Enrico Beruschi a Tvblog: “Una volta lo scemo del paese doveva essere protetto e curato: adesso viene buttato in tv”
Enrico Beruschi, storico comico di Drive In e Non stop, confessa a Tvblog il suo disamore per la comicità moderna: “Manca la gavetta”
Enrico Beruschi, milanese, classe 1941, protagonista di Non Stop, La sberla, Drive In, Emilio: programmi che hanno rivoluzionato la tv italiana. Il nostro viaggio nella comicità sul piccolo schermo, iniziato con Beppe Tosco e proseguito con Daniele Raco e Fabio Bonifacci, continua con lui.
So che in questi giorni hai festeggiato i quarant’anni di carriera.
“Sì, diciamo che proprio a luglio del 1972 mi esibivo per la prima volta in pubblico, sul palco del Derby. Ricordo che ho cominciato a fare cabaret perché nell’azienda in cui lavoravo non mi avevano dato un aumento che credevo di meritare”.
E a quasi quattro decenni di distanza ti abbiamo visto l’anno scorso nella sit-com Io e Margherita, con la storica compagna di lavoro Margherita Fumero.
“Che i più giovani conoscono perché è la Vanda di Camera Cafè, ma in realtà ha alle spalle una carriera eccezionale. In ogni caso sì, siamo riusciti a realizzare questa sit-com con puntate di dodici o tredici minuti, la giusta misura, in cui abbiamo provato a far ridere senza essere volgari o parlare di politica. Oggi non lo fa praticamente nessuno”.
Non ti piace la comicità italiana attuale in tv?
“Poco. Ogni tanto mi ancoro al divano, mi costringo a guardare un programma, ma non ce la faccio. Il motivo è presto detto: una volta, prima di arrivare a fare il cabaret, il varietà, l’avanspettacolo, c’era un filtro fondamentale, cioè quello della gavetta, il dover farsi le ossa. Adesso non è più così. Oggi uno si sveglia, racconta una cazzata, gli dicono che è un comico e lo buttano in televisione. Ma fare il comico è più di dire una barzelletta. Per carità, anche io la prima volta sul palco ho debuttato raccontando tre barzellette, ma poi mi sono costruito il repertorio nel corso del tempo. E infatti ho esordito in televisione solo sei anni dopo”.
Manca la gavetta, quindi.
“Sì, ma forse è anche giusto così, visto che ormai la tv è un bene di consumo rapido, usa e getta. Quello che non è giusto è che chi va in televisione diventi automaticamente un personaggio importante. Una volta nei piccoli villaggi c’era lo scemo del paese, che doveva essere protetto, curato e coccolato. Oggi lo scemo del paese viene buttato sul palco. In televisione ci sono troppi scemi del paese”.
Addirittura.
“Oggi non c’è più il cabaret. Oggi c’è solo lo sparare nel mucchio, lavorare come vuole il padrone. E la satira? Dovrebbero cercarla a Chi l’ha visto?. Ma è un problema più generale, di insegnamento, retroterra culturale. Vai a chiedere a quanti fanno satira oggi se sanno cos’era il Bertoldo. Nessuno ti risponderà”.
E la soluzione c’è?
“Occorre alimentare speranze, ma non creare illusioni. Credo che i giovani meritino una possibilità, ma questo non significa essere teneri con loro: non vanno coccolati, ma è necessario spiegare loro come funziona la vita”.
E di giovani comici ce ne sono?
“Se quest’anno il Festival Nazionale del Cabaret non si è tenuto perché l’organizzatore Mauro Giorcelli non è riuscito a trovare dodici persone che meritassero di arrivare in finale, significa che c’è qualcosa che non va”.
Insomma, la situazione non è delle migliori.
“Sì. Direi che in questo momento l’umorismo scarseggia, la satira latita e la comicità va a fasi alterne. Uh che bella frase che ho detto, aspetta che me la segno”.
Non salvi nulla?
“Certo che sì, soprattutto in estate ci sono un sacco di programmi che mi piacciono, come Dadada e quello iniziato da poco, Techetecheté”.
Ma come, sono solo spezzoni di trasmissioni vecchie.
“Appunto…”