persone in particolare. Era vicino ai tibetani che soffrivano e soffrono per l’occupazione cinese,e organizzava iniziative e rassegna per sostenerne la causa.
Era riservato, rispettoso, umile. Ecco: umile, qualcosa che nel mondo della prassi cinetv quasi non è di casa. Me ne rendevo conto quando lavoravamo insieme o quando mi mostrava i suoi lavori che hanno viaggiato il globo o sono andati ai festival o sono stati trasmessi da tante tv, di terra e satellitari. Terra e cielo erano gli spazi d Paolo. Viveva, secondo me, in quella dimensione tra gterra e cielo che i teologi chiamano prospettiva pneumatica. Era un angelo senza ali nè gote paffute, nè tanto meno imbracciava la spada e i fuochi di Lucifero,
Era prezioso, forse ineguagliabile. Sono sicuro che sta cercando di incontrare Milarepa e di chiedergli cosa pensa del film su di lui.
Sono andato su wikipedia per rammentarmi dei suoi film. Un elenco lungo, lunghissimo. Impossibile citare le cose migliori. Perchè tutte sono migliori, Andate e leggete, sarete d’accordo. Ne sono sicuro.
Addio Paolo, ti tiro il codino. Ti tiro la camicia. Di tela.
Italo Moscati