Dr. House, stanotte in America il finale (che chiude un’era per i telefilm)
In America va in onda l’ultima puntata di Dr. House, il medical drama della Fox che ha lanciato un personaggio lontano dai canoni dei telefilm di allora e che insieme ad altre serie tv che hanno esordito nel 2004 ha dato il via ad un’era tutta nuova per i telefilm
E così, nel giro di una settimana, si chiudono due telefilm che hanno segnato la storia della serialità televisiva nei primi anni Duemila: se la settimana scorsa ci è toccato salutare “Desperate Housewives”, il suo fascino glam ed il girl power rinnovato, stanotte l’America vedrà l’ultima puntata di “Dr. House”, che si conclude dopo otto anni di messa in onda.
Inutile perdersi in elogi già scritti verso una serie tv che, inaspettatamente, è diventata in poco tempo una delle produzioni più acclamate da critica e pubblico. Perchè “Dr. House” è diventato cult quasi da subito: non ha avuto bisogno di ingranare, fin dal primo episodio il protagonista ci spiazza e ci mostra come l’essere bastardi possa pagare, almeno in tv.
Idea semplice e che riprende in parte la tradizione (con i riferimenti a Sherlock Holmes dichiarati da subito da parte del creatore dello show David Shore), la serie va controcorrente, mostrandoci non l’evoluzione del protagonista, ma la sua implosione, l’autolesionismo, il pessimismo di chi non ha nulla da perdere. Anche Hugh Laurie, straordinario interprete di Gregory House (ed a cui non è mai andato un Emmy Award, nonostante le numerose candidature, e di cui è doveroso ricordare il doppiatore per sei anni, Sergio Di Stefano, scomparso due anni fa), non aveva da perdere nulla nel recitare la parte del medico senza camice, con un bastone e che cura i pazienti senza visitarli. E ci ha guadagnato più di tutti.
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Drogato, arrogante, capace di raccontarti la verità senza giri di parole e senza il timore di ferire nessuno: House è stata la valvola di sfogo del pubblico, colui che molti di noi avrebbero voluto essere almeno una volta nella propria esistenza, davanti al proprio capo, alla propria compagna, a chi dobbiamo sopportare e di cui faremmo a meno. House, se gli stai antipatico, te lo dice senza problemi: la sua forza sta nella verità, quella stessa verità che lo porterà a compiere atti estremi che coinvolgeranno anche il suo team ed il suoi colleghi.
Dai primi tre medici al lavoro col diagnosta (Cameron –Jennifer Morrison-, Chase –Jesse Spencer– e Foreman –Omar Epps-) al suo capo, l’amata/odiata Cuddy (Lisa Edelstein,che però è assente nell’ultima stagione), fino al migliore amico, il “buon” Wilson (Robert Sean Leonard), che cerca di frenare i suoi impulsi spesso non riuscendoci: tutti loro vengono assorbiti dalla genialità del protagonista e si avvelenano di quella pozione offerta loro inconsapevolmente e che li renderà dipendenti da House, chi più e chi meno.
House stesso diventa una droga, come quel Vicodin di cui lui in primis è assuefatto, unico modo per uscire dal doloroso mondo che deve sopportare. Anche il pubblico entra nella sua rete, stagione dopo stagione, si chiede se potrà mai guarire, non dal dolore alla gamba, ma dal dolore di vivere e di voler essere infelice. E’ un bivio, quello che a cui si trova di fronte House fin dal pilot: mollare il passato e guardare con ottimismo al futuro o portarsi il fardello di dubbi esistenziali che lo hanno sempre assalito fin dove il peso lo schiaccierà?
Gli sceneggiatori hanno giocato con questo dubbio amletico nel corso degli anni, cambiando scenari (il centro di cura psichiatrico, la prigione) e personaggi (la seconda squadra, con Kutner –Kal Penn-, Taub –Peter Jacobson– e Tredici–Olivia Wilde-, ma anche Martha –Amber Tamblyn-, fino alla squadra dell’ultima stagione, con Park –Charlyne Yi– e la Adams –Odette Annable-). Il risultato è stato un gioco a cercare di sollevare House da quell’abisso in cui sembra trovarsi ancora da prima che il pubblico assistesse alle sue avventure.
Un enigma, un concentrato di temi etici e filosofici (con tanto di libri e tesi di laurea dedicate), un groviglio di emozioni inespresse ed un unico finale quesito: House sopravvivrà?
Non ci è dato saperlo, per ora, ma l’ultima puntata di “Dr. House” chiude definitivamente un’era, quella delle serie tv diventate storiche e che hanno cambiato il panorama seriale negli anni successivi. Non a caso, all’inizio del post, abbiamo citato “Desperate Housewives”. Entrambe le serie sono iniziate nel 2004, un’annata che resterà nella storia della tv come quella in cui si rivoluzionò l’idea di fare telefilm che c’era fino ad allora: quello, per intenderci, è stato l’anno di “Lost”, di “Battlestar Galactica”, “Rescue Me”, “Deadwood” e “Veronica Mars”.
Tutti telefilm conclusi, tutte serie che in un modo o nell’altro fanno parte di quell’onda rivoluzionaria che divide le serie da un prima statico ed abbastanza prevedibile ad un dopo fatto di personaggi meno rassicuranti e per questo affascinanti. “Everybody dies”, “Tutti muoiono”, è titolo del finale di “Dr. House”. Tocca anche ai migliori telefilm.