Home Notizie Berlusconi e Santoro, la tauromachia in 10 punti. Quando il toro ride e il torero vede rosso

Berlusconi e Santoro, la tauromachia in 10 punti. Quando il toro ride e il torero vede rosso

Ne abbiamo scritto tutti. Qui ne abbiamo scritto prima contro (Che brutto servizio pubblico), poi pro (Servizio Pubblico, Santoro poteva fare meglio ma le domande c’erano). I tifosi dell’una e dell’altra parte si sono divisi come le curve di uno stadio e l’oggettività è un essere mitologico che non si può pretendere di afferrare. Si

11 Gennaio 2013 15:33

Ne abbiamo scritto tutti. Qui ne abbiamo scritto prima contro (Che brutto servizio pubblico), poi pro (Servizio Pubblico, Santoro poteva fare meglio ma le domande c’erano). I tifosi dell’una e dell’altra parte si sono divisi come le curve di uno stadio e l’oggettività è un essere mitologico che non si può pretendere di afferrare.

Si può, però, raccontare la trasmissione di ieri in 10 punti. Come uno spettacolo. Una corrida.

10. Ah, la tauromachia

Si parte con «Granada» e Santoro è nei panni del torero. E’ lui che costruisce questo racconto col suo monologo. Dunque, siamo nell’arena: sarà un uno contro tutti. Brividi, perché si sa che il toro, quando è messo alle strette, tira fuori tutte le sue armi. Nella corrida di Servizio Pubblico, il matador Santoro non riesce ad affondare la spada, i banderilleros (Innocenzi, Costamagna) i picador incalzano, il pubblico tifa (e a volte, però, parteggia per il toro e lo trova, tutto sommato, simpatico), il rejoneador (Travaglio, dall’alto del cavallo del suo monologo) gira attorno al bersaglio senza colpirlo davvero e alla fine chi vede rosso è il matador. E il toro sopravvive e piazza pure qualche incornata.

Cosa non ha funzionato? Dal punto di vista dello spettacolo tutto bene, per carità. Dal punto di vista della cuadrilla, l’errore principale: la tauromachia non ammette la commedia. Devi essere spietato e cercare il drama senza risate e risolini.

Dal punto di vista del giornalismo: il giornalismo non è una corrida. E’, se mai, un confronto. Ma una regola dello spettacolo dimostra che in un Uno contro tutti difficilmente vincono tutti e quindi vince l’Uno. E non si dica che si voleva fare un pubblico servizio: era palesemente una lotta personalistica.

9. «Non è colpa mia»

Sarà anche un’arena, ma per cominciare sembra di stare fra fiorettisti. Berlusconi applica la regola numero uno: negare sempre, anche l’evidenza. In studio si tenta di attribuire la colpa della crisi alla cattiva amministrazione del governo Berlusconi. Che le cose in Italia non siano andate tanto bene e che lui abbia sempre negato problemi e sbandierato ristoranti pieni è cosa ovvia. Ma mostrar Rvm come al Grande Fratello non aiuta a sostenere tesi. A costo di annoiare a morte tutti tocca snocciolar numeri, magari con il baby talk che Berlusconi pratica con un arte da consensificatore e imbonitore conclamato. Risultato? Semplice. L’amante scoperto nega. Berlusconi accusato dice: «Non è colpa mia». Vallo a smentire, poi, se non hai i numeri e un bel tono asettico pronto.

8. Cepu

Berlusconi e Santoro - Servizio pubblico del 10 gennaio 2013

Il tormentone della serata: «Università o serali?» Lo chiede per la prima volta Berlusconi a Santoro, che sa molto bene quali siano i punti forti di una sitcom e ha tutto l’interesse a far sì che si rida.

Si parla di governo e di potere. Berlusconi sostiene che le cose non si possano migliorare senza poteri, dice cose di una violenza antidemocratica inaudita (clamoroso l’attacco alla democrazia e ai mille partitini che si devono accordare. Un mantra berlusconiano), ma il tono degli interlocutori resta leggero. Nessuno gli oppone l’uso abnorme della decretazione d’urgenza e dei poteri emergenziali della Protezione civile sfruttati dai suoi governi. Lui semplifica, gli altri pure.

Più che università e serali bisognerebbe parlar di Cepu.

7. Zelig: pagliacci o trasformisti?

Berlusconi e Santoro - Servizio pubblico del 10 gennaio 2013

Scambio di battute straordinario per il sottotesto inespresso. Il torero e il toro si fronteggiano dandosi reciprocamente dello Zelig. Ma non parlano del film di Woody Allen, parlano della trasmissione “comica”. E infatti il livello delle battute è quello.

Se si affrontasse il sottotesto, invece, si aprirebbe al capolavoro: in Zelig di Woody Allen il protagonista soffre di una patologia sconosciuta che lo porta ad adottare come involontario, naturale stile di vita un trasformismo clamoroso. Al punto che per adattarsi alle situazioni non solo ha modifiche comportamentali ma addirittura morfologiche.

In Cinema e psichiatria, il personaggio di Leonard Zelig viene così definito:

«un uomo che non ha un sé né una personalità. Egli è letteralmente l’immagine proiettata degli altri, uno specchio che restituisce alle persone la propria immagine. […] Bruno Bettelheim (presente nel film nel ruolo di se stesso) fornisce il seguente commento: “Se Zelig fosse psicotico o solo estremamente nevrotico, era un problema che noi medici discutevamo in continuazione. Personalmente mi sembrava che i suoi stati d’animo non fossero poi così diversi dalla norma, forse quelli di una persona normale, ben equilibrata e inserita, solo portata all’eccesso estremo. Mi pareva che in fondo si potesse considerare il conformista per antonomasia”»

Santoro e Berlusconi si sono dunque dati dei trasformisti? No. Dei pagliacci

6. Tutti coglioni

Berlusconi e Santoro - Servizio pubblico del 10 gennaio 2013

Il capitolo potrebbe anche intitolarsi “il pubblico bue” e avrebbe, nella sua formulazione ideale, una struttura ricorsiva.

Ciò che è andato in onda è, più o meno, questo. Berlusconi ricorda che lo hanno votato in milioni. E’ vero. Il pubblico rumoreggia. Lui si rivolge al pubblico chiedendo: «Sono tutti coglioni quelli che mi hanno votato?»
Il pubblico bue in coro: «Sììììììììììììììììì».

Perfetto.

5. La telefonata da reality show

Berlusconi e Santoro - Servizio pubblico del 10 gennaio 2013

La prima regola di un reality show di seconda generazione è diventata quella di mostrare a chi si trova sotto torchio in quel preciso istante un rvm, un filmato, per capirci, che lo mostri in qualche atteggiamento sconveniente. La Gialappa’s userebbe rutti e scuregge. Il Grande Fratello ci racconterebbe una storia di corna consumatasi almeno col pensiero ma sotto le telecamere. Servizio Pubblico ha la grande occasione di farci un bilancio del Governo Berlusconi e di mettere la parola fine a tutte le dicerie pseudooggettive che lui stesso mette in giro su di sé. E cosa sceglie?

La telefonata di B. mentre la Merkel lo aspetta.

Un pezzo da antologia. Peccato che poi B. ha la possibilità di raccontare con chi fosse al telefono secondo la sua versione. E peccato che il giornalista non abbia, a questo punto, alcuno strumento per replicare, ribattere e confutare. Ecco perché il giornalismo non deve usare mezzi da reality show.

4. Slapstick

Berlusconi pulisce la sedia

Berlusconi scaccia Travaglio dalla sedia e poi la ripulisce, prima facendo aria con i fogli della sua letterina, poi con il fazzoletto.

La sitcom continua. Il pubblico è spiazzato, Berlusconi fa il suo e non si può far niente per arginarlo: aver impostato tutto su un tono leggero gli ha dato campo libero. Al punto che si concede addirittura un assaggio di comicità slapstick.

Manca solo che gli si lasci spazio per raccontare una barzelletta. Eppure l’avevamo detto: se vuoi fare la corrida, ammesso che sia l’approccio giusto, devi dare al pubblico il drama.

3. Mi sto divertendo

Berlusconi e Santoro - Servizio pubblico del 10 gennaio 2013

Non è per ritornarci sopra ancora. Ma voi l’avete mai vista una corrida? Dal vivo? Io purtroppo sì. E vi posso assicurare una cosa: il toro non si diverte. Vorrebbe essere da qualsiasi altra parte. Non vorrebbe proprio stare lì, e soprattutto non si diverte affatto.

Berlusconi, invece, si è divertito un sacco. Lo ha detto più volte e lo ha dimostrato (anche se magari internamente non era proprio così. Ma da un certo punto in poi, è parso proprio di sì). E questo è un segnale che qualcosa non va.

La corrida prevede altre regole. Riportiamoci su un piano giornalistico e abbandoniamo lo scherzo, d’accordo, prima che arrivi qualche sostenitore dell’una o dell’altra parte a gridare e scompaginare il ragionamento.

Che cosa si poteva fare? Lo abbiamo raccontato ieri, grazie a Raffele Napoli, con una descrizione circostanziata del giornalismo. Facciamo un esempio: via il format. Via la rappresentazione scenica. C’è Berlusconi, si cambia perché è l’evento dell’anno.
Dieci domande. Secche e brevi. Se divaga, si ripropongono. Se risponde (visto che prepararsi sulle sue risposte è facile) si replica, si mostrano numeri e cartelli descrittivi ed esplicativi e chiari. Se non convince, si incalza. Domande che richiedano risposte brevi e definitive e che non consentano divagazioni. Domande.

A quel punto, l’interlocutore ha due possibilità: risponde, se sa che la risposta non lo danneggia, oppure non risponde, visto che è in televisione (e se non risponde si danneggia). Se invece risponde e dimostra di aver ragione, si passa alla domanda successiva. La commedia è bandita.

Se no, la corrida può aver un esito imprevisto.

2. Il torero vede rosso

La letterina a Marco Travaglio e la lite che ne conseguono sono la materializzazione dello scontro vero e proprio. Il toro vuole incornare il rejoneador, che lo infastidisce, sempre così distante e altezzoso, dall’alto dei suoi monologhi-cavallo.

E applica – in maniera becera – il suo stesso metodo, leggendogli l’elenco delle condanne. Geniale? Ridicolo? Colpo basso? Quel che volete voi: il toro si difende in maniera scomposta, è chi ha organizzato la corrida che deve aver previsto tutto. Quindi, il torero non deve interrompere il toro. Deve star lì, aspettare e poi colpire.

Quel che non poteva essere previsto è che Santoro, ad un certo punto, tirasse fuori gli accordi pre-puntata. Era ovvio che ci fossero, ma sarebbe stato meglio non saperlo. Al pubblico, poi, non importano le regole pregresse se non gli vengono raccontate.

Il problema è che c’è solo una cosa che il pubblico non si aspetti: che sia il torero a veder rosso e a caricare a testa bassa.

1. Il fuorionda

Ed ecco il gran finale. Col gigione che esce dall’arena avendo subito colpi messi in preventivo e avendone sferrati altri poco attesi.

In audio, mentre non sa dove andare, non rinuncia alla battuta finale, un fuorionda rivolto al pubblico, ai ragazzi, a chissà chi, magari addirittura a qualcuno a casa:

«Non fatevi infinocchiare da questi»

La corrida è finita male. Il torero e i suoi non avranno le orecchie del toro, ma devono comunque portare a casa lo spettacolo. Chissà, forse penseranno, almeno una volta, che non avrebbero dovuto fare spettacolo, che avrebbero dovuto dismettere i panni con fili d’oro, che avrebbero dovuto cambiare radicalmente approccio.

Non serviva la Corrida. Una partita a tennis sarebbe stata più azzeccata, e non necessariamente meno spettacolare.