Home Rai 1 Piero Angela: “No alla tv di nicchia, servono programmi culturali per il grande pubblico”

Piero Angela: “No alla tv di nicchia, servono programmi culturali per il grande pubblico”

Il conduttore di Superquark parla della crisi della tv e propone una soluzione pratica al fine di aumentare i contenuti culturali sulla generalista.

pubblicato 9 Ottobre 2013 aggiornato 3 Settembre 2020 13:28

Molto lucide le considerazioni che Piero Angela offre nell’intervista pubblicata oggi dal quotidiano Il Tempo, che da qualche settimana ogni giorno propone un confronto con un big della tv italiana. L’ideatore di Quark e Superquark ha analizzato la crisi della televisione nostrana mettendo in atto un discorso degno di una lezione universitaria peraltro con un linguaggio assolutamente chiaro. Angela ha innanzitutto precisato che i dati di ascolto della televisione dimostrano che se è vero che il pubblico va sul web, è pure vero che “questo non ha messo in crisi la televisione come sistema”. Superata tale premessa (la parte, forse meno convincente, anche perché servirebbe snocciolare cifre), il giornalista e scrittore è entrato nel merito:

Per quanto riguarda la qualità purtroppo c’è una ricerca dell’ascolto che finisce per premiare l’emotività, a volte l’emotività meno nobile. Lo vediamo anche nei dibattiti tv dove si cercano i personaggi che sono più vivaci, per scaldare lo scontro. La crisi è legata anche alla mancata valorizzazione del merito e questo vale soprattutto per i programmi di tipo giornalistico e culturale perché nell’intrattenimento il merito viene premiato dall’ascolto e quindi chi fa più ascolto funziona. E lì il merito funziona meglio.

Angela ha notato che l’emotività prevale un po’ in tutti i settori della società e della comunicazione. Poi ha aggiunto:

I telegiornali sono preoccupati, è il loro ruolo, di dare le notizie del giorno; gli approfondimenti di approfondire le notizie quotidiane. E si finisce col dimenticare che i veri problemi del Paese non sono quelli dell’attualità immediata ma sono delle profonde correnti che hanno ripercussioni sulla nostra vita.

Quindi, forse stupendo qualcuno, ha espresso il suo no alla tv di nicchia, dopo aver illustrato la differenza tra stampa e piccolo schermo:

C’è una profonda diversità tra informazione fatta nei giornali e quella fatta in tv. Per una ragione: che la lettura del giornale è orizzontale, la lettura della televisione verticale. Cosa vuol dire? Che se lei compra un quotidiano ha tutto quello che può trovare, notizie, commenti, sport, cronaca, cultura che coesistono in un unico luogo fisico. E lei può saltare e leggere ciò che vuole. Se vede un telegiornale lei non può saltare ma per ascoltare ciò che le interessa deve sentire tutto. In più se lei legge un giornale per esteso, ci vuole una giornata. Questo è importante perché se in tv si voglion fare cose su argomenti che interessano bisogna fare delle tv di nicchia. Fare tv di nicchia vuol dire fare tv destinate a persone che hanno già quegli interessi, su certi argomenti. Ma io trovo che sia profondamente sbagliato fare ciò che molti propongono sulla Rai, una tv culturale pagata dal canone e due commerciali pagate da pubblicità. Perché queste operazioni sono state fatte sia in Francia e Germania, con Arte, che in Usa con la Pbs ed hanno gli ascolti tra il 2 e il 3%. Sono operazioni fallimentari.

Angela ha insistito quindi sul fatto che è necessario che “nella tv generalista ci siano programmi culturali, fatti però per un grande pubblico”. Il conduttore non ha nascosto come lo stato delle cose non aiuti a seguire tale indirizzo, ma ha comunque suggerito una soluzione che consiste di fatto nel contaminare show e prodotti di grande ascolto con elementi culturali:

La polverizzazione delle reti oggi aiuta quindi l’andare sui temi che tirano per incassare pubblicità. La via d’uscita secondo me è quella di fare programmi che siano sì di contenuto culturale ma di linguaggio e spettacolarità, abbiano possibilità di raggiungere il grande pubblico. Contenuti nobili ma linguaggio che sfrutti tutte le tecniche tv. Seconda cosa: inserirsi in una programmazione commerciale con cose brevi ma significative. La contaminatio, inserirsi – per esempio – con pillole culturali o scientifiche dentro un programma di varietà, cavalcando l’ascolto, ma accendendo anche delle lampadine culturali. Occorrono delle strategie, non basta andare a fare scienza o economia in tv. Bisogna usare linguaggi televisivi ed una psicologia che sia capace di agganciare anche emotivamente un grande pubblico, utilizzando narrazioni, grafiche, cartoni, tutti i linguaggi tv. Ciò che conta poi è ciò che si trasmette dentro. La tv ha questo ruolo, raggiungere milioni e milioni di persone ed è doveroso che lo faccia spiegando i problemi del suo tempo ed aiutando il pubblico a capire. Ma va fatto con un modo di raccontare che sia appetibile. La formula, per quel che mi riguarda, è: dalla parte degli esperti per i contenuti e dalla parte del pubblico per il linguaggio.

Rai 1