Corrado Formigli ha pontificato lunedì sera a reti unificate. Dopo l’editoriale di rottura, pronunciato all’inizio di Piazzapulita, il conduttore è andato in onda in contemporanea su La3: era, infatti, l’ospite di Andrea Scanzi a Reputescion.
Formigli è partito dalla sua vera vocazione, quella in cui più si identifica professionalmente, ovvero il giornalismo d’inchiesta:
“Io considero il mestiere di inviato il grado zero del giornalismo. Puoi fare il Direttore generale della Rai, la cosa più prestigiosa al mondo, ma tornare a fare l’inviato e per tutta la vita essere l’inviato. E’ quello che io sento. Sento due cose nella vita. Quando torni in studio hai un atteggiamento diverso. Vivi una certa schizofrenia nella professione. Io ho un rapporto duro con gli inviati, ma mi riconoscono autorevolezza”.
Poi ha criticato lo stesso genere che conduce, tornando ad autoassolversi sull’affare Buonanno:
“I talk show fanno tutti schifo, nei talk show c’è solo il bla-bla, quando si tratta di criticare la presenza di Buonanno sono tutti molto pronti a intervenire, quando tu vai inviato in un posto dove ci sono persone che lottano per la libertà e la democrazia mettendo a rischio la tua vita non esce una riga perché i talk show devono rientrare nel clichè. Del reportage su Kobane o dello speciale ‘Fortezza Europa’ non se ne è parlato, non è stato recensito perché esce fuori dal cliché è quindi, in qualche maniera, il teorema non è dimostrato. Mi aspetterei che fosse Salvini a prendere le distanze dalla frase di Buonanno. Difendo il fatto di averlo invitato perché penso che un talk show non debba ospitare solo quelli che ci piacciono o quelli che noi vorremmo che vincessero. Il nostro dovere è mostrare la realtà, anche quella che non ci piace. Quello che invece mi ha dato fastidio è stato quel applauso sguaiato perché di fronte ad una frase insopportabile (Buonanno: “I rom sono la feccia della società”, ndr) è un applauso anonimo di chi non ci mette la faccia. Un applauso un po’ simile a tanti utenti di twitter”.
Importante anche il suo appello mosso a Matteo Renzi in materia di pluralismo:
“Penso che il Presidente del Consiglio è naturalmente libero di andare dove vuole però dovrebbe porsi più seriamente il problema del pluralismo, di essere presente anche i quei programmi che lui percepisce più critici nei confronti del Governo. Credo che sarebbe un dovere istituzionale non andare sempre negli stessi programmi ma di aprirsi anche a presenze meno consuete. Non è un obbligo ma rafforzerebbe l‘idea che siamo in una democrazia matura. Chi viene a Piazzapulita accetta le regole: servizi, domande e un contraddittorio serio che credo faccia bene ai leader politici. Mai come quest’anno i talk show sono influenzati negli ascolti da alcuni ospiti come Renzi e Salvini. Loro sono consapevoli di questo potere e scelgono dove andare. Dobbiamo provare a pensare ad un racconto giornalistico alternativo che si autonomizzi dai Renzi e dai Salvini, da quelle tre, quattro figure che possono far fare uno scatto allo share”.
C’è stato spazio anche per una frecciatina al collega Paolo Del Debbio, che batte puntualmente Piazzapulita con Quinta colonna:
“Ci sono varie ragioni per cui quest’anno Del Debbio fa più ascolti di noi. Noi abbiamo fatto una scelta un po’ rischiosa ma che io rivendico: abbiamo iniziato con gli esteri, raccontando il pericolo dell’Isis prima degli altri con un reportage che ho fatto nel nord dell’Iraq. Guardare al di là dei nostri confini è una scelta televisivamente rischiosa, ma io penso che sia una scelta lungimirante che pagherà sul medio-lungo periodo. E la ritengo doverosa. Noi abbiamo forse alzato un pochino la qualità e l’ampiezza del racconto giornalistico guardando di più agli esteri. Due settimane fa quando c’è stato l’arrivo conclamato dell’Isis in Libia noi abbiamo fatto una puntata parlando della Libia, come avremmo potuto non farla? Quel giorno Del Debbio la Libia non l’ha neanche nominata, ha fatto per la terza, quarta volta consecutiva il benzinaio Stacchio. E’ legittimo, ha fatto più ascolto di noi. Ma io penso che a un certo punto dobbiamo porci il problema di cosa vogliamo raccontare e non inseguire necessariamente Del debbio su questo terreno”.
Il giornalista di La7 non ha, poi, risparmiato stoccate a Gad Lerner, che a sua volta lo ha criticato:
“Le critiche di Gad Lerner? Una lezione di etica del giornalismo preferisco non riceverla da chi fa giornalismo con la tessera del partito in tasca o che ha partecipato a campagne elettorali per il partito del quale aveva la tessera. Abbiamo due idee diverse dell’etica del giornalismo. Io non amo impartire lezioni di giornalismo, è una cosa che detesto e quindi non mi piace riceverle. In particolare mi pare di ricordare-che Lerner abbia meritoriamente fatto conoscere la Lega a Milano Italia ma continuando anche a L’Infedele, presentando gli impresentabili, ospitando molte volte Mario Borghezio, anche dopo che aveva disinfettato i sedili dei treni perchè ci si erano seduti gli extracomunitari. L’ha ospitato e nessuno ha avuto niente da ridire”.
Poi la passione, televisiva e personale, che non ti aspetti:
“Sono pazzo per la velocità. Sogno tutta la vita di condurre Top Gear, ma in realtà non ci saranno mai soldi per produrre una cosa del genere. Sono maniaco della velocità, ho perso la patente, l’ho dovuta rifare. Amo le macchine e i motori”.
A margine della puntata abbiamo visto il reputometro di Formigli, pari a -0,22:
“Alcuni lo giudicano fazioso e poco obiettivo, non scalda i cuori. altri lo vorrebbero più pungente con i politici e lo definiscono il vespa della sinistra, filorenziano”.
Formigli ha così risposto:
“Da una parte troppo renziano, dall’altra vengo menato da Renzi. Credo che il problema vero sia difficile catalogarmi. Io mi considero un giornalista, la politica non influenza il mio modo di lavorare”.