Matteo Viviani a Blogo: “Le Iene? Sarei pronto a rinunciare per la scrittura, il libro nato per necessità”
“Sarei disposto a rinunciare all’esposizione mediatica per dedicarmi completamente alla scrittura”. Matteo Viviani parla del suo debutto come scrittore e del suo ruolo a Le iene.
“Un noir dai risvolti pulp, una narrazione a tre voci, serrata e avvincente fino al finale che giunge cupo, logico e inaspettatamente crudele”. Lo descrivono così La crisalide nel fango, il primo romanzo firmato dalla “iena” Matteo Viviani. Alla vigilia dell’ultima puntata dell’attuale stagione del programma di Italia 1 condotto da Ilary Blasi e Teo Mammucari, in onda questa sera alle ore 21.10, abbiamo intercettato l’inviato/scrittore per parlare della sua prima opera ma anche della sua attività svolta all’interno della trasmissione ideata da Davide Parenti.
La crisalide nel fango. Da dove nasce la voglia di scrivere un romanzo?
“La voglia di scrivere non è nata, c’è sempre stata. Mi occupo di televisione ma parallelamente ho sempre scritto, in passato ho elaborato alcuni racconti brevi. La voglia di scrivere è una pulsione interna. E’ un viaggio ed io avevo voglia di partire”.
C’hai lavorato per due anni e mezzo…
“Il lavoro che faccio, quello di Iena, è complesso. Non è possibile programmare il tempo libero, esiste sempre una variabile e gli imprevisti sono all’ordine del giorno. E’ per questo che ci sono voluti due anni e mezzo, sotto questo punto di vista è stato faticoso”.
Ci spieghi la scelta del titolo?
“La crisalide rappresenta l’adolescenza. La crisalide è la farfalla nello stato di larva. Ma la crisalide può essere paragonata ad un adolescente che non si è ancora evoluta, non ha ancora aperto le ali colorate per il proprio buongiorno alla vita. Il fango, fisicamente, impedirà alla ragazza che questa metamorfosi possa avvenire”.
I protagonisti sono tre: Alessandro, Sonia e Raffaele. Spesso le caratteristiche e la vita dello scrittore si proiettano nei protagonisti del romanzo. E’ successo anche a te?
“Sì. Ma anche no. Oltre ad aver attinto dalla mia fantasia perversa, ho attinto – involontariamente – dal mio background, dalle esperienze e dalle mie caratteristiche. Non per riportarle come ‘copia-incolla’. Sono servite come spunto, è stato come modellare un pongo. E’ questo il lato affascinante della scrittura”.
Quindi quale dei personaggi ti assomiglia di più?
“Alessandro è un po’ il vecchio Matteo. Io adesso sono un uomo sposato, ho una bambina, ho uno stile di vita diverso. La mia vita, prima, era totalmente differente: mi occupavo di altro, i miei interessi erano altri ed ero meno maturo. Ho attinto da quel Matteo ma c’è stato, anche qui, un processo di metamorfosi. Ho voluto evitare azioni scontate, non sarei stato soddisfatto a riportare parti della mia vita senza un processo di modellazione e mutazione degli elementi, non mi avrebbe soddisfatto. Così come non mi avrebbe soddisfatto scrivere un libro sul mio lavoro, su Le iene ed il backstage. La scrittura dev’essere piacere e sfida”.
Il finale è crudele…
“Il finale capovolge i piani su cui sono poggiate le cose. E’ uno schiaffo in faccia. Nel percorso ci sono una serie di micro elementi disseminati: ci sono lettori che cominciano ad annusare qualcosa di strano, cominciano a capire che c’è qualcosa che non va. Qualcun’altro, invece, non riesce a cogliere questi segnali e, una volta arrivato ultime pagine, viene travolto da una palata in faccia che se non si aspettava. Mi è stato riferito da alcuni lettori che, dopo aver letto il finale, sono rimasti spiazzati e sono andati a ricercare alcuni passaggi del libro che gli erano sfuggiti. E’ stato interessante farlo”.
Ti sei pure divertito, immagino.
“L’azione è divertente, ma non è la parola giusta. E’ stato emozionante, ho scritto con lo stomaco. E’ un’emozione più profonda del divertimento. Mi sono sentito una sorta di creatore, la vita delle persone dipendeva da me; potevo assaporare il piacere perverso di fare del male senza nuocere nessuno. Non ci sarebbero stati effetti collaterali, tutto sarebbe rimasto confinato al mondo virtuale che avevo creato. Non pensavo di provare certe sensazioni. Un po’ ho provato le stesse emozioni di quando facevo il pittore…”.
Ecco, pochi lo sanno ma sei stato un pittore e disegnatore orafo…
“Avevo 18 anni, disegnavo gioielli e riproducevo quadri antichi con olio su tela. Un giorno, riproducendo un quadro con una storia particolare, ho provato un gorgoglio di emozioni forti. Ho anche pianto dipingendo quel quadro. Con questo libro non ho provato quella stessa intensità forse perché sono cresciuto, ma la natura delle emozioni era la stessa. E’ per questo che parlo di bisogno”.
Da disegnatore orafo e pittore a Scherzi a parte: il passaggio non è scontato. Ce lo racconti?
“Quando avevo vent’anni mi sono trasferito a Milano, dormivo in macchina e mi arrangiavo come riuscivo. Ho lavorato come cameriere per un anno, quindi ho iniziato a fare il ballerino nelle discoteche e per un periodo ho fatto pure gli strip. Il passaggio successivo è stato entrare, molto lentamente, nel mondo della moda. Ho lavorato come modello per otto anni ed è capitato più volte di partecipare ad alcuni casting che, puntualmente, andavano male. Solo uno è andato bene, quello come attore di Scherzi a parte“.
Quindi arrivi a Le iene. Dici spesso che all’inizio non è stato facile e la paga era misera. Confermi?
“All’inizio non riuscivo neppure a pagarmi la spesa per mangiare. In due anni ho guadagnato quello che prima guadagnavo in due mesi. Ma non mi interessava, ho abbandonato tutti i miei contatti nel mondo della moda, volevo fare quello. E’ stato un investimento, anche rischioso: per due anni ho frequentato assiduamente la redazione de Le iene nel tentativo di imparare un mestiere”.
Qual è stato il servizio della svolta?
“Quello della droga in parlamento, ha fatto il giro del mondo. Ero un giovane inviato e quel servizio ha certificato la mia figura all’interno dell’entourage della trasmissione. Ma, al tempo, sulla copertina del New Tork Times ci finirono Luca e Paolo, non ci finii io (ride, ndr). Mi sono pure beccato una condanna di cinque mesi e dieci giorni di carcere. Sono le assurdità di questo mestiere. Tutto serve, anche le vicende negative”.
Un’altra vicenda negativa che, credo, ti abbia colpito è stata quella del prete accusato di pedofilia che si è suicidato. Il servizio era tuo, era il 2010…
“(sospira, ndr) Si è buttato sotto un treno, è stata una morte violenta. Mi ha scosso, sì. Quando, dall’altra parte, c’è una persona palesemente colpevole di qualcosa di orribile come può essere la pedofilia, tutti noi ci siamo autorizzati a scrivere ‘Ti sparerei’, ‘Ammazzati’. Ormai è diventata una consuetudine. Ma quando vieni a sapere che una persona si è tolta la vita a causa dell’interazione che ci è stata fra te e lui… beh, pensi tanto. Pensi ai suoi genitori. Pensi alle persone, ignare della sua ‘deviazione’, che gli volevano bene. Non soffrire di una simile notizia denoterebbe ottusità mentale. Ho tanti difetti, ma non quello di essere ottuso”.
Un altro servizio che ha fatto discutere è stato quello, recente, su “Anna ed i frati cappuccini”. Ed è stato quel servizio, probabilmente, la “causa” delle minacce di morte che hai ricevuto…
“Non c’è un nesso comprovato fra le minacce ed il servizio. C’è un ragionamento logico, banale. Il messaggio faceva riferimento ad un’interruzione di qualcosa; l’unica cosa che si poteva interrompere era quel servizio lì. E’ una deduzione per esclusione. Il pezzo palesava una determinata situazione di abusi avvenuti all’interno di un convento di frati minori cappuccini. Inoltre tali frati, che dovrebbero vivere la carità e povertà, abitano in luoghi simili a hotel cinque stelle e viaggiano con macchine costosissime. Trovo scandaloso che nessun giornale abbia riportato alcunché. Stiamo parlando del secondo convento più visitato al mondo. E’ un’assurdità”.
E’ normale che la tv arrivi prima delle forze dell’ordine?
“Le forze dell’ordine hanno tanto da fare, i mezzi e le risorse sono sempre meno. Ma il loro problema maggiore è la burocrazia. Noi arriviamo prima delle forze dell’ordine perché se la polizia postale scopre una truffa ed arriva a trovare l’indirizzo di casa del truffatore, non può raggiungerlo ed arrestarlo. Quello succede nei film americani. Nella realtà c’è un iter molto lungo che porta via un paio di mesi”.
“Quando ti vengono a dire che il servizio che speravi andasse in onda non andrà più… beh, ragazzi, che giramento di palle… non avete idea”. Perché era successo? Succede spesso?
“Noi dobbiamo sempre rimanere entro i confini dettati dalla legge. Una volta terminato un servizio, Italia 1 non può mandarlo in onda perché si fida di Matteo Viviani. Ci sono degli avvocati di Mediaset che controllano molto scrupolosamente il servizio, loro non vogliono essere complici di un reato. Il servizio a cui facevo riferimento in quel caso era su Anna ed i frati cappuccini e, pure lì, c’erano alcuni passaggi che dovevano essere valutati attentamente. Il servizio era complesso, ho terminato quel pezzo tre ore prima della messa in onda della trasmissione e c’era il timore che gli avvocati non riuscissero a vagliare il pezzo. Ci sono riusciti, per fortuna, pochi minuti prima della messa in onda”.
Ormai sei a Le iene da dieci anni. Ma, quando ti chiedono cosa vuoi fare da grande, rispondi “Qualcosa di diverso rispetto a quello che faccio adesso”. Allora, cosa vuole fare Matteo Viviani?
“Sarei disposto a rinunciare all’esposizione mediatica per dedicarmi completamente alla scrittura. Lo farei immediatamente, senza alcun indugio. Purtroppo, spesso, le persone nell’ambito televisivo si ammalano di una malattia legata alla riconoscibilità. Quando cominciano ad essere riconosciuti per strada, credono di essere autorizzati a sentirsi fighi, superiori ed arrivati. Chi lavora in televisione deve capire che quello è un lavoro, punto. Poi, il fatto che ci sia una telecamera è un dettaglio. Io festeggerei me stesso se avessi scoperto la pennicellina o se avessi salvato un bambino asportandogli un tumore. Lì, forse, potrei avere il diritto di sentirmi arrivato. Non perché lavoro davanti o dietro una telecamera”