Dell’Auditel, del Qualitel, della comunicazione e altre amenità
Critiche al sistema Auditel, l’intervista a Roberta Gisotti, la possibilità di barare.
Ci sono alcuni fatti da prendere in considerazione, in ordine sparso, per arrivare a una tesi, affatto nuova ma da ribadire ancora una volta: l’Auditel è importante solo ed esclusivamente per fini commerciali.
E’ una parametrizzazione che non ha nulla a che vedere col gusto e trasforma i telespettatori in numeri per puro interesse di mercato; la sua utilità è stata distorta, fino a diventare, nella percezione collettiva, equivalente alla qualità.
Critiche al sistema
Primo: Le critiche al sistema Auditel non arrivano da oggi, sono cosa vecchia. Su questo blog abbiamo scritto più e più volte – nel corso di oltre sei anni e mezzo di attività – delle problematiche dell’Auditel. Abbiamo citato il celeberrimo libro La favola dell’Auditel, parlato della possibilità – con l’introduzione del digitale terrestre – di una misurazione puntuale e non di una rilevazione meramente statistica. La nostra Marina ha realizzato una lunga intervista a Roberta Gisotti, l’autrice de La favola dell’Auditel. Michele Biondi ha dato risonanza a un’intervista del 2010 su La Stampa che non si filò quasi nessuno: «Si può anche barare», diceva un’arpista che aveva avuto il meter per 15 anni. Con Paolino abbiamo parlato della grande approssimazione del sistema. Abbiamo scritto di Gentiloni e del suo Qualitel per la Rai, di cui non si è fatto assolutamente nulla (era il 2008), a parte un esperimento nel 2009: il risultato? Le trasmissioni “attenzionate” dal Governo Berlusconi erano graditissime: e questo è uno solo dei motivi per cui il progetto non è stato portato avanti. Perché l’Auditel è e resta una convenzione accettata da emittenti, editori e investitori pubblicitari. Una convenzione statistica, affatto esatta. Tutte le volte che abbiamo parlato dell’Auditel, lo abbiamo fatto senza alcun interesse, a differenza di chi si ricorda dello strumento solamente quando gli ascolti non dicono quel che si vorrebbe. La prossima settimana, inoltre, pubblicheremo un’intervista dedicata.
La comunicazione
Secondo: la comunicazione abilissima degli uffici stampa dei programmi ha trasformato, nella percezione dei lettori, i numeri in qualità, secondo un’equivalenza che forse può funzionare per grandi o piccoli successi, ma che va sicuramente contestualizzata. Non esiste alcun teorema o dogma che equipari la quantità di telespettatori alla qualità di un programma.
Ma gli uffici stampa, che fanno il loro lavoro e giustamente lo fanno meglio che possono, devono comunicare i risultati. Ed esaltare i programmi per i quali lavorano: è il loro mestiere, non possono fare altrimenti.
«Non mi importa degli ascolti». Invece sì
Terzo: chiunque abbia fatto successo in tv, ha dichiarato, almeno una volta, di non essere interessato agli ascolti. Lo ha fatto Bonolis, lo ha fatto Fiorello, lo ha fatto Maria De Filippi, lo ha fatto Santoro. Chiunque, prima o poi, ha ceduto alla tentazione di ringraziare – in prima persona, o in terza, attraverso gli uffici stampa appunto – il pubblico per il gran risultato ottenuto e lo ha sottolineato. La verità è che a chiunque faccia tv importa moltissimo degli ascolti, i quali devono raggiungere gli obiettivi di rete, senza esagerare – in particolare nelle commerciali – per non danneggiare, eventualmente, altre reti dello stesso netwwork.
I numeri si raccontano
Quarto: i numeri sono numeri. Ma è importante come li si racconta. E così, per esempio, ad un certo punto Mediaset si è inventata il target commerciale. Come se poi i 15-64 fossero il vero pubblico televisivo. SKY utilizza il metodo della somma dei canali e divulga la permanenza e i contatti. Sono solo un’altra modalità di racconto dei numeri, per tirar l’acqua al proprio mulino. Se ci fate caso, poi, a parte casi clamorosi che portano alla soppressione dei programmi senza troppe spiegazioni al pubblico televisivo (a quello, cioè, che non si informa approfondendo), non perde mai nessuno. Se si perde, comunque si è raggiunto l’obiettivo di rete, oppure comunque si era contro un colosso. Queste tecniche di narrazione, mescolate all’equivalenza (fallace, come credo di aver dimostrato) quantità=qualità, hanno consentito determinati fenomeni deformanti. Per esempio, il fatto che sia davvero importante – non solo per fini commerciali – quanto ha fatto un programma.
Per esempio, il fatto che un successo in termini di Auditel come quello di Fiorello diventi incriticabile. Per esempio il fatto che Santoro abbia fatto dei suoi grandi ascolti un cavallo di battaglia e che ora che le cose vanno meno bene (con tutto che il programma rimane un esperimento importante) allora si pensa a boicottaggi o complotti o simili. E si potrebbe continuare all’infinito.
In casa TvBlog
Quinto: i dati Auditel con il nostro post (che è stato, nel tempo, implementato ovunque e che ha fornito ispirazioni a destra e a manca, come i liveblogging. Cosa di cui andiamo piuttosto orgogliosi) generano discussioni infinite e sono sicuramente uno dei grandi motivi di interesse per una certa fetta di pubblico televisivo. Non tutto il pubblico televisivo: una certa fetta. Perlopiù composta da tifosi sfegatati oppure da addetti ai lavori, prontissimi ad alzare la cornetta quando qualcosa non torna loro a genio. Inoltre, i dati Auditel generano le fantasie più sfrenate in alcuni dei nostri lettori che – a volte fraintendendo il “servizio” offerto da TvBlog – vedono persino nell’orario di pubblicazine di un post una prova delle loro accuse di partigianeria. Motivo per cui, ad esempio, il post dell’Auditel ha subìto una rigorosa razionalizzazione e propone esclusivamente dati.
Mettiamo assieme i fatti e ci renderemo subito conto di quanto sia sopravvalutato – da parte del pubblico – l’Auditel; di quanto, invece, sia importante per gli addetti ai lavori; di quanto il sistema meriterebbe di essere ridimensionato. A cominciare da noi, ovviamente, e dai nostri lettori.