Home Notizie Con il sole negli occhi, Pupi Avati fa ancora Servizio Pubblico attraverso la fiction, portando in tv un dramma senza eccessività

Con il sole negli occhi, Pupi Avati fa ancora Servizio Pubblico attraverso la fiction, portando in tv un dramma senza eccessività

Con il sole negli occhi, il film-tv di Raiuno, racconta una storia molto attuale, riuscendo a non cadere in moralismi ed a svegliare il pubblico sulla situazione dei profughi: merito del regista Pupi Avati che ha voluto portare in tv una sceneggiatura forte e non banale

pubblicato 3 Febbraio 2015 aggiornato 2 Settembre 2020 19:04

Pupi Avati torna ad occuparsi di bambini in difficoltà, ed il risultato è ancora una volta toccante. Nonostante non raggiunga gli stessi livelli de Il bambini cattivo, andato in onda nel 2013 in occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Con il sole negli occhi, il film-tv di Raiuno, regala al pubblico un racconto intriso di attualità e di tenerezza.

Dai bambini contesi ai profughi siriani, il regista cerca di lasciare stare sentimentalismi eccessivi, per raccontare una realtà che è troppo poco raccontata dalla televisione. Proprio attraverso le immagini degli sbarchi reali si vuole unire la finzione del racconta alla realtà dei fatti: Avati cerca di non girare troppo intorno al problema, e fin dalla prima parte della fiction inserisce delle immagini in bianco e nero che, durante le scene di quotidianità della protagonista Carla (una Laura Morante che non preme troppo nell’interpretazione della donna in crisi), irrompono violentemente.

Avati sembra voler attaccare, nella prima parte del film-tv, proprio quel sistema occidentale che vuole dimenticare o fare finta di non poter agire di fronte ad un tragedia di cui, però, non ci si può scordare. Un attacco, il suo, che non stona con il resto della sceneggiatura, che si focalizza di più sul tentativo di Carla di aiutare Marhaba (Amor Faidi) a ritrovare i suoi fratelli.

Ma Con il sole negli occhi non vuole essere un film-tv con lieto fine, nè vuole intenerire il pubblico sfruttando la presenza di un bambino, come spesso fanno alcune fiction. L’obiettivo è invece quello di dare uno schiaffo al pubblico, cercando però di non traumatizzarlo. Da qui, il racconto in voice-over della protagonista (uno dei pochi elementi disturbanti del film-tv), che spiegano senza lasciare dubbi ogni scena in cui interviene.

A parte questo, Pupi Avati si rivela essere capace di sfruttare il piccolo schermo con racconti che fanno quel Servizio Pubblico che ogni tanto la fiction di dimentica di fare. Se con la lunga serialità si perde e confonde (Un matrimonio non è stato eccezionale), con i film-tv il regista riesce a porre l’attenzione su tematiche sociali di cui si preoccupa. E ricordando che a volte una certa generosità cela un desiderio di mettersi la coscienza a posto e basta (“siamo noi a dover aiutare loro, non loro a dover aiutare noi”, dice la psicologa del centro in cui Carla trova il bambino alla protagonista), il regista non cade nel tranello della fiction a sfondo sociale solo per ottenere elogi.

Un Avati che, in questo modo, afferma la propria attenzione al sociale laddove meglio gli riesce, ovvero sulla Rai che, dal canto suo, riesce così a mandare in onda produzioni che non si limitano a fare la morale.


Con il sole negli occhi