La 7: “vitti na crozza”, con la C maiuscola, ovvero Maurizio Crozza
Avevo dimenticato che era stato annunciato da più parti lo show di Maurizio Crozza sulla 7, venerdì sera, intitolato “Italialand”. Me ne sono accorto all’ultimo momento, zampettando di canale in canale dopo i tg e cascami. L’ho cominciato e non l’ho più abbandonato, se non per le inserzioni pubblicitarie come fanno tutte le persone perbene.
Avevo dimenticato che era stato annunciato da più parti lo show di Maurizio Crozza sulla 7, venerdì sera, intitolato “Italialand”.
Me ne sono accorto all’ultimo momento, zampettando di canale in canale dopo i tg e cascami. L’ho cominciato e non l’ho più abbandonato, se non per le inserzioni pubblicitarie come fanno tutte le persone perbene.
“Vitti na crozza”, dunque: verso iniziale di una canzone tolta dalla polvere dei tempi nel 1950 per un film di Pietro Germi su un gruppo di emigranti siciliani clandestini verso la Francia, “Il cammino della speranza”. Verso e versi di un poeta anonimo musicati da Francesco Li Causi: una canzone che Domenico Modugno portò al successo.
La vicenda del film si svolge sulle Alpi italo-francesi. Lì, fra le nevi, una pattuglia di guardie di frontiere francesi è comandata da un sottoufficiale che si commuove e lascia passare i clandestini. Roba di oltre mezzo secolo fa. Niente in comune con quanto è accaduto di recente a Ventimiglia, confine sul mare italo-francese, dove i tunisini in cerca di migrare sono stati respinti indietro.
Sulla 7 ho visto, abbiamo visto (2.042.ooo di spettatori 9,90 di share) una Crozza in maiuscolo – la parola originale significa teschio, testa- che si chiama Maurizio. Ha una testa che funziona benissimo, bella calva,su un corpo che la camicia scura contiene appena, forme in movimento. In “Italialand” il Mau di Ballarò ha fatto meglio che in certe e incerte esibizioni in altri canali, dove non sempre riesce ad esprimersi come sa fare, e non importa indagare sul perchè.
Temevo la ripresa teatrale. E’ vero che si può sbagliare ambientando uno show da palcoscenico negli studi-caverna , come dimostrano spettacoli recenti. Ma è anche vero che la forma teatrale ha bisogno di una regia sottile e svelta, in grado di impadronirsi anche di piccoli piccolissimi dettagli per dettare stacchi e passaggi, favorire piccoli respiri, fuggevoli pause, limpidi suggerimenti visivi . Ciò che serve, insomma, per entrare e uscire, come accade qui, dalle parole di un Mattatore (il Crozza da Genova) e farlo vivere nelle musiche, nelle presenze discrete e significative dei suoi compagni del “cammino della speranza” fra tv teatro tv, Crozza funziona qui come entertainer, one man show, come fine o perfido dicitore (senza volgarità o mezzucci del vecchio mestiere). Funziona soprattutto come autore da solo o in compagnia degli altri che firmano uno show. Me ne accorsi quando, realizzando le tre serie di “Viziati” per Rai3, trovavo in lui e nei suoi interventi (ben più che scenette) idee, parole, ironia, battute non banali , a proposito della televisione e della sua infida realtà; storie e spigolature capaci di inchiodare la cosiddetta magia del mezzo alla sua responsabilità sempre più accertabile: la carenza inventiva che contraddistingue la satira o comunque lo spettacolo televisivo da dieci anni a questa parte.
“Italialand” ha parlato di Milano e dei milanesi, di Genova e dei genovesi, dei politici e conduttori tv; ma anche ha sbrigato via in fretta senza spocchia e con ironia la categoria degli ospiti, “i soliti noti” coinvolgendo Renzi o Alemanni scongelandoli dal cellophane dei luoghi comuni in cui i massmedia li avvolgono. Ad un certo punto, sul finale, è apparso Napolitano. Ha messo la testa fuori da sotto una scrivania , circondato da corazzieri, e ha chiesto un biscottino alla fragola per consolarsi delle angustie , delle montagne di castagne e rogne della politica da togliere dal fuoco.
“Italialand”, infine, è andato alla conclusione sfondando nel politically correct.”Vitti”, vidi Crozza e lo sentii , l’ho sentito, nel ricordo impossibile dei partiani in una Italia dove l’andare in montagna si confonde con la banalità dei costumi e delle mentalità (pareva di ascoltare le parole pasoliniane sulle omologazioni che livellano purtroppo anche la storia facendone un biscottino insapore).
Crozza ha chiuso con “Bella ciao”. Ma non alla Michele Santoro. La versione Gipsy King : basta un parruccone e un aria di flamenco. E la versione che conosciamo, fatta più scanzonata, sull’onda delle parole e delle musiche che sembrano smarrite. Un pò come accadeva nel vecchio varietà quando in chiusura comico e soubrette avanzavano verso la ribalta fra il tricolore e inni patriottici. Però. L’impatto e l’eco, in Crozza carenato teatrotv, è tutt’altra cosa. Si ride per non piangere. Si chiede quasi scusa.
Italo Moscati