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Il presunto killer di Brindisi e i media

Sbatti il mostro in prima pagina e poi guarda l’effetto che fa. Tutte le responsabilità del giornalismo d’informazione.

pubblicato 26 Maggio 2012 aggiornato 4 Settembre 2020 04:30


Ieri, a Quarto Grado, hanno mostrato due fotogrammi «in esclusiva assoluta» in cui, si legge nel comunicato stampa, viene mostrato il «presunto attentatore». Immagini simili – non le stesse: quei due fotogrammi erano in «esclusiva assoluta», appunto. Per scelta personale, non vi ripropongo il doppio fotogramma – sono state pubblicate su svariati siti di informazione, divulgati con ogni mezzo d’informazione. Alcuni hanno oscurato il volto, altri no. Era necessario?

In questo quadro di caccia all’uomo – scanalando, un paio di giorni fa, ho visto in un Tg l’appello degli inquirenti, piuttosto esasperati, a far sì che si permettesse alle indagini di fare il loro corso in maniera serena – si colloca anche la gaffe-su-Twitter di Sandro Ruotolo, che dava in pasto ai suoi followers cognome-nome di un possibile sospettato, mostrando anche la foto dell’abitazione. Era necessario?

Non c’è da stupirsi che, all’uscita della questura brindisina la folla abbia tentato un linciaggio, sbagliando bersaglio, visto che ad essere colpite sono state auto della polizia senza nessun altro (né sospettato né colpevole) a bordo. E allora mi chiedo e vi chiedo: non sarebbe il caso di fermarsi? Di utilizzare anche questo tragico caso di cronaca come spunto di riflessione per capire che il giornalismo e l’informazione (soprattutto quelli televisivi, ma ormai vale anche decisamente per il web) si devono porre dei limiti, devono rispondere deontologicamente delle proprie responsabilità, non possono fingere di ignorare il proprio potere di condizionamento?

Che senso ha scatenare la caccia all’uomo diffondendo le immagini del «presunto attentatore»? Ha un senso diffondere un identikit. Ha un senso diffondere immagini di chi commette un reato se serve per identificarlo. Non ha senso divulgare immagini – nemmeno oscurando un volto – di un presunto attentatore. Tant’è che la fuga di notizie è stata aspramente criticata dagli inquirenti: c’era un vantaggio per chi conduceva le indagini. Con la pubblicazione delle immagini, questo vantaggio è andato perduto. E, soprattutto, si è scatenata la caccia all’uomo (decine e decine le segnalazioni di persone che sono convinte di averlo riconosciuto, ma fino ad ora un colossale nulla di fatto). Se si pensa che sbattere il mostro in prima pagina (anzi, il presunto mostro) possa aiutare, be’, forse abbiamo sbagliato tutti qualcosa.