Home Un due tre Stella – Un programma transgender. Troppo lungo, poca satira, con guizzi e tonfi

Un due tre Stella – Un programma transgender. Troppo lungo, poca satira, con guizzi e tonfi

Caterina Guzzanti promossa, satira troppo in secondo piano, ma il programma offre spunti interessanti.

pubblicato 15 Marzo 2012 aggiornato 4 Settembre 2020 06:14

Un due tre Stella – Sabina Guzzanti e la prima puntata

Un due tre Stella - Sabina Guzzanti e la prima puntata Un due tre Stella - Sabina Guzzanti e la prima puntata Un due tre Stella - Sabina Guzzanti e la prima puntata

C’erano dei problemi, ieri sera, in Un due tre Stella, su questo ci sono pochi dubbi. Troppo lungo, a tratti noioso: la diretta causa problemi (ma forse è l’unico modo per quella “libertà assoluta” necessaria per la Guzzanti? E’ probabile), se il meccanismo non è perfettamente rodato. La regia è raffazzonata. La scaletta da asciugare. I tempi da sistemare. E poi c’è il problema principale di tutti: il fatto che Un due tre Stella sia un programma che parte da assunti ben precisi, che prende posizioni, che è legato a determinate idee (a volte ideologie) e che quindi, per forza di cose, divide. Questo rende il giudizio sulla trasmissione inscindibile da quello sui contenuti divulgati e sui presupposti sui quali il programma stesso si basa. Sì: si divulgano concetti anticapitalisti, se volete anche altermondisti (se proprio non ce la fate a usare il termine con una connotazione negativa, va bene lo stesso), e la conduttrice dice pure «Cheppalle» se la pubblicità la interrompe sul più bello. Dà fastidio? Be’, pazienza. Almeno scatena qualche ragionamento che vada oltre il boom-flop.

Diamo un’occhiata ai “tweet” che ho raccolto ieri, mentre l’hashtag #unduetrestella era in cima ai TT su Twitter: è un modo ottimo per renderci conto di quanto il programma divida. Anche a “sinistra” (ho volutamente evitato i Tweet denigratori o di complimenti aprioristici)

Un due tre Stella - I Tweet

Un due tre Stella - I Tweet /3

La differenza di vedute rende perfettamente l’idea.

Caterina Guzzanti
Una delle cose che spiazzava di più, poi, era il genere. Le interviste miste ai siparietti, ai monologhi, alle imitazioni. Cosa sto guardando? Si chiedeva un commentatore. Stavi guardando un programma transgender. Un programma che cerca di ricominciare da dove si era fermato il racconto (9 anni fa) e che ha bisogno di liberarsi di una serie di lacci e lacciuoli (cit.) mentali per convincere, forse addirittura mentali. Ma anche un programma che attraversa i generi e se ne frega di farsi collocare in una casella ben precisa. Se mai, la satira latita un po’. Ma le reazioni scomposte di chi boccia il tutto come un comizietto (fra di essi anche Aldo Grasso), solo perché fra gli ospiti Andrea Fumagalli e Ugo Mattei (molto meno conosciuti di Giulietto Chiesa), non ripetono la lezioncina usuale sul debito pubblico ma propongono concetti che afferiscono ad altre scuole di pensiero, be’, non fanno un bel servizio alla critica televisiva.

Sì, è chiaro: mica ha detto verità assolute, la Guzzanti. Ma almeno ha detto qualcosa (con buona pace di quelli che amano le teleprediche di Celentano o le parodie di un vampirello di Twilight) e ci ha provato. C’è bisogno di altre idee. Buona, la Banca della Magliana, tonfo clamoroso il trailer alla Maccio Capatonda (prendete quello vero, no?). Il cartone animato sul debito pubblico funziona (ma è fatto da quelli di Beautiful Lab? O ne imita lo stile? Non si è capito. Nel caso, prendete gli originali. Nel frattempo, mi giunge conferma del fatto che il cartoon è proprio dei TiWi, quelli di Beautiful Lab). Buona anche la possibilità di vedere comici/satiri giovani. Saverio Raimondo convincente, per dire, anche se paga un po’ l’emozione per “la prima”.

Se volete il mio parere personale, per me avrebbe dovuto essere ancora più radicale nei monologhi, più dura (ma appena ha accennato un paio di line che tiravano in ballo il cattolicesimo, nel luogo dei commentatori per eccellenza, Twitter, ecco che arrivano gli infastiditi de “la religione non si tocca). C’è bisogno di un lavoro sulla scaletta, perché programmi così funzionano se hanno un ritmo più vorticoso. L’idea del conduttore fuori campo va sfruttata meglio: la Guzzanti non può anche pensare a condurre. E allora, la voice over disturbi veramente, sia dirompente in scaletta. Si interrompe qualcuno? Pazienza: si esca definitivamente dalla liturgia, e se a qualcuno dà fastidio, poco importa. La satira deve dare fastidio. E qui, la satira, è rimasta un po’ troppo in secondo piano, ha pagato un debito troppo forte all’autoreferenzialità.

Ah, sempre personalmente, ho trovato splendida Caterina Guzzanti nei panni di Vichi di Casapound (fascisti del terzo millennio) e Frassica, alle prese con solito stralunato nonsense, con più d’un guizzo.

Insomma, che risultato ha ottenuto Sabina Guzzanti? Ha dato fastidio a quelli che voleva infastidire. Ha respinto quelli che già volevano essere respinti. Chi non aveva preconcetti sospende il giudizio, apprezzando quel che c’era di buono e sperando che la prossima volta fili tutto più liscio. E’ un programma transgender, che parte da ceneri vecchie 9 anni, che fa i conti con un’evoluzione della situazione socio-politica e della stessa Sabina, e che deve ancora modificarsi per trovare una propria identità.

La7