Ivan Olita a Blogo: “Forte Forte Forte? Un’esperienza pazzesca nonostante gli ascolti deliranti. Farei un programma di interviste”
Intervista a Ivan Olita – Un’agenzia creativa in America, la televisione in Italia e Forte Forte Forte.
L’appuntamento è alle 19, ora italiana, su Skype. Ivan Olita ci risponde, puntuale e sorridente, dal giardino di casa sua a Los Angeles. Lì sono le 10 del mattino. “Abito in America da cinque anni, sono tornato in Italia per la parentesi Forte Forte Forte ma abito qua”, ci confida. “La televisione Italia? Non ambisco a fare qualcosa a tutti i costi in televisione. Mi piace Campo dall’Orto, è un illuminato italiano, un vero numero uno”.
Cosa fai a Los Angeles?
“Non faccio il conduttore, sono un film-maker e direttore creativo. Ho un’agenzia creativa (brv.nyc), sono a capo di un team sparso fra l’America, l’Italia e Londra. Sviluppiamo dei contenuti video per brand di moda, facciamo branded content, campagne, web design e documentari per new media”.
La televisione è stata solo una ‘parentesi’?
“Ho cominciato quando avevo 18 anni ed era una parentesi perché la mia attività principale era lo studio. Poi, di fatto, è diventato un lavoro e penso che lo sia stato per almeno due anni, il periodo di All Music e Top of The Pops. Mano a mano mi sono specializzato in altre cose, ho studiato arte e ho cominciato a lavorare con dei magazine. Quella della televisione è diventata effettivamente una parentesi in momenti diversi della mia vita. Quando ero uno studente era una parentesi allo studio. Quando ho cominciato a lavorare con i giornali è stata una parentesi rispetto a quell’impegno. E poi ho pensato di trasferirmi in America, ho pensato di crearmi una nuova carriera qui e la cosa è andata a perdersi. In Italia le cose sono di una lentezza sconfinata”.
Cioè?
“E’ tutto molto lento. L’economia è lenta, ci sono pochi soldi e questo va a influire su una serie di ambiti, fra cui quello dell’intrattenimento e dello spettacolo. Io ho tanti amici in Italia che lavorano nello spettacolo, ma vengono prodotti pochi programmi o poche nuove serie. Per me è sempre stato un divertimento e credo di aver avuto l’approccio ideale nei confronti del mezzo televisivo. Non mi sono mai messo ad aspettare che qualcuno mi chiamasse e non mi sono neppure messo a fare il conduttore non lavorante, quello che sta in panchina ad attendere. Tanta gente lo fa, ma non li giudico perché è il loro lavoro”.
Hai condotto tre programmi, tutti legati alla musica. Un caso?
“Io ho cominciato a fare il veejay su All Music. Sai, c’è tutta una scuola di ex veejay con Federico Russo ed Alessandro Cattelan in testa. Era un momento interessante perché non c’era ancora la televisione digitale o era proprio agli inizi. Non c’era Instagram, forse cominciavano a comparire i primi post su Facebook o i primi tweet. L’espressione ultima di qualcosa di più interessante e sperimentale erano queste tv, rigorosamente musicali. Da lì si sono sviluppati una serie di personaggi interessanti”.
Quel mondo lì, poi, è andato a morire.
“E’ morto proprio. All Music è stata chiusa. Adesso non so cosa facciano su Mtv Italia, ma credo qualcosa di diverso rispetto al passato”.
“La musica in televisione non funziona” è una convinzione sbagliata?
“Partiamo da questo: la televisione morirà molto presto, siamo agli sgoccioli. In America è già abbastanza morta. Ovviamente, esiste un pubblico a cui continua ad interessare ed i talent credo siano le produzioni che in assoluto funzionano di più. Qua in America il talent più visto è The Voice. In Italia credo sia ancora X Factor a livello di opinione, anche se gli ascolti sono minori: Forte Forte Forte aveva più ascolti di X Factor, ma i numeri non fanno opinione (ride, ndr). La musica in questo senso funziona, esiste nella vita delle persone e la competizione è sempre affascinante. La musica come videoclip, invece, non credo abbia più senso. I music videos, e quindi l’immagine curata dalla label, erano l’unico contatto che noi avevamo con gli artisti, non c’erano i social o altre occasioni. Funzionavano per questo. La musica ha futuro con gli ‘special’, la dimensione narrativa della musica tipo documentario”.
Capitolo Forte Forte Forte. Come lo ricordi?
“Un’esperienza pazzesca, nonostante gli ascolti deliranti. Ti racconto com’è andata: ero felice qua in America, mi chiamano: ‘Senti, devi venire a Roma perché c’è un progetto importante con Raffaella Carrà’. Sono partito, ‘sarà una figata allucinante’, mi sono detto. Poi la cosa è andata malissimo, avevo concepito l’esperienza quasi come un divertissement dalla mia quotidianità. E’ stato interessante far parte di un meccanismo così grande… ma mi è arrivata talmente tanta cacca che ho imparato una cosa fondamentale”.
Ovvero?
“Ho imparato a trasformare la cacca in cioccolato. Mi arrivavano veramente tanti insulti e critiche. In Italia, rispetto all’America, la gente è hater. Se fai una cosa figa o hai successo o fai il figo, ti odiano. Qua in America se hai una bella macchina o sei famosi, ti fermano e ti fanno i complimenti. L’approccio è diverso. L’Italia ha hating a prescindere: ‘Chi è questo?’, ‘Cosa vuole?’, ‘Perché sta qua’, ‘E’ raccomandato’. Mi avevano consigliato di non rispondere alle critiche, invece ho adottato una mia policy: ho risposto ad ogni singolo tweet. E’ stato così bello vedere come – uno a uno – tutti i detrattori si sono trasformati in supporters. Alla fine dello show non c’era una singola persona che parlava male su Twitter. Credo sia un bel messaggio: non prendiamoci sul serio, stiam parlando di televisione”.
E’ vero che ti vietavano di twittare?
“Ma va, nessuno mi ha mai vietato niente. Loro non erano molto contenti (ride, ndr), non perché andasse male l’attività social ma perché io stavo conducendo – pur mantenendo concentrazione e serietà – e appena si staccava la camera dovevo twittare una quantità impressionante di roba. Era diventato complicato, tutti erano in sbattimento totale. ‘Mancano quattro secondi’, mi gridavano, e io mi mettevo a scattare un selfie”.
Cosa non ha funzionato?
“Non era il programma della vita, ma non so perché sia andato così male. Il pubblico di Rai 1 ha un target particolare, non potevano fare qualcosa di estremo. E’ stato interessante e, anche se non nascondo che il programma andava malissimo, ho vissuto quest’esperienza con grande allegria. Poi ho conosciuto la Raffa, sono pure andato a vedere Sanremo a casa sua. Cosa può esserci di più speciale che mangiare la pasta al pomodoro e vedere Sanremo sul divano di Raffaella Carrà? E’ il sogno di tutti”.
Perché non hai fatto più nulla in tv?
“Non mi sono arrivate proposte degne di interesse o forse non sono arrivate proprio proposte. Penso comunque di essere un personaggio poco afferrabile da parte degli addetti ai lavori italiani perché mi esprimo in una certa maniera e faccio cose magari diverse, abitando in America. Forse mi sentono distante. Di fatto sono distante, sono a 14 ore di volo”.
La televisione, quindi, è un capitolo chiuso per te?
“Io non chiudo mai niente. Anzi, prima di fare Forte Forte Forte ero in discussione per fare altri programmi”.
Fuori i nomi. X Factor? The Voice?
“Queste cose così, i talent. Non voglio far nomi”.
Quindi cosa faresti?
“Se io abitassi in Italia, non aspetterei la chiamata di qualcuno. Investirei piuttosto le mie energie, le mie idee ed i miei soldi nel proporre e co-produrre un programma. Certo, qualora dovesse arrivare la proposta per un progetto davvero interessante o divertente, accetterei di corsa. A me piacerebbe fare un programma di interviste. Spesso i conduttori di late show – e non mi riferisco a qualcuno in particolare – non capiscono che gli ospiti devono uscire nel miglior modo possibile. Lo sostiene Jimmy Fallon e c’ha ragione. Noto spesso che i conduttori si concentrano su se stessi e hanno voglia di mettere in difficoltà l’ospite, ma il lavoro del conduttore è avere il maggior numero di informazioni sull’ospite e metterlo a proprio agio. Noi ‘vinciamo’ quando torna a casa soddisfatto”.