Frequenze Tv: Asta o Beauty Contest? In Europa si è scelto il “regalo”. I problemi (veri) sono altri
Si venderanno le frequenze tv per il digitale rimanenti, annullando il beauty contest in corso, ma non è vero che in Europa si è fatto così.
Il Beauty Contest delle frequenze per il digitale terrestre è stato al centro di infinite polemiche. Oggi è arrivata la decisione del governo Monti di approvare l’ordine del giorno presentato dall’IDV e dalla Lega Nord che dovrebbe imporre la vendita delle frequenze disponibili annullando la gara senza compensazione economica in atto ormai da mesi. La procedura di assegnazione è stata più volte rinviata dall’ex ministro Romani nell’attesa che Sky Italia venisse tagliata fuori ed è partita soltanto quando la UE ha stabilito che anche l’operatore pay avrebbe potuto partecipare.
Da lì in avanti le lungaggini, fra l’approvazione del ministero competente, quella dell’AGCOM e la composizione della commissione che avrebbe dovuto valutare i candidati, si sono moltiplicate al punto da indurre Sky a fare un passo indietro ritenendo impossibile con questa tempistica pianificare i costi e i possibili ritorni dell’operazione. Proprio il procrastinare ha impedito che ad oggi l’intera procedura fosse completata. Si può legittimamente malignare sostenendo che il governo Berlusconi volesse attendere che le acque si calmassero prima di comunicare l’esito del beauty contest.
Come noto Berlusconi e i suoi non hanno avuto l’occasione di piazzare il colpo gobbo, ma sembrava che lo stesso governo Monti fosse imbrigliato dal vincolo dell’appoggio in parlamento del PDL e non potesse fare una “scortesia” all’azienda del premier obbligandola a pagare qualcosa che riteneva di aver già ottenuto gratuitamente. La “confessione” era arrivata dal sottosegretario per l’economia Polillo a Ballarò martedì scorso.
La decisione di accogliere l’ordine del giorno arriva a sorpresa, proprio dopo le dichiarazioni di Berlusconi che aveva giurato “se ci fosse un’asta Mediaset non presenterebbe un’offerta” e la provocazione di Michele Santoro pronto a “metterci un milione di euro” con la sua alternativa alle tv generaliste. Il ministro per i rapporti con il parlamento Giarda ha comunicato che il governo fa proprio quell’ODG impedendo che in un’eventuale votazione in aula venisse fuori l’inevitabile spaccatura sul tema (IDV, PD, Lega a favore, PDL contro).
Il problema rimane comunque sul tavolo.
Sul tema si è fatta tanta (volutamente?) confusione e disinformazione. Tanti giornali, compreso Il Fatto Quotidiano, hanno dato l’idea che negli altri paesi si fossero ricavate ingenti risorse dalla vendite delle frequenze TV, ma è falso. Vero è che queste benedette frequenze hanno un valore teorico, sul mercato, di 16 miliardi di euro secondo le stime di alcuni esperti, di 4-5 miliardi secondo altri. Falso è che l’Italia stava facendo un inedito regalo alle televisioni.
Come chiunque può verificare (basta leggere il rapporto europeo del 2005 sul tema, pagina 71, l’immagine in testa al post è tratta da lì) il metodo del beauty contest, l’assegnazione gratuita delle frequenze, è stato utilizzato nella quasi totalità dei paesi europei. Il motivo? Semplice. Il passaggio dall’analogico al digitale ha liberato preziosissimo spazio nell’etere da destinare ai servizi di internet in mobilità, il cosiddetto 4G.
Si è fatto praticamente ovunque così: le tv non hanno pagato nulla (per esempio in Germania hanno ricevuto sovvenzioni per sostenere i costi necessari ad implementare la nuova tecnologia), lo switch off ha liberato banda che è stata messa all’asta per gli operatori telefonici che si sono svenati per ottenerla. La stessa cosa è accaduta in Italia dove Tim, Vodafone, Wind e H3G hanno dato vita ad un’asta con numerosi rilanci portando la cifra incassata dallo Stato quasi a 4 miliardi di euro, roba di tre mesi fa.
L’anomalia italiana è individuabile, semmai, nel primo passaggio al digitale quando il nostro paese scelse di non dare vita alla procedura del beauty contest. Rai e Mediaset (ma anche La 7, Rete A di De Benedetti e gli altri network minori) hanno ottenuto un numero di frequenze digitali superiore a quelle detenute sull’analogico (4 digitali contro 3 analogiche), nonostante la possibilità di moltiplicare i canali, senza dover spiegare cosa ci avrebbero fatto con questo “spazio”. Mediaset, per esempio, ha scelto di creare la sua pay tv generando per se stessa enormi profitti.
Se all’epoca si fosse tenuto un “concorso di bellezza” avremmo avuto l’occasione di moltiplicare, insieme ai canali, anche il pluralismo aprendo a nuovi eventuali operatori che rispettassero criteri prefissati, magari anche qualitativi per una volta. Non venne fatto così, nessuno protestò. Ora si decide di mettere in atto un’inversione ad U che porterà ricorsi infiniti e ad un’asta competitiva all’interno di un mercato che mai come ora non sembra in grado di offrire reali alternative al duopolio di RaiSet. Per quale motivo un nuovo operatore, che parte per definizione svantaggio, deve subire l’ulteriore penalizzazione di dover partecipare ad un’asta contro i colossi del settore pagando per qualcosa che gli stessi colossi hanno avuto gratis anni fa?
Sarebbe stato più sensato bloccare la procedura, escludere gli operatori già presenti sul mercato in forze garantendo una quota minima di frequenze a “nuove tv” (non quelle che vendono i materassi) e mettere all’asta il resto per gli operatori telefonici che pagano e sfruttano meglio lo spazio dando ossigeno al vero futuro della comunicazione e dell’intrattenimento: internet.
Invece lo Stato incasserà una cifra X (parte della quale da se stesso attraverso la Rai) e saremo tutti più contenti, senza aver risolto molto.