IPOCRISIA TV: voglio cercarmi rogne sul caso Sarah in diretta…
La retorica della prima televisione era orientata da due parole. Che dirò. Ora, e non solo a partire dall’atroce caso di Sarah , ad orientare critici, giornalisti, opinionisti, voci da sballo e da ballo, predicatori improvvisati o incalliti, da una sola: ipocrisia. Le due parole della tv delle origini erano: la diretta e l’originale televisivo.
La retorica della prima televisione era orientata da due parole. Che dirò. Ora, e non solo a partire dall’atroce caso di Sarah , ad orientare critici, giornalisti, opinionisti, voci da sballo e da ballo, predicatori improvvisati o incalliti, da una sola: ipocrisia. Le due parole della tv delle origini erano: la diretta e l’originale televisivo.
Talvolta le due parole venivano intrecciate. Ossia si diceva che il vero originale televisivo era la ripresa in diretta. Ma la distinzione reggeva perchè l’originale televisivo, anzi gli originali televisivi, erano intesi come teledrammi, lavori scritti per essere ripresi in studio secondo le risorse tecniche delle telecamere e dei primi rozzi montaggi. Non gli sceneggiati che venivano dai romanzi della grande letteratura. Mentre gli originali subivano la suggestione del laboratorio Studo One della televisione americana in cui debuttarono fior di autori come Reginald Rose (“La parola ai giurati” diventata film) o come Paddy Chayefsky (“Quinto potere” sulla degenerazione della tv).
La diretta era il sogno dei giornalisti della carta stampata,diffidenti della mediazione dei mezzibusti e dei conduttori al servizio di padroni sempre più partitici che aziendali. Era o meglio o doveva essere la realizzazione dell’utopia di un nuovo mezzo, la tv, capace di tagliare la testa al toro (alla manipolazione) e dimostrare come stavano, come stanno le cose nella realtà.
Senza farla lunga, ci volle la notte di Vermicino, lunghe ore di diretta nella notte (1981) per seguire l’agonia di un povero ragazzo, per sfatare una volta per tutte l’utopia magica della diretta superpartes. Uno strazio,prolungato da persone che pensavano forse di far vedere agli italiani e al mondo un happy end televisivo che non ci fu.
Adesso la diretta è tornata di sanguinosa, stupratrice, impressionante attualità per la puntata di “Chi l’ha visto”. Come sia andata lo sappiamo. Io non ho assistito ,la sera in cui è andata in onda, alla trasmissione e allo spettacolo-verità-incubo-share di una madre che apprende il delitto, e lo scempio di Sarah, mentre è seduta, in tv, con Federica Sciarelli.
Leggendo i giornali, sentendo la radio, sbirciando i tg, coivolto nella matassa orribile al di là delle mie intenzioni, un fatto mi è balzato chiaro agli occhi e alle orecchie. Lo scandalo vero- una vittima adolescente, innocente; uno zio criminale e capace di violenza macabra su un corpo esanime- in poche ore è stato sostituito dal modo in cui la trasmissione ha proposto la diretta. Subito sono emerse varie posizioni in proposito.
Qui scatta l’ipocrisia diffusa, generale. La scena tv ha preso il posto della scena del delitto. In pratica ,una rimozione. Un modo per allungare il brodo velenoso della corsa al particolare, al mortuario, alla depravazione, al dettaglio osceno e al piacere del morboso. La diretta tv come occasione per attaccare la tv e per rinverdire nell’attacco il gusto, il culto del delitto e dei suoi richiami emozionali. Attacchi interessati per coprire la narrazione che fa comodo a molti giornali e que contenitori o talk show che ci ricameranno sopra, a lungo.
Molto a lungo, si vedono i segnali. Le indagini sono all’inizio, si dice, e tutti si mettono in poltrona a seguire le dirette e in-dirette speculazioni. Nei commenti, il più sensato mi è sembrato quello di Massimo Gramellini sulla Stampa: “…Federica Sciarelli è una giornalista in gamba e una persona perbene, ma forse ha mancato di freddezza. Avendo sentore della notiziaccia, avrebbe dovuto mandare la pubblicità e, soltanto dopo, lontano dalle luci della diretta, rivolgersi alla madre in pena, invitandola ad allontanarsi dal video…una questione di rispetto”.
Il meno sensato di tutti, il più fumoso e astratto, quello di Aldo Grasso sul Corriere:” Quando la Sciarelli si premura di dire alla mamma di Sarah, Concetta Serrano, se desidera interrompere il collegamento compie un gesto di estrema delicatezza, ma manda, contemporaneamente, un’indicazione linguistica: questo non è un reality, questa è tv verità. Il fatto è che la verità non sembra mai vera, si vorrebbe dire di no alla verità dell’apparenza, spegnendo la telecamere, nella speranza che ci sia una verità diversa dell’essere”.
Colpiscono in queste righe le parole “indicazione linguistica”, ovvero io critico prendo le distanze e subito indico il genere a cui appartiene la svolta nella trasmissione, quello della “tv verità”; ovvero, sempre io critico, dico che la verità non sembra mai vera, ma appartiene comunque ad un genere (quello della diretta,prima e dopo Vermicino ).
L’ “indicazione linguistica”, inerente al genere, porta alla “speranza di una verità dell’essere”. Che vuol dire ?Dove? Come?
Un fatto così madornale, su cui ci si interrogherà a lungo, o almeno fintanto che non si esaurirà la curiosità o la speculazione telegiornalistica, viene rinchiuso così in una vaga formula di sapore filosofico. Forse per annichilire le emozioni in un vago rifugio nell’ipocrisia: la tv è questa, composta di generi fini a se stessi.
E la povera Sarah? sua madre? il pubblico che detesta il delitto, e si lascia affascinare?
Italo Moscati