Home Notizie ‘Chiedi a Papà’ ma tanto c’è mamma: il docureality di Rai 3 galleggia sulla famiglia italiana anni ’50

‘Chiedi a Papà’ ma tanto c’è mamma: il docureality di Rai 3 galleggia sulla famiglia italiana anni ’50

“Chiedi a papà” non riesce a staccarsi dal canonico trattamento dei ruoli genitoriali.

pubblicato 10 Gennaio 2016 aggiornato 2 Settembre 2020 06:16

Due famiglie con figli, due mamme spedite a rilassarsi forzatamente a km da casa, due padri alle prese con i bambini che di solito vedono di sfuggita: questo il succo di Chiedi a Papà, docureality di Rai 3 in 10 puntate – prodotto da Indigo Film e 21 e in onda nella seconda serata del venerdì – nato da un’idea di Francesco Uccello (che da anni ha un blog molto seguito, ovvero motelospiegoapapa.it) e con Ivan Cotroneo tra gli autori, uno che di racconti dell’Italia contemporanea ne sa qualcosa.

Premetto: sono partita con attese molto alte, sia per la presenza di Cotroneo – amato per Una Mamma Imperfetta e apprezzato per il tocco di E’ arrivata la felicità – sia per il tipo di format, tutto giocato, almeno nella presentazione, sui padri costretti a occuparsi dei figli. Ma devo dire che la prima puntata non le ha rispettate. Anzi, penso proprio che la premessa narrativa sia stata tradita: più che un viaggio tra padri alle prese con i figli mi sono ritrovata di fronte a un racconto sulle famiglie di oggi, che è tutta un’altra cosa. “Un’occasione per entrare nella vita quotidiana delle famiglie di oggi attraverso il linguaggio del documentario” recitava il comunicato di presentazione: l’obiettivo è registrare le reazioni della famiglia a una situazione ‘anomala’, ovvero la mamma in vacanza. E già questa la dice lunga sulla famiglia italiana e sulla prevedibilità di quel che mi sono trovata poi a vedere.

Siamo quindi lontani da quel che mi aspettavo: non c’è la riscossa dei padri, troppo spesso sminuiti dalle miscredenti mogli, né un vademecum per diventare un compagno consapevole e coinvolto; ci si ritrova piuttosto nel meglio di una seduta di autoconsapevolezza di coppia, a distanza. Da una parte le mamme che si rendono conto di non lasciare lo spazio ai mariti, dall’altra i mariti che improvvisamente capiscono cosa voglia dire lavorare, gestire la casa e dare retta ai figli. Tutto fin troppo scontato. Almeno per me.

Quelli in tv, però, sono papà già armati di buona volontà e già depositari di un rapporto con i propri figli (cosa non scontata). Più spaventati appaiono i ragazzi e basta questo per farci capire il tipo di gestione media della famiglia italiana, ancora oggi: la madre polivalente, il padre un optional. E dire che quelle scelte per la prima puntata non sono famiglie proprio ‘iper-comuni’: da una parte ci sono i Di Nuzzo di Ravenna, con i 34enni Silvia (giornalista) e Mauro (bancario) e i loro due bambini, Violante di 7 anni e Filippo, 17 mesi; dall’altra ci sono i Campagna di Padova, famiglia di circensi guidata da Valeria – 51 anni, 4 lauree e una scelta di vita controcorrente – e Massimo (46 anni), con ben 4 figli, tutti ormai adolescenti (Davide, Gabriele, Alessandro, Arianna rispettivamente di 18,17,15 e 11 anni).

Alla fine ‘Chiedi a papà’ mi è parsa, piuttosto, una piatta trasmissione sulla ‘genitorialità’, con poca problematizzazione e rassicurante happy ending. Il focus non è sui padri, ma sulle mamme e sui loro errori: se i padri non ‘crescono’ è perché ci sono le mamme a soffocarne la paternità, con la loro ansia perenne e la loro onniscienza filiale, condita con l’assoluta mancanza di fiducia nelle capacità maschili. Si perpetua, così, il classico modello del padre che in casa non sa come si prende una scopa in mano e la mamma che fa tutto e si lamenta di dover far tutto, con i figli sempre pronti a chiedere, ma non educati a fare. Certo i maschietti ci mettono il loro, sbuffando a ogni richiesta: quelli che si son prestati alle telecamere hanno di certo mostrato il meglio di sé. Come siano davvero non si saprà mai. Potere del piccolo schermo.

Il ritratto della mai superata famiglia tradizionale passa attraverso le due storylines ‘tratteggiate’ nell’ora di programma.

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Da una parte ci sono le mamme in ferie forzate che si macerano in una seduta di autocoscienza, con tutta l’ipocrisia di chi si rivolge alle telecamere ripetendo come un mantra “sto benissimo, mi ci voleva proprio una vacanza, era ora che mio marito si rendesse conto… etc etc” ma con dei volti tirati da sonno perso a causa della consegna dei cellulari alla reception per tutti e cinque i giorni di ‘relax’. Ma tra un massaggio e una piscina escono sprazzi di verità sulla vita di coppia dopo i figli. C’è chi ha il coraggio anche di dire che i figli non sono proprio benedizioni: “Non immaginavo che i figli potessero avere un impatto così devastante sul matrimonio” dice Silvia. Le due sono comunque d’accordo su un aspetto fondamentale: non si fidano dei loro mariti come padri. Mi sembra un’ottima premessa per essere genitori.

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Dall’altra ci sono i papà, che si giocano tutte le carte a propria disposizione per placare i bambini: più si va avanti più cedono, più i giorni passano più i gelati di consolazione e l’infrazione delle regole non bastano più. E si finisce per scaricare i compiti sui figli maggiori, anche se hanno solo 7 anni. Dimostrazione di una gestione emergenziale, del tutto priva di sistematicità, che può durare poco, ma non essere un modello educativo. Insomma, si pensa a tamponare in attesa che torni ‘mammà’. Ma ce la mettono tutta. Buon segno. Ma alla fine tutto cambia perché nulla cambi.

Fin qui un ritratto realistico della famiglia ma neanche tanto impietoso, tendenzialmente appagante nella sua quotidianità, condito con quel tocco di condiscendenza che evita il ‘dramma’ da senso di colpa – fin troppo abbondante nel malato schema familiare all’italiana – e quell’ombra di presa di coscienza che apre a un futuro ‘diverso’ e migliore per tutti.

Bastava già questo per deludere le mie attese: un racconto che non è mai davvero decollato, una triste rappresentazione del classico modello familiare italiano che diventa protagonista in tv.

Quel che mi ha davvero irritato però è stato il finale. Terminati i 5 giorni di vacanza, quando ormai scatta anche la tradizionale lamentatio delle mamme su quanto sarebbe bello non tornare a casa – e non tanto per la gioia delle ferie quanto per il terrore di ritrovarsi faccia a faccia con chili di panni da stirare e la casa da tirare a lucido –  ecco la Sorpresa (con la maiuscola): la direzione regala un giorno di vacanza in più.

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Panico, terrore, angoscia attraversano i volti delle mamme, che fino a un secondo prima apparivano straziate dall’idea di tornare a casa e che repentinamente si trasformano in prigioniere di Alcatraz in cerca di una via di fuga.

Il momento migliore della puntata.

Tutta l’ipocrisia si rivela nel pallore delle due donne, schiacciate dalla voglia di rinunciare, ma terrorizzate dal dietrofront. “Cosa penseranno di me?” è la domanda che appare in tecnicolor sulle fronti delle due mamme. Da una parte preme il non voler fare la figura della chioccia bugiarda, dall’altra spinge la voglia di tornare dai propri pulcini.

Mi godo il momento. La ‘cazzimma’ finalmente si svela. Il re è nudo.

Non solo. Ad accrescere il pathos del momento (l’unico emotivamente coinvolgente) c’è anche la possibilità di fare una telefonata a casa. Le donne vi si aggrappano come un’ancora di salvezza: potranno decidere di tornare a casa per colpa dei mariti, incapaci di stare senza di loro un’ora in più. Dignità salva, onore materno riscattato, conferma dell’inferiorità maschile.

Io nel frattempo spero con tutta me stessa che i papà dicano con un sorriso di godersi ancora un po’ di relax. E invece sento voci dell’oltretomba. Ecco, mi rendo conto di non essere proprio l’archetipo della telespettatrice ‘ideale’, visto che tifo per la riabilitazione dei padri e non mi sento soddisfatta dalla conferma dei loro limiti, come immagino possa accadere invece per le mamme in ascolto. A questo punto per me è già tutto finito, ma la cosa riesce persino a peggiorare. In realtà, padri e figli sono già nel resort. Le telefonate erano un depistaggio.

“Sorpresaaa!”. Le famiglie riunite si godono un giorno di vacanza insieme. Mamme in lacrime riabbracciano i propri figli, padri sorridenti per il Purgatorio finito, ragazzi soddisfatti per l’ordine ristabilito: il lieto fine è con noi.

In pratica l’unico vero momento di svolta viene azzerato da un finale buonista che vanifica tutto lo sforzo iniziale di responsabilizzare entrambe le due parti della coppia, non solo i padri.

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Insomma, mi aspettavo di essere sorpresa dalla capacità dei padri contemporanei, pronti a far ricredere le compagne sulle proprie qualità, di essere sorpresa da mamme giovani più aperte alla collaborazione e invece mi ritrovo un ritratto della famiglia italiana ‘2.0’, drammaticamente simile a quelle anni ’50 di cui ci si lamenta sempre.

“Chiedi a papà” ha sì il merito di portare a galla l’ipocrisia delle famiglie contemporanee (che si credono magari migliori di quelle dei propri genitori ma che finiscono per perpetrare modelli altrettanto negativi), ma resta manifestatamente in superficie, come se non volesse andare oltre, come se non volesse rigirare il coltello nella piaga. Pur avendo l’occasione per un affondo cinico sulle perverse dinamiche delle famiglie italiane, decide di chiudere il tutto con una bella reunion tranquillizzante. Un vero peccato.

Il format vorrebbe osare, ma si autocensura: questa l’impressione che ho avuto in questa prima puntata, questa la ragione della mia sostanziale delusione. E penso già a una versione comparativo/contrastiva, sul modello di Cambio Casa, con un bel confronto Italia-Nord Europa. Potrebbero esserci belle sorprese. Sorprese che in Chiedi a Papà sono del tutto assenti.