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SGARBI TV: via del Babuino il giorno dopo, Orlandini e una fila di fantasmi

Passo in via del Babuino, Roma, con per andare in libreria. E’ il giorno dopo dell’affondamento del Titanic, lo show di Sgarbi. All’angolo tra questa via e una laterale, via Vittoria, vedo seduto su un pietrone salva angolo un volto noto. Guardo meglio. Ci guardiamo: qualcosa nelle nostre memorie si mette in moto. Ecco. Lui

pubblicato 20 Maggio 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 06:20


Passo in via del Babuino, Roma, con per andare in libreria. E’ il giorno dopo dell’affondamento del Titanic, lo show di Sgarbi. All’angolo tra questa via e una laterale, via Vittoria, vedo seduto su un pietrone salva angolo un volto noto.
Guardo meglio. Ci guardiamo: qualcosa nelle nostre memorie si mette in moto.
Ecco. Lui è Orlandini, l’uomo, ex ragazzo, che ha accompagnato Sgarbi tenendo al guinzaglio un cane. Orlandini forse non ricorda come lo ricordo io, più rotondo, più disinvolto, più sorridente, roba d’antan: ieri e oggi, librerie e locali del Babuino intrecciano sguardi e quasi mai conoscenze o amicizie.
Orlandini, smagrito, il volto teso, i capelli radi, lo sguardo interrogativo, non parla, siede lì e forse chiede con umiltà e sorriso dolce ai passanti l’elemosina di dimenticare la serata a cui ha partecipato, lo show cazzuto e rivoluzionario (come doveva essere) sospeso a causa del magro, più di Orlandini, indice di ascolto dello show sgarbato: 8 e rotti per cento.
Mi volto un’ultima volta per guardarlo ancora e saettargli un colpo di palpebre di simpatia. In fondo è un vecchio combattente. Ha partecipato a tutte, o quasi, le campagne bellicose del suo don Chisciotte, Vittorio; e lo ha fatto da placido, tranquillo, silenzioso Sancho, chiamato a far da scudiero per attenuare i sonori e i colpi di karate del suo amato Chisciotte, il cavalieri errante nell’errore che doveva pur passar qualcosa per vivere a lui, nei secoli fedele meglio della benemerita.

Mi volto per l’ultima volta e vedo, o credo di vedere.
In principio di quella viuzza chiamata Vittorio mi appaiono le figure che Sgarbi ha invocato e citato nella apocalisse now: Dio (sostituito con il padre), lo scrittore Antonio Delfini, il pungente e geniale Leo Longanesi, il vilipeso Federico Zeri (fior di buffone consapevole che amava presentarsi vestito da bebè), Pasolini, Mario Soldati, Dylan Thomas, etc, etciù, salute. Cadaveri eccellenti, fantasmi mirabolanti, genii compresi e incompresi. Queste figure ciondolano ai mei occhi balordi come costumi sfiniti in quell’angolo di mondo babuinesco dopo essere stati illusi di vivere dal mondo dello show in cui sono stati di nuovi sepolti; e spero non per sempre. Contriti. Desolati. Malgrado l’omaggio coraggioso, postumo e purtroppo alla fine avvelenato dall’insieme del sacrario tv.
Essi, questi fantasmi, non mi hanno salutato, come se fossero palloni o pallori sgonfiati dalla troppa foga del loro rivificatore Vittorio.
Che stretta al cuore Vittorio and his famous Ghosts, sotto il cartello scolpito nel marmo che indica il nome della strada: Vittoria. Uno scherzo del destino, oh Orlandini?
Che gelo in un pomeriggio-sera romano lustro e guadente. Che deprofondis nel tramonto luccicante delle colonne sonore che escono dai negozi di jeans e altri stracci, di pizzerie a metro e noie esaltate a chilometri.
Che pena e che peccato.
Che bus stop della ingloriosa avventura di un Masi, costretto a uscire dalla dj (discoteca o dg) della Rai, e dei suo accoliti Masi Comunicanti.
Il seguito alla prossima puntata, apocalipse, no stop.
Italo Moscati