Il delitto di via Poma: accurato, ben scritto, ben recitato ed onesto. Ma necessario?
Il delitto di via Poma, il film-tv su Camale 5, è onesto e ben scritto, ma manca di quell’utilità realizzazione necessaria
C’è chi ha definito “Il delitto di via Poma”, il film-tv in onda su Canale 5, un istant movie, ma non sembra questo il caso. A differenza di tanti altri casi che, come quello dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, hanno scosso e stanno ancora scuotendo l’Italia, questo torna ciclicamente sulle prime pagine dei giornali da ormai ventuno anni.
Un arco di tempo impossibile da ripercorrere nel giro di poco più di un’ora, per un film-tv che, fin dalla sua presentazione, non ha l’intenzione di dare sentenze definitive, quanto quella di portare in tv le ombre di un caso la cui risoluzione sembra essere sempre lontana, nonostante le perizie, le ipotesi e le prove.
L’operazione di Roberto Faenza e di Taodue è, quindi, più complessa di quanto possa sembrare. Non si tratta, infatti, di rappresentare uno dei casi di cronaca più chiacchierati dal 1990, ma di svelare attraverso questa rappresentazione una serie di sbagli ed imperfezioni di chi ha lavorato al caso. Tant’è che, come protagonista principale, è stato scritto un personaggio immaginario, l’ispettore Montella (interpretato da un ottimo Silvio Orlando, affiancato da un’altrettanto brava Giulia Bevilacqua) che, non essendo mai esistito, puà tranquillamente sentenziare sui dubbi sullo svolgersi delle indagini che qualsiasi italiano potrebbe essersi posto.
Il delitto di via Poma
Eppure, di fronte al coraggio di imporre un punto di vista che vada “contro”, il film-tv sembra non convincere in quello che, invece, dovrebbe essere uno dei suoi capisaldi: l’utilità di un racconto la cui fine, ancora oggi, deve arrivare. Seguendo il film-tv, la sua ricostruzione accurata dei tempi, delle prove, delle situazioni prima e dopo l’omicidio, viene allora da chiedersi: era davvero necessario?
Sebbene Faenza non calchi troppo la mano sull’atrocità del delitto e su quel sensazionalismo di cui ora è intrisa la cronaca nera, ma anzi punti il dito contro tutto quello verso cui si possa essere indignati in questa storia, l’impressione è che per trasmettere un messaggio di questo tipo una fiction sia troppo.
Soprattutto perchè il caso di Simonetta Cesaroni non è ancora chiuso, la necessità di raccontare il fatto romanzandolo stona con il bisogno, da parte dell’opinione pubblica, oltre che di sapere la verità, di conoscere gli errori commessi in questi anni da quella parte di giustizia che si è occupata della vicenda.
Ci si ritrova, quindi, perplessi di fronte ad un prodotto di buona fattura ma che alla fine nulla porta in più alla conoscenza dei telespettatori. Le critiche che il film si è portato dietro in questi mesi hanno alimentato le preoccupazioni di una produzione che sfruttasse l’onda emotiva del fatto. Sebbene questo tipo di sfruttamento non sia avvenuto, le stesse immagini finali del film, che ci mostrano le riprese del reale processo con il vero Busco in aula e l’aggiornamento in sovraimpressione sullo stato delle indagini (con anche la citazione della maxiperizia ordinata ieri), fugano alcuni dubbi, ma ne lasciano aperti altri sulla sua realizzazione.