Tamarreide – Il regista Alberto D’Onofrio a TvBlog: “Non è trash, è una docusoap sul fenomeno sociale del tamarro ed è meno di nicchia di Jersey Shore”
Il regista, autore e capo progetto di Tamarreide che firma il programma con Cristiana Farina racconta come sarà la docusoap condotta da Fiammetta Cicogna
Tamarreide, il viaggio intorno all’universo tamarro prende il via alle 21:10 su Italia 1. TvBlog ha intervistato il regista, ideatore e capo progetto Alberto D’Onofrio che ci ha raccontato come è nata l’idea di realizzare una docusoap in Italia 1 e svelato alcuni retroscena accaduti durante le riprese. Il regista parla della similitudine con “Jersey Shore“, elogia la conduzione di Fiammetta Cicogna e auspica che questo prodotto possa aprire alla docusoap in prima serata come avviene nei Paesi anglosassoni.
D’Onofrio ha una lunga esperienza nel campo dei documentari: tra i prodotti realizzati, “Oltre la notte” (Rai 3), “Viaggio a Luci Rosse” (Italia 1), “La sindrome del golfo” (Rai 3) “Erotika Italiana” (Cult), “Pelle” (All Music), Il capitano (biografia di Giacinto Facchetti) selezionato alla mostra del cinema di Venezia 2007 e “DJ stories“(DeeJay Tv).
Come nasce Tamarreide?
“Ho proposto a Cristiana Farina di MadDoll il format che avevo scritto 3 anni fa perché mi era capitato di girare delle storie sui tamarri all’interno di altri miei documentari e mi interessava molto questo mondo da cui spesso mi veniva chiesto di stare alla larga. Abbiamo sviluppato insieme il progetto e l’abbiamo proposto al direttore di Italia 1 Luca Tiraboschi che l’ha subito accolto con molto interesse. Ci abbiamo lavorato per 5-6 mesi e poi abbiamo iniziato a girare”.
Cosa ha di particolare questo prodotto rispetto ad altri?
“E’ girato sullo stile anglosassone, va in prima serata, una novità assoluta per l’Italia. Ho trovato un grande entusiasmo sin da subito del direttore di rete e devo ammettere che, senza questo interesse, senza l’appoggio di Cristiana e del produttore Mediaset Consuelo Bonifati, non avrei avuto la possibilità di girare la docusoap. Spesso prendevo accordi con gli altri autori giorno per giorno, perché volevo seguire cosa stesse realmente accadendo a questi 8 tamarri in viaggio in pullman. E’ stato stimolante, ma difficile poiché alcune dinamiche sono accadute anche alle 4 di notte. Altre situazioni, invece, le abbiamo preparate noi a loro totale insaputa”.
Vi siete ispirati a qualcosa in particolare per realizzare questa docusoap?
Vi siete ispirati a qualcosa in particolare per realizzare questa docusoap?
“Mi sono studiato molto la prima stagione di ‘An american family’, il primo documentario seriale della PBS prodotto nel 1973 che ha spaccato la prima serata americana perché fino ad allora non esisteva il fenomeno del documentario a puntate. In poco tempo è diventato un prodotto di grande successo, poiché incentrato su tematiche forti. Anch’io in un certo senso mi ispiro a quel tipo di televisione, al cinema veritè, al linguaggio della macchina a mano tipico degli anni ’70-’80”.
Non avete preso spunto anche dalla serie “Jersey Shore” che va su Mtv?
“Jersey Shore mi piace molto e racconta il fenomeno dei guidos, i figli degli italo-americani un po’ macho, in po’ muscolosi e estremi, abbastanza vicini ai tamarri che stiamo raccontando noi. In realtà il fenomeno dei tamarri italiani è molto più largo e va dai 12 ai 60 anni. Nasce negli anni ’70 nelle periferie di Torino, poi diventa milanese e si sviluppa al cinema con Diego Abatantuono e con Tomas Milian nei panni del Monnezza. Anche negli Stati Uniti il cinema dà segni di tamarri con De Niro in “Taxi Driver”; con Stallone in “Rocky”; con Mickey Rourke o più recentemente con Vin Diesel di “Fast and Furious”. Jersey Shore racconta un fenomeno di nicchia, noi uno più ampio, nazionalpopolare con un linguaggio da documentario di culto. Questo non è un reality e non c’è niente di trash, è semplicemente una docusoap sul fenomeno sociale del tamarro, orgoglioso di essere tale”.
Come sono stati effettuati i casting? Che persone volevate trovare?
“Volevamo trovare dei ragazzi che non avessero mai fatto tv, che non guardassero sempre la telecamera, orgogliosi della loro tamarraggine e che non pensassero di venire ad un casting per partecipare al solito reality televisivo. Ho spiegato sin da subito, anche impiegando parecchio tempo, la differenza tra una docusoap e un reality show: non volevo persone pronte a fare di tutto all’interno di un luogo su suggerimento degli autori. Ho parlato con loro parecchio anche dopo averli scelti, senza mai spiegare nel dettaglio, anche per mantenere una verità della loro reazione. In alcuni momenti sono stato una sorta di psicologo, in altri mi staccavo perché non volevo che diventassero troppo miei amici e perdessero quella spontaneità necessaria ad un prodotto come questo”.
Come è stato strutturato il programma?
“Abbiamo seguito questi ragazzi in un tour durato 25 giorni tra Roma, Capri, Napoli, Torino, Firenze e Milano. Abbiamo girato la loro vita reale e le loro scelte comuni e altre volte li abbiamo messi un po’ alla prova. Ad esempio, a Firenze siamo andati con loro in discoteca, li abbiamo seguiti mentre giocavano a biliardino, ma poi abbiamo creato a loro insaputa delle situazioni di contrasto che non si aspettavano (cene con principi, appuntamenti con persone che parlavano di arte) per capire quale potesse essere la loro reazione opposta a mondi così lontani”.
Che cosa è successo durante questa avventura?
“Di tutto! Sono nate storie sentimentali, di attrazione, di gelosie pazzesche e di scontri per la leadership e amicizia tra maschi. Come avviene normalmente in un viaggio di otto persone che non si conoscono. E’ una docusoap apparentemente divertente ma in realtà i sentimenti sono molteplici: ci saranno situazioni anche drammatiche e di conflitto e storie che proseguiranno fino all’ultima puntata. Vedrete soprattutto sorprese nell’atteggiamento dei ragazzi: timidi nei primi episodi, brillantissimi negli ultimi. E’ un racconto da seguire puntata per puntata che non si sa mai come vada a finire”.
Come ha reagito la gente comune trovandosi di fronte questi 8 tamarri?
“Con grande curiosità e simpatia anche quando non capiva bene costa stesse succedendo. In fondo noi dopo dieci minuti, un po’ perché ci nascondevamo, giravamo situazioni reali che si confondevano con il mondo della notte e nessuno si accorgeva che stessimo riprendendo. Tutto è stato vero, non ho mai chiesto a questi ragazzi di essere cosa che non fossero né di mettersi in posa per la telecamera”.
Insieme a loro troveremo Fiammetta Cicogna, all’apparenza opposta ai tamarri. Come si è inserita in questo progetto?
“Abbiamo ragionato molto con Tiraboschi sulla figura del conduttore. Era molto importante perché doveva essere un personaggio che facesse da filtro con il pubblico, ma con molta intelligenza e ironia fosse lontano dal mondo che stavamo raccontando. La scelta è caduta su Fiammetta, una ragazza davvero straordinaria: ha grande personalità e ironia e non gioca con la sua bellezza più di tanto pur essendo molto bella. Siamo riusciti grazie a lei ad effettuare lanci particolari dal punto di vista della fotografia, dei veri pezzi di storia introdotti con grande talento. In altri casi poi è stata coinvolta in certe scene complicate di interazione con il gruppo e se l’è cavata benissimo”.
Qual è il vostro obiettivo per questa docusoap?
“Vogliamo aprire un linguaggio nuovo in prima serata in Italia. Crediamo sia arrivato anche per noi il momento di sperimentare linguaggi innovativi raccontando delle storie reali. Questi generi, il documentario, la docufiction, la stessa docusoap, pensiamo che possano funzionare anche in prime time così come avviene in Inghilterra, Germania o Stati Uniti. Basta lavorarci seriamente, non tradendo mai l’origine del linguaggio e soprattutto raccontando delle storie che possano essere subito comprensibili al pubblico”.
Se questo progetto dovesse funzionare, avete pensato ad altri spin-off?
“Sì, ci piacerebbe andare avanti e realizzare una seconda stagione perché quando vedrete l’ultima puntata vi renderete conto che le dinamiche sono tutt’ora aperte e potrebbero continuare anche in futuro. Posso solo dire che sono contento di aver lavorato con tutti questi ragazzi perché sono stati fantastici. Da questo progetto viene fuori la vera identità del tamarro, spesso usata per prendere in giro qualcuno. La domanda che il telespettatore si porrà vedendo Tamarreide sarà: Sono anch’io un tamarro? Perché forse tamarri lo siamo un po’ tutti, o quasi”.
mb