Conversazione con Salvo Sottile: «Giusto approfondire il caso-Concordia. Ho i miei difetti, ma non sono morboso. Amo il mio lavoro».
Il conduttore di Quarto Grado racconta a TvBlog il suo modo di vedere la nera, il suo rapporto con le critiche, il suo concetto di giornalismo.
Come nasce questa conversazione con Salvo Sottile? Nasce da Twitter, una decina di giorni fa. Perché, quando ci arriva in redazione il comunicato che annuncia che anche Quarto Grado si occuperà del naufragio della Concordia, chiediamo al giornalista, che usa parecchio il popolare social network, se non sia «un po’ troppo». Lui se la prende un po’, ci chiede perché non abbiamo criticato anche altri che ne hanno parlato, ne nasce una discussione online in cui, alla fine, diventa chiaro che bisogna parlarne più approfonditamente. Così, ci si accorda per una chiacchierata telefonica che vada al di là delle interviste-fotocopia cui il mondo dello spettacolo è anche troppo abituato. Il confronto fa parte parte del “formato” che abbiamo chiamato Conversazioni di TvBlog. E Salvo Sottile si è sottoposto di buon grado alla chiacchierata.
«Intanto, è un piacere parlarti finalmente di persona, dopo il nostro “scambio di vedute” su Twitter», gli dico al telefono
«Piacere mio» (ride)
«Guarda, vorrei entrare subito nel merito. Io ho visto la puntata in diretta (la prima in cui Quarto Grado ha parlato della Concordia, quella del 20 gennaio), poi mi sono rivisto alcuni pezzi in differita. Mi chiedo e ti chiedo: a posteriori, sei convinto che fosse necessario parlarne ulteriormente?
«Sì, assolutamente sì. Perché abbiamo fatto un lavoro di approfondimento. Certo, Quarto Grado, sulla nave Concordia è arrivato una settimana dopo l’evento e nel frattempo questa storia era stata macinata da tutti i telegiornali e da tutti i contenitori possibili. Però Quarto Grado ha, come “core business” – per chiamarlo così – i delitti o i gialli. E, questo, a mio avviso, e anche secondo Siria Magri (la curatrice del programma) è un grande giallo. Noi raccontiamo delle storie. Lo abbiamo fatto con la Concordia come in altri casi; in questo, per esempio, cercando di andare oltre la guerra tra schettiniani e defalchiani (dopo l’ormai celeberrima telefonata fra De Falco e Schettino, ndr). Abbiamo cercato di capire quale potesse essere lo sviluppo di questa vicenda. Perché dare addosso solo a Schettino? C’erano forse delle responsabilità anche da parte della Costa? C’erano questioni di soldi, questioni assicurative? Ci siamo posti delle domande e su quelle abbiamo fatto tre ore di trasmissione in diretta. Poi, se i numeri valgono qualcosa, abbiamo fatto il 12% su un argomento che non era prettamente di Quarto grado (il 12% è riferito alla puntata del 20. La puntata successiva ha fatto poi il 10,28%, la conversazione si colloca temporalmente fra le due puntate ndr). Quindi evidentemente la gente ci è venuta a cercare perché apprezza di noi il fatto di essere seri e di essere credibili.»
«Io però ci tengo a fare una precisazione importante: se anche la motivazione fosse stata: “è un argomento che tira, facciamo ascolti”, non ci vedo nulla di male, è nella logica televisiva. L’importante è giocare a carte scoperte».
«Io sono convinto, poi magari mi sbaglio, che Quarto Grado abbia il suo zoccolo duro di pubblico: non abbiamo bisogno di fare esperimenti. Se volessi fare le cose che tirano davvero, farei dell’altro, perché i gialli sono comunque un argomento di nicchia. La gente viene da noi per vedere quelle cose. E noi cerchiamo di immaginare il programma come un libro a capitoli, perché le storie si evolvono. Va avanti la vicenda Parolisi, va avanti la storia di Sarah Scazzi, sulla quale veniamo spesso accusati di esagerare. Ma il processo va avanti: io non so ancora come è stata uccisa Sarah Scazzi, quindi credo che sia giusto seguirlo, senza morbosità, mettendo in primo piano le vittime.
E poi, tornando agli ascolti, il venerdì sera non è una serata facile. C’è Zelig, Perego, la Bignardi. Una rete piccola come Rete 4 fa comunque fatica. La differenza la fanno gli argomenti. E nel caso di Quarto Grado, non è che parlare della Concordia ci faccia fare molto più del solito: non siamo un programma che fa il 4% e d’improvviso sale al 12%.»
«Comunque io, per dire, ho trovato sconveniente anche la doppia serata contemporanea della Rai sulla concordia».
«Eh, però poi hai criticato solo Vespa, vedi: programmi come “Chi l’ha visto” sono come una messa cantata. Siccome lo fa la Sciarelli, non viene mai criticata e quello è “servizio pubblico”. Tu mi hai chiesto: «Non è sbagliato parlarne troppo?» La risposta è sì, però era la prima volta che noi ce ne occupavamo. Vespa l’ha fatto, lo fanno i programmi del pomeriggio, per non parlare anche dei programmi Mediaset. Alla fine anche la critica a Vespa mi era sembrata…»
«Per esser chiari, se “Chi l’ha visto” dovesse rioccuparsene credo che non avrebbe più senso. Ma in quel momento mi sembrava che avesse più a che vedere con il programma, rispetto a Quarto grado.»
«Invece questo lo contesto: “Chi l’ha visto” si occupa di scomparsi, è un ottimo programma e ha fatto bene a parlare della questione, perché c’erano i dispersi. Ma allo stesso modo, io col mio programma mi occupo gialli, su questo caso c’è un giallo enorme. E’ questo che rivendico: ne parlo perché ci sono dubbi. Certo, ci occupiamo prettamente di delitti. Ma il giallo c’era anche qui».
«Però, vedi, io mi baso anche su quello che leggo in rete… è anche vero che tutti si sentono commentatori, è un po’ il bello e anche il brutto della rete…»
«Eh, sì, come gli allenatori della nazionale (ride)»
«Ecco, esatto. Però, insomma, la sensazione è che ci sia una percezione su Quarto Grado come un programma un po’ morboso, magari nei toni…
«Ma guarda, bisognerebbe definire la morbosità. La morbosità è una degenerazione, no? Un’esagerazione, il fatto di voler vedere una cosa negativa quando invece è positiva, per esempio. In cosa siamo morbosi?»
«Ti faccio un esempio: attendere in diretta la sentenza di Perugia…»
«Sì, ma io faccio un programma in diretta, non un programma chiuso, come può essere quello di Lucarelli o quello della Leosini. Noi abbiamo delle finestre aperte su quello che succede. E quindi la sentenza sul caso Meredith ci sembrava giusto darla in diretta. Ne avevamo parlato più volte,
non era per morbosità che attendevamo la sentenza, ma per darne conto mentre accadeva. Ed è successa in effetti una cosa clamorosa, in quella sentenza. Dov’è la morbosità?»
«Forse riguarda, più genericamente, il modo in cui si parla di nera…»
«Ma allora, prendiamo per esempio, i giornali… Siria Magri, Sabrina Scampini ed io non abbiamo mai fatto vedere un cadavere. Invece sui giornali li vedi. Ci sono le foto. Magari gli stessi giornali che ti criticano sono pieni di cronaca nera. In tv altri programmi fanno vedere ricostruzioni con il sangue, i coltelli. Noi non l’abbiamo mai fatto. C’è forse un limite al gusto, su quello ci si può confrontare e si può discutere, ma noi cerchiamo di entrare nelle storie e di approfondirle».
«Ma questo tipo di racconto, l’eccesso di informazione sui processi in tv, non rischia di confodere le idee? Sostituirsi al meccanismo giudiziario? L’opinione pubblica conta molto, e ci sono anche i giudici non togati, nei processi».
«Però poi la giustizia segue il suo corso. Per esempio, nel caso Meredith l’opinione pubblica era contro Sollecito e Amanda…»
«Be’, fino ad un certo punto è vero poi è un po’ cambiata la percezione. E allora, l’ingerenza continua della tv non rischia di confondere le acque? Le notizie, in merito ai fatti di cronaca, seguono un flusso continuo. Guarda anche il caso-Concordia. Ci sono aggiornamenti continui, c’è da rivedere, riparlare…»
«E infatti se serve ne riparleremo, se occorrerà. Raccontare le storie serve anche a fare domande, a scoperchiare un pentolone che altrimenti non verrebbe scoperchiato. Per esempio, sulla Costa, fa impressione che a un’azienda così solida accada una cosa del genere, che ci siano i ritardi, che non vengano calate subito le scialuppe… Poi è chiaro, parliamo di gialli, di cronaca nera. Ma è anche un modo per raccontare il nostro tempo, uno spaccato di società: nel 2012 nonostante la tecnologia una nave piglia uno scoglio e succede quel che è successo».
«Ma secondo te perché “tira” così tanto? Forse è il pubblico a essere diventato morboso?
«La storia della nave “tira” (se tira, probabilmente sì) televisivamente perché la gente non si riesce a capacitare del fatto che, nonostante si costruiscano navi di quelle dimensioni, prodotti d’eccellenza, poi basta uno sborone e muoiono 20 persone: è una cosa incomprensibile per la gente, e allora c’è la voglia di capire. Sia la verità ufficiale, sia quello che può andare oltre e che noi proviamo a raccontare, ipotizzando una verità alternativa al di là della verità ufficiale. Insomma, è anche un modo per cercare di riportare la gente a riflettere (e lo dico senza presunzione): è quello che facciamo anche in quei “capitoli del giallo” di cui ti parlavo. Abbiamo il gusto del dettaglio, se mai, che non è morbosità. E’ voglia di dare alla gente dare altri dettagli. Non so se mi spiego…».
«Ma sì, e poi è il tuo lavoro, è chiaro che tu lo difenda dalle critiche».
Ma io sono aperto alle critiche
Però ogni tanto ti in*#zzi.
Quando sono ingiustificate. Quando mi si chiede se è “troppo” e io non me ne sono ancora occupato».
«Anche in altri casi… Comunque, all’epoca del Tweet, io mi riferivo soprattutto a quel che scrisse e disse Mentana in merito»
«Guarda, Mentana mi ha insegnato tutto. Ha avuto una grande tradizione di giornalismo. E’ stato molto sulla cronaca…»
«Ancora adesso. Fa anche gli speciali…»
«Esatto, e fa anche delle cose altissime: “Bersaglio Mobile” per esempio. Fa il suo lavoro di giornalista, lo stimo, lo apprezzo. Il richiamo che ha rivolto, credo fosse un richiamo per l’esagerazione nel modo in cui si trattava l’argomento. Non certo rivolto solo a Quarto Grado. Io credo che una verità che mi ha insegnato proprio Mentana sia che la gente ha la libertà del telecomando: se vedi un programma brutto, cambi canale. Non c’è scampo».
«Be’, è anche vero che l’Auditel è diventato sinonimo di qualità, secondo me in maniera errata».
«Però noi su quello ci dobbiamo regolare. Se poi dobbiamo scegliere un altro metro lo sceglieremo e ci baseremo su quello. Ma al momento è l’Auditel che decide il destino di un programma. E alla fine non vedrai mai un programma brutto che fa il botto».
«Oddio… dipende dai gusti».
«No dai. Può fare un risultato ragguardevole che gli consente la sopravvivenza. Ma non vedrai mai un programma brutto che fa il 30%, per dire».
«Diciamo che nella media c’è qualcuno che galleggia, ecco».
«Esatto».
«Ma basandosi sull’Auditel, non correte il rischio che giornalismo e intrattenimento si sovrappongano?»
«Io non credo. L’infotainment è una forma in cui mischi la leggerezza con l’informazione. Ma a Quarto Grado non è che invito ballerine o cantanti. Vedere Quarto Grado è come comprare il Manifesto, sai già cosa trovi: è un programma di informazione, sotto testata, Videonews, di cui sono vicedirettore. E ha una squadra di giornalisti sul campo. Nessuno strizza l’occhio allo spettacolo o all’intrattenimento».
«Però non vi occupate dei gialli più legati alla politica, Alfonso Papa, Cosentino, cose del genere?»
«Be’, i gialli che strizzino l’occhio alla politica c’entrano poco con noi».
«Non fanno parte del format?
«Quarto Grado è circoscritto a una serie di gialli e di storie che sono molto connotate. Non c’è soltanto il sangue, ma sono comunque storie in cui la politica non c’entra, è cronaca pura».>
«Rispetto a come si tratta la cronaca, spesso si dice che i giornalisti leggono poco le carte. Voi che approccio avete, in merito?»
«Noi siamo diventati una specie di ufficio giudiziario, qua dentro. Sabrina Scampini studia sulle carte, io stesso lo faccio. Abbiamo un’attenzione viscerale, non vogliamo dare informazioni complete o inesatte. Vogliamo parlare con cognizione di causa, parlare dei fatti, delle carte processuali. Nessuno ci ha mai attaccati o querelati, tutto quello che abbiamo sempre raccontato era sempre basato sulle carte».
«Senti, ti vediamo spesso in trasmissione con il palmare lo smartphone accanto. Twitti un po’ in diretta…»
«A dire il vero Twitto moltissimo in diretta: voglio tenere un rapporto col pubblico che vada al di là della telecamera. Con Twitter hai un riscontro immediato su quello che stai facendo».
«Un riscontro immediato… e anche le critiche».
«Ma certo, sono quelle che ti fanno riflettere. Ti assicuro, io quando finisco di fare Quarto grado – che è una trasmissione difficile da condurre e richiede massima concentrazione – mi riguardo. Sono molto critico con me stesso. Mi rivedo, cerco di capire dove ho sbagliato, dove potevo fare meglio. E in generale nel programma siamo i primi critici di noi stessi, sappiamo che possiamo migliorare».
«Però, tornano al tema, ci sono critiche che ti fanno inc@#zare parecchio…»
«Quando le trovo ingiuste. Si possono criticare le persone senza insultarle. Io sono stato criticato da un sacco di critici. Dal Fatto, da Fulvio Abbate, da Aldo Grasso. Quando Grasso mi ha massacrato gli ho mandato un messaggio in cui gli ho detto che avevo apprezzato le sue critiche. Io le critiche, comprese quelle di TvBlog, quando non esagerate…»
(Rido)
«… io le accetto. Diventano uno spunto di riflessione. Mi fanno arrabbiare gli insulti gratuiti».
«Ok, allora fatti una critica tu».
«A volte vorrei essere più distaccato. Mi faccio coinvolgere da tutto quello che faccio, sbagliando. Visceralmente me la prendo anche per cose minime, ci tengo a questo programma e a volte me la prendo perché penso che siccome siamo su Rete4, siamo Mediaset, allora possiamo essere sbattuti al muro e gli altri invece sono quelli fighi. Sono innamorato di questo mestiere da rimanerci male di fronte a certe cose».
«Va be’, dai, un po’ di umanità sul lavoro non guasta…»
«Io sono un giornalista che viene dalla strada: ho fatto il cronista per tanti anni. Con mille difetti, cerco di riportare quel che ho imparato in televisione. Lo so, non ho una voce perfetta, ho l’inflessione dialettale, si sente che sono siciliano, a volte magari esagero nel modo di presentare le cose, do troppa enfasi, ma lo faccio perché sono innamorato del mio mestiere».
«Ecco, il motivo per cui ho voluto fare questa conversazione è proprio perché bisogna amarlo il proprio lavoro, i copia-incolla, le interviste da ufficio stampa non mi piacciono…»
«Esatto, io non mi accontento del velinismo e del copia-incolla sulle agenzie. A me piace viverle le storie. Chi lavora sbaglia».
«Purché il “chi fa sbaglia” non diventi un alibi».
«No, certo, ovvio».