Home Festival di Sanremo Sanremo 2014: Duccio Forzano a Tvblog, “Alcuni non sono soddisfatti della regia, ma bisogna prendere il meglio dalle critiche”

Sanremo 2014: Duccio Forzano a Tvblog, “Alcuni non sono soddisfatti della regia, ma bisogna prendere il meglio dalle critiche”

Una chiacchierata davanti ad un caffè con il regista della kermesse

pubblicato 21 Febbraio 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 07:53

La maggior parte delle interviste che stiamo realizzando al Festival di Sanremo (e che trovate su Soundsblog), riusciamo a concordarle per tempo, spesso dopo estenuanti ore passate al telefono.

Ci sono poi quelle interviste che nascono quasi per caso, un po’ last minute, soprattutto quando si tratta di personaggi importanti…cinque minuti cinque rubati alla frenesia degli impegni.

Questa mattina siamo riusciti a fare una bella chiacchierata – e colazione – con il regista di questa edizione di Sanremo, Duccio Forzano, a cui abbiamo chiesto un po’ di curiosità, festivaliere e non solo.

E’ il tuo secondo Festival insieme a Fabio Fazio. Come ti sei preparato per affrontare questa edizione?

Mi sono preparato come mi preparo per qualunque altro tipo di show. La differenza vera è che qui sono cinque sere, una dietro l’altra, i tempi sono ristrettissimi e quindi mi sono preparato per affrontare con tutta la serenità possibile tutti gli inconvenienti che arrivano. Questo è il mio secondo festival con Fabio Fazio, in passato ne ho fatto uno con Antonella Clerici e uno con Gianni Morandi, quindi un po’ la macchina la conosco. Questi due con Fabio mi hanno dato più responsabilità, perchè sono entrato nel progetto da subito, sia dal punto di vista del concetto scenografico, che dal punto di vista del racconto del Sanremo stesso.

Come è cambiata la tua regia rispetto a quella dello scorso anno?

In realtà ho cercato di avere delle macchine da ripresa un po’ più complesse, e devo dire che grazie alla Rai sono riuscite ad averle, e quindi i punti di vista, rispetto all’anno scorso, sono diversi e mi danno la possibilità di fare una regia meno ansiogena, con piani sequenza più lunghi. Ho letto sui social network che non tutti sono soddisfatti di questa regia, però il bello di questo mestiere è proprio quello: avere dei critici che in qualche modo ti dicono “forse se lo facevi così era meglio”, e da quella critica vedere se si può tirare fuori qualcosa di buono.


Ho visto che ritwitti pure le critiche…

Io credo che sia facile accettare i complimenti, e, in modo egocentrico, fa piacere accettarli. Ci sono le voci fuori dal coro – se non sono tanto per – che dicono quello che pensano in modo molto chiaro, senza offendere, e da lì io cerco di acquisire il meglio della critica. Quando la leggi, è ovvio, ti fa male. Ma se la analizzi fino in fondo e ci riesci a trovare quella cosa positiva, la prendi e la fai tua. E nel numero successivo cerchi di portarla a tuo favore.

Per ogni cantante hai studiato alcune dissolvenze particolari durante le esibizioni. Come quella per Giuliano Palma, un po’ squadrata.

Il Festival è prima di tutto la canzone: io le canzoni le sento già da dicembre, cerco di farle mie e poi quando arrivo qua, guardando negli occhi i cantanti – perchè con la mia telecamera, anche se loro non se ne accorgono, li guardo dritti negli occhi – cerco di capire quanto loro mi vogliano comunicare, cosa mi comunicano. E poi, con molta umiltà, cerco di codificare quest’energia che loro hanno in immagini da mandare a casa agli spettatori. Ad esempio, Giuliano ha questo ritmo molto ‘ska’. Staccando in modo netto mi sembrava di non dargli forza. Quindi Arianna Damiani, che si occupa del mixer video ed è bravissima, mi ha proposto questa transizione con le righe gialle, perchè la fotografia e la grafica in quel brano sono gialle.

Una curiosità: fuori dal Festival, che musica ascolti?

Non me ne vergogno, ma nel mio iPod passo da Paola e Chiara a Mozart, immaginati il percorso, passando per Emerson, Lake & Palmer, Deep Purple, Pink Floyd…tutto ciò che è musica.

Ci racconti la tua giornata-tipo da regista di Sanremo?

Cominciare la mattina presto, andare in teatro – ora quando finisco con te vado in teatro, stiamo facendo la messa in scena dei 14 duetti -, aspettare la mia squadra che arriva alle 14 per fare le prove con le telecamere, fino alle 19.30. Poi riunione di scaletta, e diretta.

Qual è la cosa più difficile da fare – a livello di regia -?

Riuscire a rimanere freddi di fronte ai grossissimi imprevisti, come quello del sipario che mi è capitato la prima sera, dove in realtà mi sono sentito morire perchè non avevo la possibilità di risolvere il problema. Ho visto in un attimo la sospensione del Festival, perchè quel sipario gigantesco che non veniva su non mi dava la possibilità di fare nulla. Tanto è vero che Fabio è dovuto passarci sotto per uscire a parlare, in quel metro e mezzo che si era alzato. Poi per fortuna i macchinisti sono stati bravissimi e sono riusciti a tirarlo su.

Poi domenica passerai da Sanremo a Che tempo che fa: un salto pazzesco!

E’ un salto pazzesco non tanto per la qualità del prodotto: Che tempo che fa è molto complesso nel suo genere, raccontare la parola è una delle cose più difficili da fare. La verità è che sabato sera dopo l’ultima diretta di Sanremo in qualche modo cominci a scaricare l’adrenalina, e quindi arrivo a Che tempo che fa come uno straccio e non so cosa riuscirò a fare, questo sì.

Fai qualcosa di particolare per rilassarti?

In realtà no, non ci ho mai pensato. Questo mestiere per me, io faccio fatica a chiamarlo mestiere, o lavoro. Ho inseguito questa passione per tantissimi anni, e la sto ancora inseguendo perchè so che ho un sacco di cose da imparare ancora, e da lì le critiche che mi insegnano. Quindi faccio quello che mi piace, e nel mio tempo libero faccio fotografia, quindi faccio la stessa cosa, faccio riprese, faccio montaggio…purtroppo sono malato forse, ma questa è proprio la mia vita, quindi mi rilasso quando dormo forse, se non penso a qualche regia anche nei sogni.

So che suoni anche la batteria…

Sì, è vero: da ragazzo, prima di capire che la mia strada sarebbe stata un’altra, avevo sempre bisogno di comunicare qualcosa, di dire qualcosa. Ho cominciato a suonare la batteria, e a cantare: ho vinto anche uno dei ‘padrini’ dei talent show, che si chiamava “Il talentiere”, negli anni Ottanta, con Rita Pavone e Teddy Reno. Lì ero convinto che partisse la mia carriera musicale. In realtà poi tutto si è sgonfiato, e negli anni Ottanta sono uscite le telecamere per i comuni mortali. E da quel momento la mia vita è cambiata.

qcnh_00293

Festival di Sanremo