Fabio Fazio, Fabio Volo e l’invidia
«Uno degli scrtittori italiani che suscita più invidia», così il conduttore presenta l’ospite.
Ieri sera, a Che tempo che fa, Fabio Fazio si è collegato con il Salone Internazionale del Libro di Torino. Il suo inviato speciale era Fabio Volo, che ha consigliato dieci libri da leggere assolutamente (nel video, la passata ospitata di Volo a Che tempo che fa, ottobre 2013).
Fin qua nulla di male, per carità. Anzi, ben venga che si parli di libri in televisione. Ma l’incipit, be’, è di quelli da far saltare sulla sedia.
Fazio ha presentato così l’omonimo:
«E’ uno degli scrittori italiani che suscita più invidia».
Ecco. Questa storia dell’invidia è stantia come una cantina ammuffita, è acida come uno yogurt andato a male, è triste e deprimente. E’ un argomento che, sempre più spesso, viene utilizzato in risposta a chiunque eserciti il proprio legittimo diritto di critica – e su Fabio Volo “scrittore” si potrebbe dire di tutto e di più –, è un argomento che è stato utilizzato in politica e che viene ribadito ogni volta che, semplicemente, qualcosa non piace. Lo ha fatto anche Michele Serra in un suo editoriale su Vanity Fair post-Sanremo (Serra fa parte del gruppo autoriale di Fazio), sottolineando peraltro che i giornalisti che chiedevano a Fazio e Leone di rendere conto del flop sanremese scrivono per giornali che presto chiuderanno (come se il mal comune fosse per forza gaudio, e come se questa argomentazione – priva di logica, fatte salve le giuste critiche ai parrucconi attaccati al loro ruolo di “giornalisti” come se fossero portatori del verbo – cancellasse automaticamente la possibilità di dire che l’ultimo Sanremo è stato noioso e poco interessante e bruttarello).
Ora, non so come la vediate voi.
Io non ho mai invidiato gli scrittori, voi sì? Io adoro la capacità descrittiva di Franzen, amo le interconnessioni metatestuali e l’empatia e il “guarda-mamma-senza-mani” di David Foster Wallace. Mi piace provar paura con Stephen King, perdermi nella Sicilia di Camilleri. Mi piace Dostoevski, la complessità di Umberto Eco, godo con Philip Roth e Vollmann; da ragazzino ho adorato le avventure pindariche di Emilio Salgari e i mondi evocati da Jules Verne. Non ho mai invidiato tutti questi scrittori – né gli altri che ho letto o leggo: quando mi piacciono o mi sono piaciuti, semplicemente, li ho sempre ammirati e avrei tanto voluto essere capace di emularli.
L’invidia, invece, è sulla bocca di Fazio per difendere preventivamente Volo. Con un termine che indica uno dei sette peccati capitali, per la morale cattolica. Sant’Agostino addirittura lo ritiene uno dei peccati più vicini al demonio. Non si fa, non si prova, è sbagliato. E’ un sentimento per cui, dice la Treccani
in relazione a un bene altrui, si prova una profonda astiosità.
Come si fa a provare astiosità nei confronti di uno scrittore o di un’opera d’arte? Come si fa ad augurare del male a un artista?
E infatti c’è il capovolgimento logico, nell’incipit di Fazio: all’invidia per lo scrittore, Fazio aggiunge subito che Volo
«vende»
tantissime copie.
Ma questo non c’entra nulla con lo scrivere: brandire l’arma dialettica dell’invidia non fa che confondere le acque, mistificare il sano e legittimo sentimento di indignazione – che guarda caso Aristotele contrappone proprio all’invidia – con l’amoralità dell’augurare il male a qualcuno perché capace.
Figurarsi. Io m’indigno perché l’invidia è uno scudo contro qualsiasi argomento approfondito; m’indigno perché di fronte a un’opera d’arte non mi chiedo quanto avrà reso a chi l’ha realizzata (non mi si vorrà far credere che a naso in sù nella Cappella Sistina si penserà a quanto sarà stato ricco Michelangelo, giusto? e non si proverà malanimo, non si augurerà del male a Michelangelo per quanto fosse bravo); m’indigno perché la televisione pretende di decidere cosa è bello, buono, giusto e “da invidiare” e invece di raccontare la realtà con parole corrette e sensate