Autore satirico di tante pubblicazioni di questo genere: da Il Male a Zut, passando per Tango (il compianto inserto del quotidiano L’Unità, pure quest’ultimo che ha cessato recentemente le pubblicazioni), Fabio Di Iorio, oggi padrone di casa a “Fuori gli Autori“, proprio grazie a Tango passa in televisione, quando su Rai3 arriva Tele Tango di Sergio Staino. Da allora rimane a scrivere per la televisione, collaborando con Emilio (il varietà della domenica sera di Italia1), per poi arrivare ad Avanzi, Carramba che sorpresa (video della primissima puntata ad apertura di questo pezzo), Libero, Scorie, due Festival di Sanremo e altri varietà. Ultimamente è stato autore del varietà della domenica pomeriggio di Rai2 “Quelli che il calcio“, ruolo questo che ha lasciato dopo la nomina a capostruttura dell’intrattenimento della seconda rete della televisione pubblica, avvenuta lo scorso anno.
Parola e spazio dunque al padrone di casa di oggi a “Fuori gli Autori” Fabio Di Iorio.
Quello che penso… del mestiere di autore televisivo
In questi anni di esperienze e di incontri ho messo insieme un po’ di considerazioni pratiche sul mestiere dell’autore televisivo. Non è un decalogo: intanto perché non sono dieci, e poi perché le ho ritenute valide per me, quindi non è detto che valgano anche per qualcun altro. Sono anche sostanzialmente banali, ma mi piace la semplicità. Eccole.
• Lavorare a più programmi contemporaneamente. Non è un tabù, anzi, a patto che gli impegni sono compatibili. L’importante è non farlo per avidità ma perchè sono progetti che ci appassionano. La controindicazione è che si dorme meno e per un po’ si sacrifica la vita privata, ma in cambio si conoscono più persone (colleghi, redattori, produttori, artisti…) e quindi più possibilità di lavori futuri nei quali coinvolgersi reciprocamente. Soprattutto, inoltre, si limita il rischio dell’autoreferenzialità. Cerco di spiegarmi meglio. Lavorando intensamente per una trasmissione si rischia che questa diventi il centro del nostro universo e che si creda che fatti trascurabili (scherzi redazionali, dinamiche interne ecc.) siano interessanti anche per il pubblico. Questo non accade quasi mai.
• Collaborare a programmi di tipo diverso. Che siano varietà, factual, fiction, game… Anche se il nostro specifico non è quello, c’è solo da imparare. Inoltre, conoscere le tecniche di altri generi può renderci più efficaci nel nostro specifico. Se si impara a scrivere una fiction, per esempio, saremo più efficaci nella scrittura di uno sketch che ne fa la parodia.
• Ricoprire più ruoli all’interno del gruppo di lavoro. Se uno diventa capo progetto di una trasmissione (definizione che non amo, se proprio bisogna darne una preferisco coordinatore degli autori) tende ad accettare solo proposte per quel ruolo. Ma non c’è niente di male ad accettare anche ruoli di collaborazione con un diverso coordinatore. Non credo che “fare il capo” sia un punto di arrivo. Preferisco pensare al gruppo come ad una squadra di calcio. Chi fa gol è più vistoso, ma va benissimo anche se una partita fai il terzino o il centrocampista: l’importante è il piacere di giocare in quella squadra e cercare di vincere.
• Il denaro non è tutto. Lo so, è impopolare dirlo. Ma non è mia. E’ una delle cose che mi ha insegnato Raffaella Carrà: “Non pensare ai soldi. Se lavori bene arrivano poi da soli”. Non so se siano arrivati (in ogni caso ormai li ho spesi) , ma lavoro ormai da molti anni. La passione e l’entusiasmo devono essere il primo compenso, se poi sei bravo, se cresci, sarai richiesto da più persone e quindi di solito si cresce nei compensi. Ho conosciuto molti giovani autori (spesso provenienti da scuole) che anteponevano a tutto soldi e carriera. Ne ho visti crescere pochi.
• Il rispetto dei ruoli. Talvolta si è dato e si dà un potere assoluto al conduttore, che sceglie le scenografie, umilia gli autori, insegna al regista a fare il suo lavoro, mette becco sul budget. Sono rari i casi in cui sappia fare tutte queste cose insieme (a parte umiliare gli autori, cosa che viene bene a molti). Ma se si scelgono persone capaci nei propri ruoli e che siano bravi a lavorare insieme, se si rispettano le capacità e le competenze di ognuno, di solito il lavoro viene meglio. E se ne avvantaggiano per primi l conduttori, quelli che, come spesso amano ricordare, “ci mettono la faccia”.
• Le ore di volo. Non lo dico solo per anzianità, ma l’esperienza serve. Ricordo che quando mi venne affidata la prima trasmissione in diretta, la mattina arrivavo agli studi, vomitavo e poi andavo a lavorare. Immaginate con quanta serenità. Quando poi hai visto cento episodi e affrontato imprevisti, sai meglio come gestire le situazioni o comunque acquisisci la serenità per prendere decisioni rapide e sicure. Non sempre giuste, ma è più importante dare sicurezza agli altri che azzeccarci sempre (entro certi limiti, naturalmente!).
• Non legarsi ad un solo artista. E’ chiaro che generalizzo (ci sono meravigliosi connubi che contraddicono questa regola), ma essere l’autore esclusivo di quell’artista o conduttore, nell’immediato fa lavorare di più ed in maniera più protetta. Ma spesso dopo un po’ il conduttore tende a considerare l’autore un suo dipendente, ad impedirgli di avviare altre collaborazioni (anche quando il conduttore non sta lavorando e quindi l’autore non guadagna) e, gradualmente, a rispettarlo meno. Questo è un danno per entrambi.
• Avere idee ma far finta che non siano proprie. Se un autore ha un’idea che si rivela vincente o scova un nuovo talento, gli scrive i testi, lo affina e questo ha successo, presto il conduttore del programma per il quale sta lavorando rilascerà un’intervista nella quale dirà di avere avuto quell’idea o scovato quel talento. Talvolta, alla pubblicazione di quell’intervista segue una telefonata nella quale il conduttore dice all’autore che il giornalista ha scritto quello che voleva e lui gli aveva detto tutt’altro. Che la telefonata arrivi o meno, non importa. Se ci rimanete male avete sbagliato mestiere: provate a fare i conduttori. Lo dico con profondo rispetto per chi va in video, un mestiere che non saprei fare e che richiede personalità, prontezza e coraggio. Un po’ di auto centralità è assolutamente legale.
• Le raccomandazioni non servono. Mi è capitato di lavorare con colleghi imposti dall’alto. In realtà partono peggio: sono accolti nel gruppo con diffidenza e si sentono a disagio. Se ti chiederanno di segnalare qualcuno per un altro lavoro, non farai il suo nome. E di solito chiunque li sponsorizzi è soggetto alle maree del potere per cui magari dopo due anni non sarà più lì ad imporlo. Funziona di più lavorare bene e cercare di avere rapporti di stima reciproca con i colleghi, che spesso diventano amici.
Fabio Di Iorio