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SIX FEET UNDER: in silenzio, Alessandro Cane ha raggiunto Artaud e Garcia Lorca

Sette piedi sotto terra? Alessandro Cane, leggo, ha preferito diventare cenere. Con discrezione, in silenzio. Ha raggiunto Antonin Artaud, l’attore, il regista, lo scrittore dell’avanguardia francese al quale Ale aveva dedicato i suoi primi spettacoli teatrali in un buco nel centro di Bologna. Lì o su o giù di lì troverà anche Federico Garcia Lorca,

27 Settembre 2010 19:57

Sette piedi sotto terra? Alessandro Cane, leggo, ha preferito diventare cenere. Con discrezione, in silenzio. Ha raggiunto Antonin Artaud, l’attore, il regista, lo scrittore dell’avanguardia francese al quale Ale aveva dedicato i suoi primi spettacoli teatrali in un buco nel centro di Bologna. Lì o su o giù di lì troverà anche Federico Garcia Lorca, il poeta spagnolo, sul cui assassinio fascista aveva realizzato un film; e anche la poetessa Sylvia Platt, fine tragica, grandi versi, grandi e dolorose emozioni; e anche il giovane dottor Freud…
Potrei continuare, citando altri nomi famosi e altri film per il cinema e soprattutto per la televisione Rai. Potrei soffermarmi sul suo lavoro per “Incantesimo”, il lungo e popolare serial di alcuni anni fa, di cui era stato regista, dandosi il cambio con altri ,in una inesorabile, tassativa catena di montaggio. Portò anche qui il suo incanto di regista rigoroso e senza prevenzioni, professionale, da artista.
Potrei raccontare dei nostri primi incontri nella stagione calda e appassionata delle avanguardie teatrali, cinematografiche e televisive. Un tempo indimenticabile che non ha lasciato tracce in apparenza profonde ma che ha cambiato radicalmente modi di lavoro e, come si dice a bocca piena, di fruizione. Una storia nascosta,agitata, tormentata, difficile, senza una lira, eppure impetuosa, fitta di risate di gioia e di sorrisi spudorati e cioè felici. Una stagione che non va rimpianta, le cose e le persone passano, ma che andrebbe riepilogata, capita, selezionata, scartata e ri-cartata in altre leggere, profonde pagine di studio, e di divertimento non solo generazionale.
Alessandro è stato uno dei primi, anzi il primo, dei giovani registi ccn cui collaborai quando dirigevo di “i programmi sperimentali”, oggetto ancora oggi di ricerca e di riflessione. Qualche tempo fa la persona che sta spolverando e valorizzando queste avventure, queste memorie, per una ricerca da pubblicare, lo cercò. Non lo trovò. Non poteva parlare al telefono. Lo disse uno dei suoi figli. Ci sentiamo forse a settembre, disse il ragazzo. Il forse è caduto, il silenzio si è fatto di cenere.
Alessandro era in un gruppo che comprendeva Gianni Amelio, Gianluigi Calderone, Maurizio Cascavilla, Maurizio Ponzi, Luigi Faccini, Giuseppe Bertolucci e altri. Era uno dei più schivi e timidi. Ma aveva tenacia e talento, capacità di affrontare temi impervi con un sorrisetto furbo sotto le labbra, e sotto i baffi (per un certo periodo, mi pare, portasse i baffi, unici peli di un narcisismo sepolto dalle cose che sapeva e intuiva).
Realizzò in assoluto il primo sperimentale “La stretta”, storia di operai rinchiusi a Gratosoglio, periferia milanese, cellule abitative per una classe operaia che sapeva vincere le difficoltà con una disperata voglia di vivere, anche in mezzo alle “strette” della vita contemporanea, in una Milano livida di nero e schiacciata a terra dai mezzi grattacieli edificati per non disturbare troppo le nuvole, di smog.
Era un piccolo film, costato cinque milioni, uno sputo di denaro, che fecondò l’asfalto e il cemento duri, e fece spuntare i petali, le promesse mantenute in seguito.
Anche a te Ale non dirò ciao come non l’ho detto a Paolo Brunatto, un altro avanguardista, dolce come un monacoi tibetano, appassionato d’amore e di quella parte di cinema che si chiama (o si chiamava?) televisione, secondo un celebre detto di Jean Luc Godard che fece parte degli “”sperimentali” e realizzò “Lotte in Italia”. Al Festival di Berlino, qualche tedesco cretino cercò il film perchè pensava che si trattasse di una ragazza, Lotte, a caccia di amanti nella terra dei latin lovers. Era invece un film dentro le lotte degli anni Sessanta- Settanta, ingenue e persino dissennate. Chissà cosa si potrebbe dire della lotte d’oggi sotto il sole che scalda teste già calde,
Addio e non ciao. Ciao, lo lasciamo ai necrologi vili che non sanno guardare in faccia la fine. Addio è più vero e dignitoso. Ale ad Artaud digli che il teatro della crudeltà è oggi sporcato nelle risse tv; e a Garcia Lorca che dovrà passare del tempo per accettare i diversi anche per le loro passioni e per le idee politiche.
Sento una stretta al cuore.
Italo Moscati