Conversazione con Gerardo Pulli: «Il talent ha una funzione sociale. Non sono pronto per i live. L’amore per Valeria non è da classifica»
Il reuccio di Amici 11 si confessa a tutto campo su TvBlog
Gerardo Pulli, vent’anni appena compiuti, torinese, figlio di una mamma insegnante e di un papà architetto. Ha vinto Amici 11 e ha inciso il suo primo omonimo ep di sette inediti, da lui scritti e composti, con la produzione dell’etichetta Non ho l’età di Mara Maionchi e la distribuzione della casa discografica Emi (si può scaricare su www.itunes.it/gerardopulli). Questo secondo la cartella stampa.
Ecco, invece, come la pensa chi lo ha seguito quest’anno ad Amici. Gerardo Pulli, ventenne strafottente, ha vinto l’undicesima edizione del talent show, nella categoria Giovani del canto, dopo essersi meritato una sospensione per una settimana, a causa dei ripetuti ritardi a lezione, il vizio di fumare in bagno e l’ostentato rifiuto delle regole scolastiche. In molti, chi scrive in primis, vi hanno visto talvolta un cattivo esempio, al di là dell’antagonismo televisivo con la prof.ssa Grazia Di Michele, che ha rievocato l’antico dualismo con l’altro reietto più amato, Marco Carta.
La mia opinione, che gli ho anche manifestato personalmente, è che Gerardo sia stato il tamagotchi di quest’ultima edizione di Amici, letteralmente dipendente dai suoi umori per tenere alto l’interesse sugli altri, più anonimi, Giovani. Conversando con il giovane cantautore “alienato”, che forse gioca a fare il ribelle, forse lo è sul serio, vorrei capire quanto personalità televisiva e scommessa discografica possano convivere.
Gerardo, quanto Amici ha dato a te e quanto tu sai di aver dato ad Amici? Ad esempio, hai realizzato di aver dato ad Amici un intero daytime?
“Io posso dire quello che Amici ha dato a me, cioè che è stata un’esperienza forte a livello sia emotivo che artistico. Se io parlo con te io mi faccio un’idea di te, ma se un esterno mi chiede che idea tu ti sia fatto di me io non lo so. Io non sono in grado di stabilire cosa ho dato a loro”.
Hai dato ad Amici, almeno, un vincitore, peraltro per molti annunciato. Non trovi?
“Il vincitore, ogni anno, ce l’ hanno e io quest’anno ero convinto sino all’ultimo che al mio posto ci fosse Ottavio. Ho sempre cercato di essere un po’ fuori dal sistema televisivo, non sentivo mai la sfida con altri, la vedevo solo come una possibilità per esibirmi. Ma l’impostazione di Amici la trovo geniale. Sembra il programmetto per i giovani, ma lì se leggi tra le righe ci sono note interessantissime”.
Ad esempio?
“Amici dà a un giovane la possibilità di parlare per un anno, cosa che un gestore di un locale non ti dà per una sera. In altri programmi tv, con i tempi strettissimi, non riesci a farti ascoltare nello stesso modo. Ad esempio, sono andato in un talk show di Rai Gulp, di recente. Si è parlato tra le altre cose di bullismo, ma in maniera un po’ superficiale”.
Tu stesso, però, ad Amici sei emerso spesso come un ragazzo ribelle e istintivo. Che messaggio pensi di aver fatto passare, con i tuoi comportamenti irrispettosi verso le regole?
“Io penso che le persone non debbano né sovrastare le regole, né farsene comandare. Siamo già troppo privi di libertà. Ciò non significa essere ribelli, ma avere una filosofia propria nel rispetto delle libertà altrui. Io sono contro ogni forma di violenza, rispondo solo se c’è un’opposizione. Mi ritengo uno oppresso dalla società, perché sono convinto che siamo controllati dall’alto. Uno si alza alle sette, fa colazione, accompagna il figlio a scuola, a mezzogiorno stacca dal lavoro, poi riprende, torna a casa, guarda la tv, va a dormire”.
E come sei finito, allora, a partecipare a un talent show legato alle logiche di mercato?
“Io ero uno prima che non guardava tv. Non ho mai seguito neanche i talent. Per il rotto della cuffia, siccome avevo troppa fame e non ce la facevo più a stare chiuso nella mia cameretta a suonare, sono andato a Roma con la chitarra per provare. E dire che mi opponevo quando mi dicevano di andare. Dopo essere stato tanto scettico sulla tv, ora dall’interno la trovo geniale. E’ la tridimensionalità della comunicazione. A chi dice che è pericolosa rispondo che anche una penna può cavarti l’occhio”.
Quindi hai cambiato idea anche sui talent?
“Il discorso sui talent è un po’ delicato. Una volta si andava in giro coi cavalli, oggi ci sono le macchine. C’è stato un percorso evolutivo, un po’ per pigrizia dell’uomo, un po’ per benessere sociale. Una volta c’era la gavetta, dovevi sfondare delle porte con la testa, oggi è difficile basare una carriera su questo. Con la crisi economica che c’è, quando chiami un locale per fare serate, il gestore ti chiede di portargli pubblico. Per questo trovo che il talent assuma una funzione sociale. E’ una delle poche strade che rimangono per i giovani e per questo non ci sono persone fatte per i talent e altre no. E’ un occasione che può dare a chiunque carte giuste, poi sta a te usarle bene. Per il resto non è nulla, tutto inizia da quando esci da lì. L’errore più grande che tu possa fare è pensare di essere arrivato, invece non sei nessuno. Anche dopo aver vinto Amici, tutto sommato, non è successo niente di che”.
Orde di fan che ti fermano per strada e popolarità alle stelle non vogliono dir nulla per te?
“Il concetto di popolarità in televisione, oggi, è molto relativo. Se uno di noi esce per strada e ammazza due persone diventa famoso. Anche la gratitudine verso i fan risulta banale. E’ bello stare allo stesso livello del pubblico. Quando facevo serate con dieci persone davanti e gratis, per pura passione, era bello lo stesso. E’ bello vedere uno che sta fermo e t’ascolta, non che applaude ogni cinque minuti. Magari può dire no, non mi piace, però ti ha ascoltato. Quelli che dicono che la mia musica fa schifo hanno tutti il diritto di farlo, purché l’ascoltino prima. Questa libertà dovrebbe esserci non solo nella musica, ma anche fuori”.
E’ un po’ la libertà che ancora resiste nel web. Tu, ad esempio, che rapporti hai con le critiche, spesso feroci sul tuo conto, che si leggono su Internet?
“In realtà ho sempre letto poco, anche durante Amici. Non passo la giornata davanti ai social network, a seguire tutto. Non mi piace schiavizzarmi con gli oggetti elettronici. Ho smesso anche di giocare a calcio, perché non mi togliesse tempo per scrivere”.
A cosa ti ispiri maggiormente quando scrivi un brano? A qualcuno o a un genere musicale?
“Mi ispiro a me. Anche a scuola mi facevo i fatti miei, non avevo coetanei per parlare, me ne stavo sempre chiuso in camera mia. Questo fattore qui mi ha fatto pensare tanto. Sono stato chiuso in un guscio per mio volere, ma immaginavo cosa succedesse al di fuori. Non sono mai stato uno che leggeva, si informava. Ho pensato tanto a me. Poi, quanto alle ispirazioni musicali, ho il periodo jazz, il periodo elettronica, quello De Gregori o quello Bob Dylan. Dipende dalle esigenze interiori del momento. Ma la musica è una sola, tutta la musica è medicina. Sembra una cavolata, ma è così. Penso a com’è nata Io sono ai Tropici, era la settimana di Sanremo e avevo la febbre. Perciò decisi di non andare a calcio e di curarmi con la scrittura. Da lì ho abbandonato definitivamente il calcio”.
Ecco. Perché il mondo va a rotoli, Gerardo?
“In generale non mi piace spiegare i brani, il bello della musica è che è un campo aperto e io sono per il libero arbitrio nell’interpretazione. Per me il mondo va a rotoli perché la gente non è più alla ricerca di se stessa. Per Nietzsche, ad esempio, è un errore che la gente impari a leggere e scrivere perché glielo impongono. Io la penso come lui: non dovrebbe esserci nulla di male a imparare a farlo a vent’anni perché lo si vuole. Io ho solo la licenza media e non intendo comprarmi il diploma. Lo prenderò solo quando riuscirò a tornare a frequentare seriamente e con costanza. La cultura non si compra”.
Insomma, sei stato anche uno studente insofferente alle regole?
“Una cosa che mi ha fregato un po’ a scuola è stato il fattore razionale. Io andavo male nelle scienze, non perché mi rifiutavo di studiarle. Sono consapevole che, se vuoi fare successo, la matematica è fondamentale. Noi stessi siamo numeri, basta vederlo dalla carta d’identità. Nella società la matematica è Dio, è tutto una formula matematica al millimetro. La matematica l’ha inventata l’uomo, è una dittatura perché non è un’opinione. Io ho pensieri più empirici, perciò adoravo le materie letterarie. Se mi davano da studiare Leopardi le leggevo perché mi piaceva farlo. E’ sbagliato, ripeto, che l’istruzione sia imposta, la cultura se la vuoi te la fai per passione”.
A proposito di scuola, con il tuo compagno di classe ad Amici, Stefano Marletta, hai avuto un rapporto di grande complicità.
“Tra me e Stefano c’è sempre stato un creativo scambio di idee, anche se molto diverse. Ci è piaciuto scrivere il brano Estate per Claudia, è un vestito che le abbiamo voluto cucire addosso. La penso come il buon Marletta, quando dice che l’amore in fondo sia sempre una buona scusa per scrivere. Ma, a chi dice che io scrivo solo canzoni d’amore, dico che sbaglia”.
In poche parole, il Gerardo pensiero è tutto il contrario di tutto?
“No, voglio dire che nei miei pezzi c’è una rivoluzione interiore e una voglia di liberazione da un senso di alienazione, soprattutto sociale. Scacco matto parla della lotta contro se stessi, di un uomo che gioca a scacchi contro se stesso e riesce a perdere. All’interno di questa partita c’è una sorta di metafora sociale: negli scacchi, anche se ci sono due re, uno si salva sempre e non è giusto. L’amore diventa una tappa fondamentale, perché tutti abbiamo bisogno di un nucleo affettivo, ma non è l’unico tema su cui mi interrogo”.
Fuori il prossimo.
“Un altro tema su cui sembro contraddittorio, oltre che ingenuo (me ne rendo conto), è la politica. Io non penso che il politico sia dittatore, ma che lo sia la politica in sé. Ma penso anche che l’anarchia non esiste, che sia un’utopia perché, se noi facessimo l’anarchia oggi, si creerebbero tante dittature e non ci sarebbe più il rispetto reciproco. Per quanto è egoista l’uomo, avremmo a un certo punto troppa fame di noi stessi e andremmo a calpestare il giardino vicino. Io credo nel popolo però, su questo ho delle idee ma sono molto impossibili. Per questo alla fine reagisco con il rifiuto”.
Basta massimi sistemi. Chi avresti voluto vincesse tra i Big e pensi abbiano avuto più spazio di voi Giovani al serale?
“Non c’è bisogno che sia io a dire che Alessandra sia una cantante eccezionale. Tra i Big trovo Pierdavide un ottimo autore. Annalisa ha degli spunti interessantissimi, come anche Emma, Antonino… Tutti i Big avevano un percorso più avviato, ma come noi vogliono fare musica e avevano il diritto di farla sentire. Non c’è una primadonna. Siamo stati messi allo stesso livello, i tempi televisivi erano simili anche se suddivisi in maniera diversa. Se c’è una cosa che io odio è quando vengono messe a tacere le persone”.
Progetti per il futuro. Farai un duetto con Valeria? Sanremo? Live?
“Quello con Valeria è un rapporto come un altro che non vogliamo portare in classifica. Se tu sei architetto non è che a tua moglie, a casa, dici se vuoi fare un progetto insieme a lei. A lei piace molto cantare, io amo molto scrivere e sono passioni interiori. Il fattore artistico non c’entra nulla col voler stare con una persona. Sanremo, sì, mi piacerebbe farlo. Per i live non sono ancora pronto. Ho un repertorio di sole sette canzoni mie e vorrei scrivere altri pezzi prima. Soffro troppo nel cantare cover. Ad Amici era giusto farlo per mettersi alla prova, ma io penso che le canzoni di Stevie Wonder possa cantarle solo lui”.
Perché ti fai tanti problemi, Gerardo, molti più di tanti ragazzi della tua età? Anche se molte delle risposte sono, come tu stesso riconosci, ingenue, intanto ti fai delle domande.
“Io ora vi sto studiando tutti in questo momento. Mi piace psicanalizzare le persone. Lo faccio anche se vado dal barista o al tabaccaio a prendere le sigarette. Poi sono un po’ asociale, prima ero molto timido, ora lo sono un po’ meno. Io faccio fatica a relazionarmi. Non ho mai seguito mode precise. Vorrei far passare quantomeno il messaggio che non è vero che il giovane è bamboccione. Ci hanno imbottito di sovrastrutture”.
Tante idee, forse un po’ contorte e confuse. Ma io e gli altri giornalisti presenti all’incontro non ricordiamo, comunque, altri giovani Amici di Maria così presi dall’interrogarsi su se stessi e sul senso di quello che fanno, più che dai fan. Il che è già qualcosa.