Il verme solitario della tv
Considerazioni su una tv che si prende troppo sul serio e una tv che consensifica.
Approfitto di un giorno di vacanza (almeno teorico) per provare a far prendere un po’ d’aria al cervello. Perché è bello, sapete, ricevere critiche e leggerle, soprattutto quando sono circostanziate. Lo è un po’ meno quando queste critiche vengono sparacchiate a caso da chi palesemente non legge una riga di quando scritto qui o non mostra alcuna consapevolezza su cosa sia la televisione o ancora viva di pregiudizi oppure si attacchi ossessivamente alla propria idea fissa. E’ il bello del tvblogging.
Poi uno chiude lo schermo del portatile, spegne, finalmente, la televisione – che a dirla tutta non ci sarebbe nemmeno bisogno di vederla, per parlarne – e ragiona sui fatti. E i fatti sono:
a) si parla di tv. Che è intrattenimento. E non si salvano vite umane nella contingenza. Ma tutti fanno finta di sì;
b) si parla di tv. E la tv è uno strumento di condizionamento potentissimo e di creazione del pensiero unico. Di “consensificazione”. Passatemi il neologismo. La definizione la trovate altrove.
Questo significa che la tv è divorata, dal suo interno, da un verme solitario bifronte: una delle due teste si prende troppo sul serio e non fa che guardarsi l’ombelico (i vermi hanno l’ombelico? Forse no, ma rende l’idea) e autoreplicarsi all’infinito, con una necrosi sempre più evidente. L’altra testa, invece è immersa in un concentrato di concetti-che-vanno-veicolati-al-pubblico. E’ in necrosi pure quella parte. In mezzo ci sono quelli-che-noi-siamo-diversi. Senza speranza.
Concetti rassicuranti e caldi. Anche tu ce la puoi fare a diventare famoso. Senza saper fare niente. Là fuori è pieno di mostri. Ma la tv troverà i colpevoli. Il melò nella famiglia di morti e assassini. Anche gli omicidi e le indagini possono essere soltanto una soap opera. Dai, torna a casa e spegni il cervello, hai tanto a cui pensare, rilassati. Ci siamo noi, siamo i paladini dell’antisistema: incanaliamo la tua indignazione e la facciamo diventare nostra. Ognuno, prima o poi, troverà in tv qualcosa che riterrà condivisibile.
Ecco che chi parla di tv si trova a dover parlare di questo oggetto divorato dall’interno dalla sua tenia (l’immagine è ributtante, chi dice di no?) e di fronte alle medesime contraddizioni. Se critichi e dici le cose come stanno, arriva uno che ti dice “sputi nel piatto in cui mangi”. Una roba per cui bisognerebbe togliere la patente del pensiero. Ma soprattutto, se critichi e dici le cose come stanno ti trovi di fronte all’empasse di non aver più nulla da dire, perché altrimenti devi dire sempre la stessa cosa. Se parli in maniera neutra, non prendi posizione. Se qualcosa ti piace, evidentemente sei pagato. Se parli tanto di qualcosa (e lo fai perché quel qualcosa è cliccatissimo) allora hai degli accordi commerciali. E’ faticoso. Genera assuefazione. E quando provi a spiegarlo, ti chiedi: cosa ti scriverà, il primo commentatore?
Decidi di non pensarci. A quel punto ti guardi attorno, ti rendi conto che sono nati un sacco di blog televisivi e che è cosa buona, perché tu pensi proprio che ci sia spazio per tutti – anche se qualcuno vuole per forza fare la concorrenza – e che non trovi il senso in nessun tipo di “rivalità”, e che magari da qualche parte si riuscirà a uscire dalle logiche di cui sopra, anche se vedi un sacco di gente che si prende sul serio quanto la tv – e anche tu a volte ti prendi troppo sul serio. Ma non ti prendi meriti, non pensi di influenzare la realtà, non esalti tutto quel che ti passa davanti né spari a zero senza cognizione di causa -; che non ti importa niente degli scoop perché ormai hai capito che non ci sono scoop in tv. Che è un mondo che cerca di autoproteggersi perché è fragilissimo. Ecco perché il televip si fa il blog. E cerca di farsi pure il blogger: di sedurlo e blandirlo, coccolandolo, facendolo sentire importante, regalandogli “chicche” (chicche?) di cui scrivere, su cui fare i titoloni, in cambio del fatto che forse parlerà meno delle cariatidi in 2d che popolano il piccolo schermo e guarderà di più alle lucine ipnotiche dello studio. Come una falena.
Poi c’è una via altra. Per parlare di tv. La stiamo cercando, a costo di scrivere di cose che non vi piaceranno. A costo di parlare di visioni, di opporsi senza problemi a presunti paladini. Per trovarla ci vuole tempo. Ma è proprio quando il sistema pensa di averti ingoiato per bene che smette di controllare e si riscopre fragile.
La rete non è Che Guevara. Ma qualche piccolo colpo lo può tirare, nel mucchio.
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