TV FINALMENTE (3) – Non c’è bisogno di fare santo Carmelo Bene, ci ha pensato da solo anche sul video…
Al Bari Film Festival, diretto da Felice Laudadio, tra proiezioni e iniziative ha avuto grande risalto per una rassegna dedicata tutta in immagini a Carmelo Bene, attore-regista-produttore-genio compreso. Sono stati presentati i film da lui diretti come “Nostra Signora dei Turchi”, premiato nel 1968 alla Mostra contestatissima di Venezia, a “Edipo re” di Pasolini in
Al Bari Film Festival, diretto da Felice Laudadio, tra proiezioni e iniziative ha avuto grande risalto per una rassegna dedicata tutta in immagini a Carmelo Bene, attore-regista-produttore-genio compreso.
Sono stati presentati i film da lui diretti come “Nostra Signora dei Turchi”, premiato nel 1968 alla Mostra contestatissima di Venezia, a “Edipo re” di Pasolini in cui era attore.
Non sono mancate pellicole tratte da suoi lavori teatrali ad altre dimenticate, come quelle per la regia di Franco Indovina. Insomma, un panorama completo.
Un panorama tanto completo, ed è stata una delle proposte più interessanti a cura del Festival e delle Teche Rai, da comprendere le numerose performance televisive di Carmelo. Da una del 1970 mai trasmessa ,intitolata “Ventriloquio” per la rubrica di Giulio Macchi “Habitat”, al meraviglioso “Quattri modi di morire in versi: Blok, Majakowskij, Esenin, Pasternak”, e così via, fino alla partecipazione in trasmissioni condotte da Maurizio Costanzo prima in Rai e poi a Mediaset, negli anni 9o.
Queste performance nei talk show erano e sono sul piano di una valutazione del suo modo di stare in tv una delle spie migliori per apprezzare il lavoro del grande artista. Il quale, come mi confidò mentre dirigeva il suo “Amleto” nel video ancora in bianco e nero, partiva dal concetto di fare un vero e proprio netto bianco e nero, togliendo il grigio che nelle sfumature inquinava la tv dall’inizio delle trasmissione, il 1954, proseguendo negli anni Sessanta e Settanta, invadendo anche la televisione a colori a partire dal 1978.
Era metafora. Carmelo voleva denunciare il falso della tv, indicato dai suoi grigi di immagine e di contenuti, anche nei programmi a colori (essi stessi dominati dal grigio nelle idee e delle estetiche), e liberare la tv da se stessa. Era una metafora e anche un’utopia. Anche oggi varrebbe la pena di ricordarsi che le tv, e non solo la Rai, sono soffocate dal grigio nei progetti e nelle realizzazioni.
Carmelo sapeva che la sua partecipazione ai talk show (con o senza Costanzo) ricadeva nelle trame della tv incapace di cambiare e invece capace di insistere nei suoi errori, e comunque accettava il gioco. Anzi, dava corda. Si prestava alle provocazioni, ritenute tali, e a sua volta le…provocava.
Uno spettacolo di “sincera” finzione in cui Carmelo era semplicemente un uomo-sandwich, nel senso che faceva una abile e scoperta “propaganda” a se stesso, contro tutti, conduttori, pubblico, opinionisti, che speravano di scatenarlo nelle feroci e comunque meditate veemenze per fare spettacolo.
Carmelo era un artista che si era fatto da solo. Contro l’Accademia, contro la scena e il cinema ufficiali, frequentando a sue spese piccoli teatri, dove incantava i critici e faceva la pipì sul pubblico per stupire.
Era contro le sovvenzioni dello stato, date solo a macchine politiche che alimentavano forme e idee morte, parassitarie. Non sopportava gli intellettuali di di sinistra o di destra, quelli insomma con il distintivo di appartenza nel cervello, e cercava vie personali, nuove anche se pescava nel passato.
Sono “inattuale”, diceva, come Pasolini che diceva a sua volta “sono una forza del passato”. Sapevano di essere nel “futuro”.
In tempi di avanguardie che si perderanno ,Carmelo e Pasolini erano l’inedito, erano la sorpresa, erano le voci e i corpi freschi che erano odiati dai custodi del politicamente corretto, della cultura e dell’arte allineate.
L’occasione di Bari, a dieci anni dalla morte di Carmelo, è stata preziosa. Sia per le immagini che per i contributi verbali esposti in convegni dedicati alla duttilità dell’artista e alla sua ininterrotta, sorprendente coerenza.
Carmelo aveva scritto,dopo “Nostra Signora dei Turchi”, un altro testo di umori, sapori, atmosfere, storie di spiritualità incarnata.
Era dedicato a San Giuseppe da Copertino, il santo che volava e che fu punito dalla chiesa e poi riabilitato.
Ecco uno snodo. Quando lessi la sceneggiatura- che non divenne mai film- mi apparve chiara una cosa soprattutto: il corto circuito tra creatività e simbolismo feroce, robusto, implacabile, anche se in apparenza volative e passatista era la vera risorsa di cui era capace Carmelo. Trovava tutti, o molti, sgomenti o impreparati.
Era il suo scandalo. Che in tv praticava stando seduto in studio e volando alto, molto alto, anche quando sembrava sornione o fragorosamente irridente. Volava, il san Carmelo laico, sulle miserie del piccolo schermo, falò delle vanità e dei “grigi” e del “grigiore”a getto continuo.
Italo Moscati