Home Rai 1 Felicia Impastato, la fiction svilisce la ‘madre di tutte le battaglie’ contro la Mafia

Felicia Impastato, la fiction svilisce la ‘madre di tutte le battaglie’ contro la Mafia

Diretto da Gianfranco Albano con Lunetta Savino protagonista, il film tv va in onda all’indomani dell’anniversario della morte di Peppino Impastato.

pubblicato 10 Maggio 2016 aggiornato 2 Settembre 2020 01:10

La fiction di Rai 1 non rende giustizia a Felicia Impastato. Quella giustizia che mamma Felicia ha cercato con ostinazione per il figlio Peppino, ucciso dalla Mafia e fatto passare per kamikaze dai depistaggi delle Forze dell’Ordine, si è disfatta di fronte a un film tv che ha preferito l’impressionismo retorico di scuola Rai a un’asciutta narrazione che desse davvero conto dell’estenuante battaglia contro i muri di gomma che la signora Bartolotta ha affrontato anno dopo anno, esposto dopo esposto, dal 1978 al 2000, quando poté finalmente testimoniare contro colui che fin dal primo giorno tutti sapevano essere “il comandante” dell’omicidio del figlio, Tano Badalamenti.

Il regista aveva detto di aver voluto puntare sulla fierezza di una donna che ha sempre difeso il figlio persino contro il marito – condotta a dir poco ‘disonorevole’ per ‘un’onesta’ moglie e madre di Cinisi – ma quella fierezza sopravvive solo grazie all’interpretazione di Lunetta Savino, potente nella mimica, meno nei dialoghi che si consumano nella ripetizione delle citazioni note di donna Felicia. Solo in alcune sue espressioni si riesce davvero a percepire la solitudine di una donna devastata dalla morte del figlio e nello stesso tempo ‘posseduta’ dalla consapevolezza del giusto, che le permette di dar voce al figlio, di continuare la sua lotta, di penetrare nella dura scorsa dell’omertoso feudo di Badalamenti.

La fiction, però, non ha il coraggio di Felicia. Non ne ha la forza. Nonostante la presenza tra gli autori di Monica Zapelli – già firma de I Cento Passi – e dello scrittore Diego De Silva, la sceneggiatura non si eleva, il soggetto non scava nell’inchiesta e nelle sue continue altalenanti vicende (vero cuore della battaglia di Felicia), i dialoghi si fermano al grado zero della costruzione narrativa e i personaggi chiave delle indagini – ma anche figure chiave come il giornalista Mario Francese, il primo che raccolse un’intervista di Felicia – appaiono e scompaiono senza una concreta contestualizzazione procedurale e giudiziaria. La PM interpretata da Barbara Tabita appare fuggevolmente come una sorta di fotoreporter per poi riapparire folgorata sulla via di Damasco da Chinnici, quindi ostinata cacciatrice di riscontri sulle dichiarazioni di un pentito (si capisce di sfuggita che si tratta di Palazzolo) circa l’omicidio di Peppino. Come, perché, chi sia è praticamente ignoto.

Basti pensare che Rocco Chinnici, figura chiave nella vicenda processuale del caso Impastato, è in scena 8 minuti su due ore di racconto. Tutto il lavoro precedente del pool antimafia, che pure lottò per non chiudere il fascicolo sul delitto Impastato, viene liquidato in una battuta. E che dire del filone di indagine che ha portato la Commissione parlamentare antimafia a riconoscere il depistaggio attuato da carabinieri e magistrati e che Felicia accolse con un soddisfatto “Avete risuscitato mio figlio”? Di tutto questo nella fiction non c’è traccia: come spazzar via più metà della battaglia combattuta dalla donna, ugualmente determinata ad assicurare alla giustizia mandanti ed esecutori mafiosi e a riabilitare la figura del figlio dalle menzogne di chi creò da subito una verità di comodo.
Non era forse possibile riassumere le vicende investigative e processuali in maniera più intellegibile? Spero non abbiano pensato che potesse essere un ‘depistaggio’ dalla figura di Felicia Impastato, costretta invece nella fiction a ripetere se stessa nel microcosmo di Cinisi per oltre un’ora. La lotta di Felicia fu combattuta nei corridoi degli uffici pubblici tanto quanto nelle stanze della sua casa museo a contrastare le minacce degli uomini della Mafia e i giudizi dei benpensanti: eppure, persino il suo costante lavoro di educazione alla legalità viene tratteggiato con modalità da ‘cuore’ (e neanche di quello comenciniano).

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E dire che il film tv era partito bene. L’inizio con Felicia nell’ampio e disadorno corridoio del Palazzo di Giustizia, il faticoso arrivo nella tanto desiderata aula di Tribunale, il volto scavato e lo sguardo deciso, l’espressione visceralmente disgustata davanti a Tano Badalamenti, quella ‘parlata’ sinceramente ‘siculofona’ (“Io nascivi a Cinisi…Me’ maritu stese un mese in America e poi ritornau, un mese dopo muriu e dopo sette mesi hanno scannatu me’ figghiu“) mette subito in connessione con la figura che le cronache hanno tràdito. Anche il ‘prologo’ costruito sull’omicidio di Peppino riesce a mettere convincentemente sul campo la lotta di Felicia Impastato, che affronta con la stessa forza mafiosi e carabinieri.
Potente la scena in cui la donna mette a posto la stanza del figlio dopo l’arrogante perquisizione dei Carabinieri: vederla sistemare con tanto affetto e devozione abiti e carte del figlio che ancora non sa morto è straziante e nello stesso tempo restituisce la solitudine di una donna che deve lottare da sola contro tutti.

Ed è anche interessante la battaglia per la definizione stessa del figlio. La prima mezz’ora del film tv, infatti, solleva la questione dell’identità di Peppino: non è uno della ‘famiglia’ da vendicare per lo ‘sgarro’ di Badalamenti; non è un terrorista suicida, come invece sostengono i Carabinieri; non è un figliolo che non rispetta il padre. E’ un uomo libero e giusto ed è proprio nella definizione della vera identità di Peppino che si costruisce anche quella di Mamma Felicia nella vita sociale e culturale italiana.

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Tutto questo svanisce rapidamente (lingua compresa) nella pedanteria delle classiche lungaggini da fiction Rai: la scena al mare, ad esempio, segna a mio avviso proprio il passaggio dalla parte ‘buona’ (che prometteva sviluppi procedurali con Liborio che lascia nelle mani del brigadiere la pietra bagnata del sangue di Peppino) a quella diluita, che persegue la litania sul ‘santino’ di Peppino Impastato, del tutto superflua. L’emozione nel sentire la sua voce nella registrazione di Radio Aut evapora troppo presto quando si capisce che vengono ripetuti sempre gli stessi 10”. Il resto, come detto, si consuma nella ripetizione di situazioni, dichiarazioni, affermazioni, minacce, che sembrano risentire anche della presenza di Giovanni Impastato nella consulenza alla sceneggiatura, visto che nella storia conquista una ribalta altrove assente (penso sempre a I Cento Passi, che del resto ritroviamo nel comune ricorso al set originale di Cinisi). La ripetizione si traduce nella smisurata dilatazione di una condizione difficile certo vissuta nel tempo da Felicia Impastato, ma che è andata di pari passo a vicende ancor più complesse tra palazzi di Giustizia e Comandi militari, qui praticamente assenti. Si preferisce, invece, soffermarsi sull’episodio della doppia emorragia subdurale che la donna si sarebbe procurata dandosi cazzotti in testa per la disperazione.

Neanche la chiusura circolare riscatta la fiction: sul finale si torna in quell’aula di Giustizia, solo per vedere la Felicia Impastato di Lunetta Savino puntare il dito contro Badalamenti. Gesto simbolico e drammatico che segnò la vera testimonianza della mamma di Peppino, ma che qui lascia il senso di una narrazione incompiuta, che ha forse lasciato fuori la parte più drammaticamente materna della battaglia di Felicia: il riscatto del figlio.

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Se sulla narrazione ci siamo soffermati pure troppo, la confezione non ha bisogno di tanti commenti: l’inquadratura (un tantino) tremante cerca l’effetto ‘realtà’, ma non lo trova, mentre i primi piani stretti della Savino almeno restituiscono un po’ di quel pathos che la storia non riesce a trasmettere. Menzione a parte per la colonna sonora: insostenibile, inascoltabile, terribilmente banale, assolutamente disturbante. Perfetta per Il Segreto. E basta.

Posso dire che questa a Rai Fiction faccio fatica a perdonarla? Riuscire ad annientare una storia potente come quella di Felicia Impastato è un delitto. E un vero peccato.

Felicia Impastato, su Rai il film tv sulla madre di Peppino

Rai 1 racconta questa sera, martedì 10 maggio, il dolore, il coraggio e la fierezza di Felicia Impastato, la madre di Peppino, moglie di capomafia e mamma di chi ha avuto la forza di denunciare il sistema mafioso ed è stato ucciso per il suo bisogno di legalità. Va in onda in prima serata, infatti, il film tv diretto da Gianfranco Albano che vede Lunetta Savino nelle scure vesti e nel piglio determinato di Felicia, nata Bartolotta in quel di Cinisi e andata in sposa a 31 anni a un piccolo allevatore, inviato al confino per Mafia durante il fascismo e cognato del boss del paese, Cesare Manzella. I Cento Passi raccontati da Marco Tullio Giordana erano proprio quelli che dividevano la sua casa da quella si Zì Tano Badalamenti, contro cui la donna testimonierà nel processo per la morte del figlio, avvenuta 22 anni prima.

Una storia esemplare che arriva in tv il giorno dopo il 38esimo anniversario della morte di Peppino, ucciso dalla Mafia nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 e che si concentra sulla lunga lotta condotta da una donna perché venissero condannati gli assassini del figlio. Una storia privata che si intreccia con la storia politica, civile e sociale del nostro Paese e che incrocia anche altri drammatici eventi di mafia, come l’omicidio del giudice Chinnici che riapre le indagini sulla morte di Impastato e diventa bersaglio dei suoi stessi carnefici.
Ma vediamo la sinossi del film tv.

Felicia Impastato, la Fiction | Sinossi

La storia di Felicia Impastato è tutta nel dolore di una madre che si trasforma in una determinata guerra contro l’omertà e per la giustizia, capisaldi della vita e dell’azione del figlio Peppino. Con l’aiuto dell’altro figlio, Giovanni, e degli amici di Peppino, Felicia si ritrova a combattere per 20 anni per assicurare gli assassini del primogenito alla giustizia.

Il primo ad ascoltare la sua voce, che fin da subito si alza contro le famiglie di Cinisi, è il giudice Rocco Chinnici, un magistrato di Palermo, che riprende in mano le carte della morte di Peppino e ribalta le conclusioni frettolose dei suoi colleghi. Peppimo è stato ucciso: il suo non è stato un suicidio né un maldestro tentativo di attentato. Ma ci vogliono le prove. Quando sembra che le cose si stiano finalmente iniziando a muovere, la Mafia uccide Rocco Chinnici, vittima di un attentato dinamitardo il 29 luglio del 1983. La battaglia di Felicia, quindi, si sposta sul piano culturale: apre la sua casa, comincia a ricevere i ragazzi, a raccontare la storia di Peppino, il tutto mentre primo pool antimafia messo su da Chinnici continua a lavorare, anche se piano piano viene smantellato. Una battaglia combattuta senza mai arrestare, esposto dopo esposto, ostacolo dopo ostacolo, fino a quando, 22 anni dopo l’omicidio di Peppino, Felicia può finalmente testimoniare nel processo contro Badalamenti: era il 25 ottobre 2000 e due anni dopo Badalamenti verrà condannato all’ergastolo l’11 aprile del 2002. Nel 2004 Felicia si spense a 88 anni.

Come spiega il regista,

“la struttura del film è costituita da un lungo flash-back che s’interpone nella lunga deposizione di Felicia al Tribunale di Palermo nel 2000. Questo flash-back costituisce il punto di vista di Felicia. Felicia racconta ai giudici e alla Corte, al pubblico e a noi spettatori quello che è avvenuto dal 1978 al 2000: dalla morte di suo figlio Peppino, ai tentativi di farlo passare per suicida terrorista, dai depistaggi, alle morti violente dei giudici, alla sua implacabile ostinazione di madre nel credere nella
giustizia. Il suo racconto si snoda quasi come un documentario oggettivo, segnato dal ricorrere delle immagini della morte di Peppino o di alcune parole e frasi che si ripetono ossessive, ma non indulge mai al dolore e all’autocommiserazione, mostra invece quella che noi riteniamo l’essenza di questa speciale donna siciliana: la fierezza. Fierezza di una madre per un figlio che si è battuto letteralmente fino alla morte per le proprie idee, fierezza di chi in quelle idee si identifica, fierezza di una battaglia per la giustizia e la verità che non è affatto una questione personale, ma sociale e dell’intera collettività”.

Felicia Impastato | La fiction

Il film tv è una coproduzione Rai Fiction e 11 Marzo Film: liberamente ispirato alla storia di Felicia Impastato, il film tv è diretto da Gianfranco Albano, con soggetto e sceneggiatura scritta da Diego De Silva e Monica Zapelli, con la consulenza di Giovanni Impastato. Con Lunetta Savino nei panni della protagonista, Carmelo Galati, Barbara Tabita, Linda Caridi, Alessandro Agnello, Gaetano Aronica, Paride Benassai, Alessandro Idonea, Francesco La Mantia, Rosario Petix, Fabrizio Ferracane e con la partecipazione di Giorgio Colangeli e Antonio Catania, nel ruolo di Rocco Chinnici.

Felicia Impastato | Come seguirlo in tv e in live streaming

Il film tv va in onda solo questa sera, martedì 10 maggio, alle 21.10 su Rai 1 e su Rai HD (501). Come tutti i programmi Rai, è possibile seguirlo in live streaming sul sito rai.tv. L’hashtag per commentare è #FeliciaImpastato.


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