La Rai dà i numeri: è in testa, ma il malessere è profondo
Ogni anno, nell’ambito di una rubrica che apprezzo “La televisione-In numeri”, il Corriere della Sera pubblica un bilancio quantitativo delle trasmissioni dei giorni che stanno scadendo. La rubrica non è firmata, ma si capisce che è governata da Aldo Grasso, il quale governa lo spazio della critica tv da tanto tempo; troppo? Non so dire.
Ogni anno, nell’ambito di una rubrica che apprezzo “La televisione-In numeri”, il Corriere della Sera pubblica un bilancio quantitativo delle trasmissioni dei giorni che stanno scadendo.
La rubrica non è firmata, ma si capisce che è governata da Aldo Grasso, il quale governa lo spazio della critica tv da tanto tempo; troppo?
Non so dire. Siamo nella voga della rottamazione , però io credo che si possa dare ancora fiducia a una persona competente, specie se il lavoro quotidiano lo migliora e non lo mette in pantofole, rischio che c’è.
Grasso non è amato, specie da chi critica com’è ovvio, ma non è neanche odiato. La permanenza ne ha fatto un intoccabile. Un intoccabile dilagante. Un giornale invidioso pubblicò anni fa la somma dei suoi guadagni: una montagna, che però costa fatica e studio; capita anche in Italia i guadagni siano meritati.
Tuttavia, Grasso conferma una tendenza del Corriere: conserva a lungo i suoi critici; in passato, venivano cambiati solo se morivano. Adesso sono in vigore tra gli altri Franco Cordelli per il teatro, Paolo Mereghetti per il cinema, tutte persone che conosco e spesso apprezzo (non sempre), e lo stesso Grasso, i quali-credo- permangono grazie alla stima e alla pazienza dei lettori.
Torno alla rubrica del bilancio in numeri a cui mi riferisco, che si giova della puntuale collaborazione di Massimo Scaglione, uno studioso serio, un prof della Università cattolica di Roma. Il suo apporto è fondamentale con i numeri.
In questo caso, nella sintesi, viene detto che la Rai è leader assoluto del 2013, grazie al calcio. Non c’è da meravigliarsi. Accadde, è accaduto, accadrà, specie se il calcio e lo sport in genere reggeranno la baracca che non è una baracca ma è vuol essere una industria culturale, con pregi e difetti.
Nella rubrica, si osserva che la Rai nel 2012 aveva realizzato grandi ascolti con “La più bella del mondo” di Roberto Benigni e “Rock Economy” con Adriano Celentano. E tra i successi del 2013 vengono indicati la serie in due puntate dedicata ad Adriano Olivetti e le dodici puntate di “Tale e quale”.
Infine, viene precisato che tutti i primi posti sono occupati da Rai1, mentre Mediaset arriva ottava con “Gianni Morandi Live in Arena” e con “Italia’s Got Talent. La top-ten si chiude con il bel risultato di un’altra fiction Rai, “Una grande famiglia 2”.
Bene, benissimo. Le top-ten sono utili, indispensabili, aiutano a capire il rapporto tra flussi del pubblico e flussi della pubblicità.
Che aggiungere? Una piccola preoccupazione. La televisione, anzi le tv sono sminuzzate tra numeri, dati, risse nei talk (in calo), polemiche generiche o mirate o sceneggiate (in calo), proteste per la qualità dei programmi (in calo); e tra abitudinarierà (in aumento), rassegnazione (in aumento), qualunquismo sulla qualità (in aumento), sconforto (in aumento).
Come concludere? I numeri e i dati creano una sorta di fortificazione molto munita che circonda le reazioni, gli spettatori, gli autori. La fortificazione non brilla; al suo interno domina uno strano malessere, qualcosa di profondo e cocente che nessuno analizza nè in superficie nè in profondità.
Un malessere che avvelena sottilimente le aziende, dopo l’avvelenamento quotidiano e paziente della offerta (le idee, i programmi) e della domanda (sbandata, fedele per disperazione).
Sarebbe bello leggere non solo numeri e classifiche ma leggere o sentire analisi sugli ultimi vent’anni di tv in Itala.
Nel 2014, la Rai compirà 60 anni, auguri.
C’era una volta la Rai della tv pedagogica; quella della neo-televisione e della riforma (1975 e anni seguenti); poi quella della concorrenza con le tv private, che hanno vinto su formule e contenuti; infine quella di adesso, scolpita nella targhe degli ascolti e delle classifiche.
Vi pare, ci pare sufficiente? Non lo è : per capire non solo la Rai ma soprattutto il mare televisivo che galleggia tra gli schermi opachi (i vari tipi di schermi) e i nostri occhi (i vari tipi di occhi opachi, ivi compresi quelli dei critici permanenti).
Il malessere dopo gli anni del vecchio benessere ormai sorpassato, ma ereditato, dalla sessantenne mamma e nonna Rai, con le sorelle acquisite tutte intorno al freddo lacrimoso focolare in cui il disinteresse e la ironia ultra leggera bruciano i nostri pensieri.