Giorgio Panariello: “Non mi sono bruciato ad Affari tuoi e Scherzi a parte”. E “sfotte” Chiambretti, Morandi e Giletti
Giorgio Panariello, dopo la disfatta di Sanremo 2006, ha il terrore di entrare in tv dalla porta principale. Ma in diverse interviste non perde occasione di lanciare frecciatine qua e là, ora rivendicando la sua purezza artistica ora ammettendo che, se non appari sul piccolo schermo, non esisti. Questa settimana è stato intervistato da Vanity
Giorgio Panariello, dopo la disfatta di Sanremo 2006, ha il terrore di entrare in tv dalla porta principale. Ma in diverse interviste non perde occasione di lanciare frecciatine qua e là, ora rivendicando la sua purezza artistica ora ammettendo che, se non appari sul piccolo schermo, non esisti.
Questa settimana è stato intervistato da Vanity Fair per la promozione del cinepanettone di De Sica, a cui ha ceduto anche lui. E ne approfitta per rispondere senza peli sulla lingua a qualsiasi domanda scomoda, a partire da quelle sul Festival:
“Sanremo è tutto tranne che il Festival della canzone. Perciò Belen e la Canalis sono perfette. A Belen, sul set del film, ho detto di lasciare Corona: io ho la patente, lui no. Dove andate? Belen mi ha confessato di aver tirato solo una volta e le credo. Lavorando tutti i giorni al suo fianco me ne sarei accorto. Morgan, a differenza sua, aveva detto che la droga fa bene. A me Sanremo è servito perché correvo il rischio di montarmi la testa, visto che dal 2000 al 2006 m’era andato tutto bene. Adesso so che cosa posso o non posso fare. Sanremo non dovevo condurlo ma interromperlo come comico. Detto questo, sono stato un pazzo che si è messo al servizio delle canzoni. Non ho preso in giro i cantanti come ha fatto Chiambretti che mi ha massacrato. E ho anticipato i tempi: ho tolto i fiori, ho puntato sull’eccellenza italiana, ho provato ad adeguarmi allo stile Mtv, non a quello della tv bulgara”.
Dopo il Festival, Panariello si è sentito snaturato e ha avuto bisogno di ricaricarsi, ma non fermandosi mai tra cinema, teatro e radio. Ora ribadisce di avere per il 2012 (ma non doveva già partire nel 2010 o al massimo nel 2011?) l’idea ‘favolosa’ di uno spettacolo itinerante a livello internazionale:
“Vorrei andare in giro per l’Europa, dagli italiani all’estero, e parlare con loro del nostro Paese. Finora non c’è niente di definitivo, ma sono tranquillissimo. In Rai il problema è che non sai con chi parlare, mancano gli interlocutori. E noi artisti siamo come i bambini: abbiamo bisogno di essere un po’ coccolati, di sentirci parte della famiglia. In Rai per anni è stato così, adesso non più. E non vado in tv, così tanto per farla. Avrei il conto in banca quattro volte più sostanzioso se avessi accettato di andarci a tutti i costi, facendo Affari tuoi o Scherzi a parte. D’altra parte, c’è chi vuole passare alla cassa e chi alla Storia. Io voglio durare. Voglio rispettare i miei sogni e anche il pubblico”.
E su questo va dato atto a Panariello di essere estremamente lungimirante (lo è stato un po’ meno cedendo alla gag volgare della scorsa settimana a Chi ha incastrato Peter Pan?, qui segnalata e poi prontamente denunciata da Dipollina su Repubblica e da Grasso su Oggi). Tra le altre scelte coraggiose che Panariello ammette di aver fatto, oltre a Sanremo per cui dice di essersi ‘immolato’,
“fu coraggioso anche rifiutare, nel 1999, l’offerta di Raiuno di fare quattro sabati sera in coppia con Carlo Conti. Volevo fare il mio One Man Show, avevo il progetto giusto. ‘Fatelo fare a Carlo’, dissi al direttore di Raiuno Agostino Saccà. Poi, dopo un po’, mi richiamò e quei quattro sabati – con ascolti pazzeschi – li fece fare a me. Torno sabato mi ha salvato la vita, ha fatto di me un uomo. Avevo 40 anni, non avevo un soldo in tasca e, se avessi sbagliato quello show per me sarebbe stata la fine”.
Panariello ha un lato inaspettatamente fragile e sensibile:
“Per me, se sto un anno senza fare spettacolo, e quindi senza vedere il pubblico, sto male. Mi viene l’ansia. Penso di essere passato, di non essere più amato, che nessuno riderà più per le mie battute. Per star bene ho bisogno del contatto con la gente. A volte sembro schivo, ma la realtà è che sono timido. Vinco la timidezza con il mestiere, in un palasport stracolmo, ma se mi invitano a cena a casa, con dieci persone, suono il campanello e tutti si girano, mi sento morire”.
E, infine, un’ultima frecciatina di un’intervista davvero schietta e personale:
“Dai 30 ai 37 anni mi tingevo i capelli. Poi ho smesso perché mi faceva tristezza. Non ha idea di quanti uomini lo facciano e dicono che sono naturali. Giletti, Del Noce, Morandi…”.