Rai, Bianca Berlinguer: “Non dipendo da un partito. La politica ha allentato la pressione”
La direttrice del Tg3 dice la sua sulla riforma della Rai, necessaria e non più rinviabile, rivolta soprattutto a riportare in azienda ‘la fabbrica delle idee’.
Bianca Berlinguer interviene nel dibattito sulla riforma della Rai e sullo sciopero proclamato dai sindacati operanti in Azienda, al quale però i giornalisti hanno scelto di non partecipare. Intervistata dal Corriere della Sera, la direttrice del Tg3 commenta la decisione dell’Usigrai e rimanda al mittente le accuse di ‘lottizzazione’ sul modello anni ’80 e ’90, modello che dice ormai superato.
Partiamo proprio dallo sciopero dell’11 giugno, prima abbracciato dal sindacato dei giornalisti Rai, quindi ‘respinto’ con la maggioranza dei voti proprio dalle redazioni.
“Ho condiviso tutte le perplessità espresse da gran parte della mia redazione (…) Se questo sciopero ha suscitato reazioni negative esterne e interne vuol dire o che chi l’ha proclamato non l’ha adeguatamente spiegato o che chi è stato chiamato a farlo non lo ha ritenuto utile. Purtroppo il suo solo annuncio ha provocato attacchi strumentali, anche ingiusti e offensivi verso la Rai. Perché la Rai non è certo solo un luogo di ozi e di sprechi”
dice la direttrice del Tg3 liquidando così la vertenza sciopero. Resta però apertissima quella della riforma della Rai:
“La Rai deve cambiare. Mi sembra evidente. Non mi pare rinviabile una profonda riflessione su come possano essere diversamente distribuite tra i tg, compresi Rainews e i regionali e tra le reti generaliste e quelle digitali le rispettive competenze, le differenti funzioni e le molte aree tematiche di interesse. Ma questo non significa necessariamente un ridimensionamento”.
Quel di cui sente più la mancanza in Rai è
“La fabbrica delle idee. Quando entrai, venticinque anni fa, mi feci le ossa nella redazione di Mixer imparando da Giovanni Minoli tutto il processo produttivo e creativo. Oggi la Rai realizza tecnicamente idee, progetti appaltati all’esterno. Quindi l’intera attività editoriale, quella più creativa, che dovrebbe caratterizzare un servizio pubblico, non avviene all’interno dell’azienda. Dobbiamo riportare nella Rai, nelle nostre strutture di lavoro, questo compito. Anche perché la fine della fabbrica delle idee comporta l’interruzione di un’altra grande funzione: la formazione delle nuove generazioni del servizio pubblico”.
In questo si risentono gli echi delle dichiarazioni fatte da Renzi ieri a Napoli, sulla necessità che la Rai torni a educare gli italiani,
“…innovando e sperimentando, magari anche sbagliando e provando e riprovando”
aggiunge la Berlinguer al Corriere. E, sempre inserendosi sulla scia di Renzi, dettosi poco interessato alle nomine, la direttrice del Tg3 afferma che ormai la pressione della politica sulla Rai si è allentata, e non da ora.
“La tripartizione è già superata nei fatti, anche nei Tg. Lei vede oggi un Tg definibile nettamente di maggioranza e uno definibile nettamente di opposizione? Le differenze ci sono, ma sono soprattutto legate a scelte editoriali. Noi, per esempio, parliamo poco di cronaca nera e molto di lavoro, ma per una opzione culturale e non certo partitica. Dall’arrivo di Mario Monti a palazzo Chigi la pressione della politica sulla Rai si è allentata moltissimo, anche per l’indebolimento complessivo della politica stessa”.
Non si può dire, però, che le nomine non abbiano risentito negli anni delle ‘appartenenze’, ma la Berlinguer sottolinea il clima cambiato più o meno dal novembre 2011, ovvero dall’incarico a Mario Monti, e ribadito da Renzi che dice di non voler sentir parlare di “un direttore del Tg1 ‘vicino’ al partito di maggioranza“:
“Mario Orfeo (direttore Tg1, ndr) è stato forse scelto da un partito? E io stessa, votata da tutte le componenti politiche del Consiglio di Amministrazione, non dipendo da un partito ma rispondo a quel voto unanime di tutto il Cda”.
Come sempre in questi casi saranno i fatti a parlare e se ne riparlerà tra qualche settimana.