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Italialand – Visto dalla platea. Recensione

Una recensione di Italialand. Visto da dentro e non dalla tv.

pubblicato 22 Ottobre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 02:34


Italialand è sicuramente una rivelazione per gli ascolti che ha fatto – ottimi, in generale, gli ascolti di La7 di ieri. Lo è meno per gli spettatori abituali di Crozza, che pure propone un paio di nuove parodie ma che, tutto sommato, mantiene l’impianto proposto nei due speciali già andati in onda. Con una differenza fondamentale: si è in diretta.

Visto dallo studio da cui si trasmette, Italialand è un’altra cosa. Perché si avverte la stranezza di questo ibrido che è, fra teatro e tv. In definitiva, sono le parti recitate quelle che sembrano più riuscite.

Su tutte ho amato molto la riedizione di Don Camillo e Peppone, con un Pierfrancesco Favino nei panni di Don Camillo – davvero bravo – e un Maurizio Crozza nei panni di Bersani. Un blocco divertente, trasgressivo quanto basta – quando si parla di religione cattolica e omosessualità, in Italia, si rischia il linciaggio da tutte le parti: dai cattolici e persino dalla comunità GLBT -, ben fatto. Il migliore esempio, fra l’altro, della differenza di percezione fra lo studio (teatro) e la tv: il crocifisso, bello grosso, viene calato dal centro del soffitto e inquadrato di quinta dall’alto per la resa televisiva.

Italialand Pierfrancesco Favino

Un po’ deboli, invece, i monologhi. Da dimenticare il blocco Marzullo-Della Valle.
Ma è l’industriale, lì, a far naufragare il momento: chi si appresta a farsi intervistare da Crozza in versione Marzullo, dovrebbe avere l’intelligenza di capire che, no, non deve mettersi a rispondere. Tantomeno non deve mettersi a fare un comizio pontificante. Dal pubblico, c’era tanta voglia di gridargli: “Ora basta”. Anzi, non so cosa mi abbia trattenuto dal farlo. Forse il pudore, quello stesso pudore che Dalla Valle ha mostrato di non avere, prendendosi d’imperio uno spazio pensato per altro.

Sul palco, d’altro canto, quando Dalla Valle ha cominciato una specie di delirio che lo rendeva identico al Montezemolo parodiato da Crozza – lo ha rilevato lo stesso industriale -, si dovevano troncare le velleità barricadere del “re” delle Tod’s con un «Sì, ma come?» reiterato, che avrebbe segnato la fine del comizio.
Invece, non si è saputa gestire la logorrea di Della Valle, che ha debordato mostrandosi completamente privo di ironia. E di senso della realtà. Proprio come il Montezemolo-Marzullo.

Le interruzioni pubblicitarie, viste dal vivo, si maltollerano: per un po’ credevi proprio di essere a teatro, e invece non ci sei. Si spezza il ritmo e si avverte la mancanza del fil rouge. Maledetta pubblicità. Molto gradevole, invece, l’orchestra dal vivo, incastonata in un minuscolo golfo mistico sulla destra del palco.

Italialand, comunque, è uno squarcio di intelligenza nel buio della tv italiota. Non è perfetto. Non è la grande satira degli stand up comedian americani. Ma è comunque un buon prodotto.

Crozza sa interpretare molto bene quella pancia dell’italiano che non ci sta, a subire una realtà che troppo spesso supera la fantasia degli autori comici. Ma non usa il linguaggio scandalistico della facile indignazione. Ci fa viaggiare attraverso le idiosincrasie del nostro paese: mette in scena un Napolitano che vorrebbe manifestare con i giovini indignati – ma forse solo nella fantasia di Crozza -, un Montezemolo che della vita vera non ha capito niente, un Pd devastato dalle correnti interne, il vecchio Forrest Bossi e via dicendo. A volte sembra un po’ dimesso, Crozza. Perché è davvero difficile far battute su certi argomenti che si sfottono da soli. D’altra parte è anche vero che non si può pretendere che la tv italica si spinga troppo oltre: la già citata gag con un Don Camillo che invita Gesù a fulminare i gay del gay pride è sul filo del rasoio. Poi si chiude con Kazzenger. Certo: se si prende il monologo dei dieci comandamenti secondo Berlusconi – il premier li avrebbe ridotti a sei, nella versione di Crozza – che pure strappa qualche risata, e lo si paragona ai dieci comandamenti di Carlin, be’, il confronto è impietoso.

Ma non bisogna esagerare nelle pretese.

C’è ancora qualcosa da registrare, perché è difficile incastrare per bene il linguaggio della tv nel linguaggio teatrale. Ma sicuramente è un bene che esista, Italialand. E Crozza, siamo certi, se la tv italiana gli consentisse di osare di più lo farebbe.

Maurizio Crozza