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Concordia: ecco quanto la tv sta facendo male ai naufraghi (e all’economia)

La tv ha trasformato in piccoli divi i protagonisti del tragico naufragio. Ma la pubblicità negativa di questi giorni rischia di avere epiloghi ben peggiori

pubblicato 21 Gennaio 2012 aggiornato 5 Settembre 2020 00:09


E’ passata una settimana dal naufragio della Costa Concordia, una delle tragedie che ha maggiormente catturato l’attenzione dei media negli ultimi anni, nonostante un epilogo fortunatamente meno pesante di quanto avrebbe potuto essere. Ogni trasmissione della tv generalista, che solitamente tratti o meno temi di cronaca, ha voluto dare il proprio “contributo” alla vicenda, cavalcando l’interesse degli spettatori e non rendendosi (forse) conto di aver iniziato un vero e proprio gioco al massacro.

Ospitate e interviste più o meno interessanti si sono susseguite per quasi 24 ore al giorno, tutte con un comune intento: raccontare l’orrore di quanto accaduto. Una parte dei naufraghi è diventata protagonista inconsapevole di un reality che rischia di compromettere ulteriormente una psiche già provata: da persone comuni, i sopravvissuti sono diventati dei piccoli divi con tutti i riflettori puntati addosso, cercati e coccolati da giornali e tv, che li sfrutteranno finché avranno bisogno di loro per fare ascolti e vendere qualche copia in più.

A fronte di molti naufraghi che hanno saputo rimanere coi piedi per terra, ce n’è già sicuramente più d’uno che è caduto nel tranello televisivo, credendo nell’amicizia e nell’affetto mostrato dal conduttore di turno. Anziché tornare alla realtà di tutti i giorni e iniziare il duro processo dell’elaborazione della tragedia, si è lasciato catapultare in una dimensione parallela che non fa altro che rimandare la partenza delle varie fasi che portano all’accettazione e al superamento.

Ma una volta finita l’attenzione dei media, ci sarà un’ulteriore processo da elaborare, quello della fine della propria “importanza”, come capita – o capitava nelle prime edizioni – ai protagonisti del Grande Fratello, vip momentanei che, da un giorno all’altro, si sono ritrovati faccia a faccia col disinteresse mediatico.

La tv sta quindi facendo del male ai superstiti, ma non solo a loro. Nelle varie trasmissioni, accanto a qualche raro esperto del settore, abbiamo visto i soliti tuttologi improvvisarsi esperti lupi di mare, quando nella realtà potrebbero non essere mai saliti nemmeno su un traghetto. Credendosi portavoce di un sentimento popolare, non hanno fatto altro che puntare il dito contro una presunta scarsa sicurezza, contro equipaggi inadatti, addirittura contro navi eccessivamente grandi, a detta loro.

Il risultato è stato una pessima pubblicità non solo contro la Costa Crociere – giusta o ingiusta, lo si capirà una volta terminata l’analisi della scatola nera -, ma contro le compagnie di navigazione in generale. Una disinformazione alla stregua del terrorismo psicologico che potrebbe portare danni non indifferenti ad un sistema che da decenni fa girare milioni di euro.

Descrivere una crociera come potenzialmente pericolosa significa accrescere esponenzialmente la già alta diffidenza dello spettatore, nel periodo immediatamente successivo al verificarsi di una tragedia. Il che potrebbe riflettersi in un calo drastico delle prenotazioni nei mesi a venire.

Quello che evidentemente non è chiaro ai tuttologi è che grazie ad una semplice crociera “mangiano” milioni di persone in tutto il mondo. Non solo la compagnia proprietaria delle navi e l’equipaggio che vi lavora, ma aziende di ogni tipo che, ad ogni tappa, riforniscono una nave di tutto il necessario: dal cibo al carburante, dall’elettronica alla carta igienica. Aziende che campano grazie alle collaborazioni con le compagnie e che, con un calo delle prenotazioni, potrebbero finire sul lastrico.

Prima di parlare di mancanza di sicurezza, di inadeguatezza dell’equipaggio – si è parlato tanto del fatto che non parlasse italiano, come se in una tipologia di vacanza con una clientela internazionale, dove gli italiani non sono nemmeno la maggioranza, ciò fosse assolutamente indispensabile -, forse è il caso di chiedersi se le proprie parole siano effettivamente utili o se non siano altro che benzina su un fuoco che sta già devastando un intero settore.

Ciò non significa non fare approfondimento; non significa non cercare di capire di chi siano le responsabilità di quanto accaduto. Ma si può indagare senza mostrare al pubblico decine di testimonianze che nulla aggiungono ad una vicenda già piuttosto chiara, e senza mandare in onda chiacchiere da bar tra opinionisti disinformati.