#SanremoVersacci – I testi e le canzoni più brutte del Festival di Sanremo
Sotto con i ricordi più brutti. Il meglio del peggio del Festival di Sanremo, in un post e in un’hashtag.
Le canzoni più brutte del Festival di Sanremo? I versi più orrendi? Tutto quel che non vorreste mai sentire in una canzone? Diciamocelo senza peli sulla lingua: il Festival della Canzone italiana ha regalato un sacco di obbrobri, sia dal punto di vista musicale sia dal punto di vista dei testi, mostrando troppo spesso una mediocrità che sembra endemica nella musica italiana considerata mainstream (o almeno festivaliera).
E così, ecco, per il vostro sfogatoio social, #SanremoVersacci, un’hashtag con cui potete segnalare e condividere con altri disperati tutto il meglio del peggio del Festival. Se non usate Twitter, ovviamente, ci sono i commenti.
Nel frattempo, ecco la nostra selezione, d’alta scuola, con alcune chicche che ci sono già state suggerite in modalità social. Troverete, in queste prime dieci orridi esemplari di testi e versi, Toto Cutugno, Dj Francesco, Paola e Chiara, Anna Tatangelo, Marcella Bella, l’immancabile Valerio Scanu (in una canzone scritta da Pierdavide Carone, quest’anno al Festival), un Pippo Franco d’annata, il premiato duo Minghi/Mietta, Leandro Barsotti e uno straordinario Adriano Pappalardo.
Voglio andare a vivere in campagna
Al di là del coretto imbarazzante, Toto Cutugno, uno che ha fatto collezione di secondi posti al Festival, con un amarcord agreste a metà fra l’Arcadia e il ragazzo della via Gluck dà il peggio di sé:
Voglio ritornare alla campana / voglio zappar la terra e fare la legna / ma vivo qui in città, che fredda sta tribù
Francesca
Francesca di DJ Francesco (allora, Francesco Facchinetti si faceva chiamare) così è un tentativo clamorosamente malriuscito di esaltare un certo tipo di donna. Quella diversa, quella che non dice ti amo, quella che, quasi, non deve chiederemai. Il luogocomunismo trionfa in questo verso:
Francesca ha la gonna al contrario / E non ha paura / Se ti guarda negli occhi è una forza / Della natura
Per te
Alla fine di questa esibizione a Sanremo 1998, Paola e Chiara si beccano addirittura, dalla platea, un «Via, a casa». Meritatissimo. Vocalizzi iniziali senza pietà, poi un inizio da pene d’amor perduto senza dignità:
A me non ci pensi piu’? / O è che non vuoi capire che / Se qui con me ci sei tu / Qualcosa vorrà dire
Per tutte le volte che
Valerio Scanu arriva a Sanremo senza speranza. Perché la canzone è brutta forte. Ma viene ripescato e vince. Il testo, abbondantemente perculato da chiunque, regala la perla:
A far l’amore in tutti i modi / In tutti i luoghi / In tutti i laghi / In tutto il mondo / l’universo che ci insegue / ma ormai siamo irraggiungibili.
Vattene amore
E’ chiaro: ci ricordavamo tutti, benissimo, di questa canzone imputabile ad Amedeo Minghi e Mietta. E tutti ricordavamo il trottolino amoroso dudu dadada da denuncia penale. Ma Paride ci ricorda che nel testo del brano si sentiva anche questo. Roba da chiamar la protezione animali.
Ed il tuo nome sarà / il nome di ogni città / Di un gattino annaffiato / che miagolerà
Fragolina
A proposito di rime ardite, Carmen tira fuori dal cilindro un pezzo di Sanremo 1997 di Leandro Barsotti che, nel ritornello, decide di parlar d’amore rinunciando al cuore e parlando d’altre parti anatomiche:
Non andar mai via fragolina mia / non lo vedi che lo adoro / il tuo culetto d’oro
Nessun consiglio
E’ un Adriano Pappalardo straordinariamente superomistico, quello che si presenta a Sanremo 2004 e che ci viene ricordato da Alfredo: evidentemente, era l’Isola dei Famosi (Adriano fu uno dei protagonisti nel 2003) ad averlo lanciato in questa sua tendenza. Prima e unica partecipazione al Festival della sua carriera, macchiata da un testo per nulla superdotato:
Svegliarsi la mattina / colazione con i cereali / per mantenersi belli snelli / in forma non come I maiali / mi guardo nello specchio / e mi convinco di esser proprio forte
Essere una donna
C’è molta confusione, in Anna Tatangelo che cerca di spiegarci cosa voglia dire Essere una donna. Ma non è colpa sua. La trust di cervelli che partorisce una confusione anche alimentare è di Mogol e Gigi D’Alessio. Ora: pazienza per Gigi, ma uno che ha scritto per Battisti, questa straordinaria presa di posizione retorico-femminista messa in bocca a una giovinetta di appena 19 anni (all’epoca, era il 2006), be’, non ce la aspettavamo:
So che mi vedi come il miele / da mangiare tu / ma ti stai sbagliando sai / io non sono una ciliegia.
Uomo bastardo
Bonolis ha questa straordinaria idea, nel 2005, di riproporre sul palco dell’Ariston Marcella Bella. E lei ricambia la cortesia consegnando agli annali del festival uno dei più tristi versi di confessione masochistica (senza raggiungere, per dire, le vette artistiche di un «Minuetto»), anticipando, peraltro, l’insulto che poi fu proprio di Anna Tatangelo. Ché le parolacce fanno fico, ma anche l’amore disperato:
Sarai l’uomo più bastardo che amerò.
Ce lo ricorda Epizeusi
Chichichi cococo
Pippo Franco nel 1982, imbattibile in termini di versacci, propone una canzone animalesca, che vorrebbe essere surreal-nonsense ma in realtà è solo tristissima. Il ballo del Qua Qua era un’altra roba, insomma.
Chichichi cococo / curucuru curucurucu quaqua / chichichi cococo /curu curu curu curu cu qua qua.
E’ Andrea a ricordarla. Complimenti per la memoria, anche se a volte sarebbe meglio rimuovere.