Antonello Falqui a TvBlog: Auguro alla Rai di puntare di nuovo sulla qualità. La Tv di oggi a me più vicina è quella di Fiorello.
Per la nostra rubrica dedicata ai 60 anni della Televisione in Italia ed in particolare della Rai, oggi ospitiamo uno dei personaggi più rappresentativi della televisione pubblica in Italia, il Re del Varietà con la V maiuscola: Antonello Falqui.
Falqui ci ha onorato della sua presenza, qui su TvBlog, con un intervento dedicato al compleanno della “sua” Rai. Un modo questo anche per ripercorrere, dopo l’intervento da noi pubblicato il 3 gennaio scorso di Pippo Baudo, assieme ad uno dei padri fondatori dell’intrattenimento del servizio pubblico radiotelevisivo, oltre che la sua carriera, anche parallelamente quella della Rai.
Cara Rai ti auguro di tornare a puntare sulla qualità
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Di Antonello Falqui
Cara Rai, intanto ti faccio per i tuoi sessant’anni tanti auguri, ne è passato di tempo dal mio esordio. Era il 1952 e poco prima avevo frequentato il corso di regia presso il Centro sperimentale di Cinematografia. Arrivai a Milano, dove muoveva i primi passi la televisione in Italia e iniziai a lavorare per i primi programmi di quella che era la “Tv sperimentale”. Poi nel 1953 tornai a Roma, assieme a Daniele D’Anza. Ricordo che eravamo solo io e lui e facevamo tutte le trasmissioni che venivano prodotte in quel periodo, dalla mattina alla sera, alternandoci in cabina di regia. Fu una cosa molto impegnativa ma certamente molto stimolante.
La prima trasmissione importante che feci in Rai e che fu anche la prima di Mike Bongiorno era Arrivi e Partenze. Si trattava di intervistare persone e personaggi che venivano a Milano prima e a Roma poi. Mike era abilissimo a portare le persone in studio, ricordo che riuscì persino a portare Kim Novak, allora davvero uno star. Con Mike mi trovai benissimo, lui era un professionista molto serio e pignolo, come del resto ero io e lo sono tuttora, quindi lavorai molto bene con lui.
Poi feci uno spettacolo con Galeazzo Benti e Flora Lillo “L’ottovolante” che conteneva al suo interno un invito al pubblico che seguiva da casa di portare, entro una certa ora, un qualcosa in studio (cosa questa fatta poi anni dopo anche da Michele Guardì in “Scommettiamo che?”, ndr). In seguito ci fu la bellissima esperienza del “Musichiere” con Mario Riva, dove capimmo il “bisogno musicale” del pubblico televisivo, qui con l’aggiunta della gara.
Poi arrivò Studio Uno. Era una rivista, con vari numeri, diventata poi molto famosa per gli ospiti che vi hanno partecipato. C’era un momento di quel varietà con Mina che si chiamava “E’ l’uomo per me”, come il titolo della sua canzone, che ha ospitato artisti del calibro di Totò, Mastroianni, Gassmann. Ricordo che non facevamo fatica a convincere questi artisti a venire, perché Studio Uno era davvero molto popolare, anzi ricordo di molti agenti, che ci proponevano i loro artisti per venire in studio da Mina. Ricordo anche che Mastroianni era talmente felice di venire che venne due o tre volte. Andare ospite a Studio Uno era una specie di segno di riconoscimento del proprio valore artistico. Questo spettacolo andò avanti molti anni e nel frattempo feci anche alcune edizioni di Canzonissima.
Mentre Studio Uno mi permetteva di creare lo spettacolo a 360 gradi, con Canzonissima, che poi alla fine era una gara fra canzoni, tutto era più rigidamente circoscritto in un formato più chiuso. Ma anche qui mi sono tolto delle belle soddisfazioni. Ricordo con molto piacere per esempio un balletto sul proibizionismo della durata di 10 minuti, davvero bello, era la storia di quel periodo, fatta in balletto.
Fra i dirigenti Rai con cui ho avuto modo di lavorare, certamente quello con cui mi sono trovato meglio è stato Ettore Bernabei. Credo che Bernabei sia stato in assoluto il miglior direttore generale che la Rai abbia mai avuto. Nei miei spettacoli mi ha sempre dato carta bianca, non si è mai intromesso sui contenuti dei miei varietà, lui si fidava molto di me. Prima di Bernabei ricordo alcune discussioni rispetto ai costumi delle ballerine, quando direttore generale era Filiberto Guala, poi per altro divenuto frate, s’immagini dunque la sua mentalità. Negli anni in cui ho lavorato in Rai i dirigenti venivano scelti per concorso, concorso che prevedeva anche domande sullo spettacolo. Gli attuali dirigenti della Rai, da quanto mi è dato sapere, provengono quasi tutti dalla politica, quindi non so quanto ne possano sapere, per esempio d’intrattenimento.
Ho avuto il piacere di lavorare con grandi artisti quali Mina, Walter Chiari, Paolo Panelli, Lelio Luttazzi, tanto per citarne alcuni e devo dire che oggi non ci sono più quel tipo di professionisti. Ce ne sono altri, per esempio Fiorello, che apprezzo molto, ma come quelli di quegli anni, oggi non ce n’è. Poi vorrei citare anche due direttori d’orchestra con cui ho lavorato molto bene: Bruno Canfora e Gianni Ferrio.
Quando arrivò il colore e mi dissero che dovevo fare gli spettacoli a colori, dovetti cambiare in qualche modo il registro dei miei varietà, perché il colore è un mezzo difficile. Per saperlo usare bisogna avere una certa cultura pittorica, bisogna saperlo adoperare. Non bisogna usane troppo, farlo troppo “sgargiante”, come fa troppo spesso Mediaset, perché i colori diventano immediatamente pacchiani se sono adoperati male. Uno dei primi spettacoli che feci a colori fu “Mazzabubù” con Gabriella Ferri, altra grande artista con cui ho lavorato molto bene. A quei tempi i registi si occupavano di tutto, cioè scene, costumi, luci, ospiti, balletti, oggi non saprei.
Dopo gli anni a colori, venne il momento in cui la Rai non mi chiamò più. Intanto c’era senza dubbio il fatto, che dopo molti anni era giunto, in qualche modo per me, il momento di riposarmi. Poi però credo che il vero motivo per cui non fui più chiamato era che costavo troppo. Un mio spettacolo esigeva molte ore di prove, con il conseguente uso dello studio televisivo e del suo personale tecnico per molto tempo. Questo era un lusso, se così vogliamo chiamarlo, che la Rai non poteva o non voleva più permettersi. La Rai in quegli anni voleva diventare una cosa più pratica e più veloce ed i miei tempi di lavorazione non erano più compatibili con i loro intendimenti. Ora si fanno spettacoli praticamente senza prove, si va in onda e si prova direttamente durante la trasmissione e questa cosa si vede. Per me una cosa inimmaginabile.
Della televisione di oggi, che si avvicina alla mia, ci sono solamente gli spettacoli di Fiorello. Di quello che va in onda attualmente mi piace e trovo divertente lo spettacolo di Carlo Conti Tale e Quale Show e anche Ballando con le stelle l’ho apprezzato. Il resto della televisione, compresi i talent show, non mi fanno impazzire, devo dire la verità. Per esempio i bambini che cantano mi danno ai nervi. Non capisco come mai la Rai, con tutte le “proibizioni” che ha e che si è data, possa permettere che dei bambini vengano “adoperati” come delle attrazioni. Guardo molto Superquark di Piero Angela ed il programma del figlio, Alberto, Ulisse. Poi sono un grande telespettatore dei canali tematici che trasmettono documentari naturalistici.
Auguro alla Rai, in occasione di questi sessant’anni, di tornare almeno un po’ quella che era allora. Perché in quegli anni era fra le prime emittenti televisive al mondo. Ricordo che vincemmo per ben 7 volte la Rosa d’oro di Montreaux, che era un premio che veniva dato ai migliori varietà. Ecco, auguro alla Rai di tornare ad essere quella televisione, una televisione che punti di nuovo sulla qualità, sul gusto e sulla classe, perché la qualità si può fare anche senza dover spendere per forza moltissimo denaro.
Qui vediamo Lelio Luttazzi che canta e balla con le gemelle Kessler “Uno come me“. Oltre ad apprezzare il grande Luttazzi e la bravura delle celebri gemelle, guardate la magia della regia di Antonello Falqui con un semplice specchio ed una telecamera in un piano sequenza (altro che la miriade di telecamere che si usano nei varietà di oggi). Quando le immagini valgono più di qualsiasi commento :
Foto: Antonello Falqui con Mike Bongiorno ad “Arrivi e partenze” (1952) da antonellofalqui.com