Scontro fra reality: questione di tette
Un’infornata di inquadrature mammografiche per il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi.
Non ce ne vogliano perbenisti, moralizzatori o femministe (per il titolo), né libertini e amanti della libera mercanzia (per l’argomento): qui non si pensa certo che l’ostensione di centimetri di pelle sia un bene imprescindibile, nell’economia dei palinsesti televisivi. Al tempo stesso, siamo ben consci che nell’era di YouPorn, l’erotismo allusivo, sia quello soft patinato che per qualche generazione fa emergeva, proibito, da certe riviste – o persino dal catalogo Postalmarket, da una vetrina di lingerie -, sia quello più pecoreccio non scandalizzi più.
Ma ieri sera, be’, chi si fosse messo a scanalare, da una cert’ora in poi, fra Canale5 e Rai2, sarebbe rimasto semplicemente stordito dalla frequenza mammaria. L’Isola dei Famosi sfoggiava un campionario variegato di seni di varia appartenenza (Arianna David, Valeria Marini, Guendalina Tavassi e Carmen Russo), per i quali richiamare il concetto di ironia e di non prendersi troppo sul serio appare quantomeno azzardato.
Dal canto suo, Grande Fratello si accontentava – si fa per dire, naturalmente – della rediviva Cristina del Basso, abbondantemente palpata in diretta da Patrick Ray Pugliese senza che nessuno si scandalizzasse troppo o facesse la consueta retorica moralista salottiera sulle buone maniere e i buoni sentimenti e i valori della vita, senza che Alfonso Signorini si producesse in qualche filippica sul fatto che, no, le tette non si palpano così, come se fossero un peluche, perché attaccate ad esse c’è una persona.
Era forse in scena, senza che lo cogliessimo, la metafora dell’Italia mammona? La mammella veniva, una volta di più, ostentata in tv come un formoso omaggio a quella morbidezza rassicurante che rappresenta anche l’attaccamento al seno, morboso, dell’italico bamboccione? C’era un sottile e raffinato gusto per la citazione cinematografica, un riferimento a Magali Noël, la Gradisca di felliniana memoria? Un inchino alla fertilità, un augurio, una sorta di ritualità, una devozione all’abbondanza?
No. Era proprio un catalogo di pezzi di carne e basta: mancava soltanto il cartellino col prezzo. Uno sfoggio di tette, con tutti i mezzucci televisivi possibili. Strizzate, semiscoperte da abitini con scollature improbabili, evidenziate da magliette bagnate, inquadrate dall’alto, messe a navigare in abiti larghi, costrette a movimenti ipnotici da presunte prove di abilità, sostenute da tacchi trampolieri, 14 con platform. E, naturalmente, palpate. Potessero, vien da pensare, le inquadrerebbero pure dall’interno.
E lo diciamo, sia chiaro, con puro spirito d’osservazione. E con un po’ d’ironia. Ché una tetta in tv tira sempre: tira da quando la tv e il cinema erano monoutente e si chiamavano kinetoscopio. Ma non impressiona più nessuno, almeno dagli anni ’80. L’eleganza, invece, be’, quella, a trovarla, impressiona sempre.