La grande scoperta tv : da quarant’anni le cose sono nascoste (2)
La televisione italiana non cambia, da anni. L’assetto è lo stesso da anni Rai e Mediaset celebrano la loro storia, con mostre e iniziative (90 per la radio e 60 per la tv, Rai), e con un’attesa di un anno per Mediaset (nel 2015 saranno 35 anni dall’esordio di Canale 5). La fissità è ormai
La televisione italiana non cambia, da anni. L’assetto è lo stesso da anni Rai e Mediaset celebrano la loro storia, con mostre e iniziative (90 per la radio e 60 per la tv, Rai), e con un’attesa di un anno per Mediaset (nel 2015 saranno 35 anni dall’esordio di Canale 5).
La fissità è ormai consacrata, le concorrenze sono deboli, stampa e blog ratificano, criticano meno, sono rassegnati, un ordine disordinato domima una situazione congelata nei programmi e nella ideazione.
Tra i programmi continuano. nelle ratifiche di polemiche e duelli tra gli opinionisti, i talk show. In questo caso, essi rappresentano per il pubblico una sorta di “abbandono” alle cose che avvengono, che sono sempre meno comprensibili nelle arruffate analisi dei conduttori, e dei loro ospiti. Va di gran modo l’aggiornamento quotidiano, scavalcando in genere, i tg e andando a pescare qualche novità con l’amo della speranza, l’altra faccia della rassegnazione.
Raccontando delle mostre della Rai, ho cercato di fare la storia delle cose essenziali accadute al e nel servizio pubblico in 90 anni di radio e in 60 di tv.
Una storia più interessante di quella di oggi, del presente, stabile ma in realtà stagnante sotto apparenze di vivacità e di interessi vitali.
Ad esempio, oggi nessuno o pochissimi negano il valore dei vecchi sceneggiati del passato remoto, tratti da grandi scrittori (da Dostoevskij a Manzoni).
Gli sceneggiati entravano nella logica della cosiddetta “tv pedagogica” in cui il cinema veniva presentato il lunedì sera, la commedia il venerdì, la rubrica culturale solenne e paludata in una decente seconda serata e non nelle ore piccole, il quiz del giovedì con Mike (che costrinse i cinema a chiudere), lo show chiamato ancora varietà del sabato sera, il calcio raccontato da Nicolò Carosio.
Il Festival di Sanremo era un appuntamento-evento che lasciò
lentamente i vecchi repertori quando vinse “Il blu dipinto di blu-Volare”, una sorta d nuovo inno nazionale che invitava a guardare al futuro con leggerezza e incanto sentimentale, percorso da qualche brivido.
In realtà, la “tv pedagogica” negli anni Sessanta conobbe la sveglia e mutamenti significativi, attraverso i tg troppo di mediazione, di parte, ingessati, timidi che però avevano intorno e dopo di loro programmi con novità profonde nel settimane Tv7 ad esempio, nelle inchieste, negli speciali, nei documentari.
La Rai cominciò a raccontare il mondo e l’Italia: la industralizzazione, le emigrazioni all’estero e le migrazioni dal sud al nord. Era una rivoluzione di denunce e di analisi che la Rai seguì con giornalisti di diversa preparazione: cattolici, liberali, socialisti, laici, comunisti; tutti convinti di non potersi sottrarre al dovere civile di presentare un’Italia che non era più la stessa.
Non voglio qui riassumere, neanche per sommi capi, uno svilippo della tv Rai che attende una nuova narrazione storica, senza prevenzioni, e con una conoscenza profonda di quel che è successo allora e dopo.
La Rai contribuì non solo alla unificazione linguistica degli italiani ma anche ad una presa di coscienza addirittura sconvolgente e drammatica, questa presa di coscienza in parte voluta si è sviluppata per un effetto boomerang. Le mezze verità, i problemi, le censure, le carenze della politica venivano fuori comunque in rivoli nei programmi.
Nelle trasmissioni di approfondimento non era sempre possibile nascondere e censurare, poichè durante la direzione di Ettore Bernbei (1961-1974) le maglie larghe di questa direzione , le intenzioni di fare spazi alla informazione non pilotata, “non troppo” condizionata, ci furono, strategicamente previste per dare novità di sangue e di presa sui fatti a una tv dal passo molto affaticato, con la sinistra che reclamava non solo spazi ma posti, non solo cncessessioni da ruolo nella cabina di comando.
Il tutto nella atmosfera eccitata dal 1968 in poi, gli anni della contestazione e della rivolta prima studentesca poi operaia.
Si determinò una situazione istituzionale con un suo “doppio”. Da un lato, la tv come perno della industria culturale italiana, tutto sommato riposante e influenzabile con moderatismo dai cambiamenti nella società; dall’altra, questa stessa tv documentava con il contagocce le notizie e con maggiore frequenza,e intensità, le cronache e dibattiti sulle contestazioni, rivolte, li presentava e li spettacolarizzava.
Uno “spettacolo” nuovo che ebbe un effetto imprevisto. Prese il sopravvento. Le sue grida, gli slogan, gli scontri a poco a poco “coprirono” la pratica della politica dei partiti e delle istituzioni. Una “coperta” esistita per anni. Su cui tornerò (2-segue)