Publispei, Verdiana Bixio a Blogo: “Affrontiamo argomenti spinosi senza esprimere un giudizio. I Cesaroni? Innovazione diventata normalità”
La presidente di Publispei Verdiana Bixio ha parlato a Blogo delle difficoltà di produrre fiction tratte da format stranieri, del successo di Un medico in famiglia e di Amore pensaci tu, realizzata per Canale 5
La Publispei è una delle case di produzione di fiction italiane tra le più attive: rilevata da Carlo Bixio nei primi anni Ottanta, inizialmente si era specializzata nella produzione di grandi eventi televisivi, come alcuni Festival di Sanremo ed alcuni Eurofestival.
Solo verso la fine degli anni Novanta, la casa di produzione si cimenta con il mondo delle fiction, realizzando Un medico in Famiglia, diventato in breve tempo uno dei successi di Raiuno ancora in onda (la decima stagione andrà in onda prossimamente). Blogo ha intervistato Verdiana Bixio, diventata nel 2012 Presidente di Publispei, al lavoro nell’azienda del padre dal 2005.
A lei è toccato il compito di portare Publispei di fronte a nuove sfide, tra cui quella di riuscire a coniugare ancora temi provocatori ma mai volgari ed adatti a tutta la famiglia, come accaduto ne I Cesaroni, Tutti pazzi per Amore ed E’ arrivata la felicità, ma anche con Amore pensaci tu, nuova fiction che Publispei sta realizzando per Canale 5.
Suo padre Carlo rilevò Publispei negli anni ’80, puntando soprattutto inizialmente sulla produzione di grandi eventi televisivi: cosa ricorda di quei primi anni di attività?
“Ero una bambina, ricordo il gran lavoro, ricordo la musica e le sigle di testa del varietà, ricordo i corpi di ballo, i cantanti, le orchestre. All’epoca era quella la televisione”.
Prima di darsi alla fiction, Publispei ha prodotto numerosi show in Italia, tra cui alcune edizioni del Festival di Sanremo ed alcuni Eurofestival: innanzitutto, produrre spettacoli è più o meno complicato del produrre fiction?
“I Festival musicali sono sempre meravigliosi e magici, danno grande adrenalina, grandi emozioni e soddisfazioni immediate. Direi che è questa la differenza fra i due generi, non il livello di difficoltà ma la diretta: salti mortali perché, qualsiasi cosa succede, ‘the show must go on’ ed una grande soddisfazione quando tutto è andato secondo i piani! La lunga serialità ha una gestazione più lunga e la messa in onda è anche due anni dopo l’ideazione”.
Ora non vi occupate più di varietà: come mai?
“Istintivamente direi che la televisione è cambiata da allora. Semplicemente non è capitato”.
Sareste disposti a produrre nuovamente varietà se qualche broadcaster ve lo chiedesse?
“Le sfide sono sempre entusiasmanti!”
Dal 2012 è Presidente di Publispei: cosa ha cercato di portare di “suo” nell’azienda?
“Ho imparato l’etica del lavoro ed il mestiere dai miei genitori. Faccio parte di quella categoria di produttori cresciuti insieme alla televisione a colori, il Festival di Sanremo, la Corrida, ma anche alle anime e i manga. Per rispondere alla sua domanda: probabilmente la voglia di fare la televisione che mi piacerebbe vedere ed esportare. Lavorando con grande entusiasmo, facendo squadra. Se sono riuscita a portare tutto ciò, lo dovrebbe chiedere ai miei collaboratori. Spero proprio di sì”.
Passiamo alle fiction: avete esordito a fine anni Novanta con Un Medico in Famiglia, che divenne subito un successo. A cosa si deve la scelta di entrare nel campo delle fiction con questo titolo e con la lunga serialità?
“La famiglia ha un posto centrale nella vita degli italiani. Abbiamo scelto una bellissima famiglia che raccontasse l’amore, i papà, i nonni, i nipoti, le vite, i problemi e le gioie di tutti i giorni, con grande verità. La famiglia Martini è decisamente aspirazionale”.
Alcune delle vostre fiction lunghe (Un Medico in Famiglia, I Cesaroni ed il futuro Amore pensaci tu) sono format provenienti dall’estero; altre, invece (Tutti pazzi per amore, Lo zio d’America, E’ arrivata la felicità), sono produzioni originali: c’è qualche differenza quando si produce un format già esistente rispetto ad uno originale?
“È molto diverso. Soprattutto nelle modalità di costruzione del prodotto iniziale. Quando si riadatta un format, si parte da un prodotto già esistente che se da una parte ti offre una base di partenza dall’altra ha la difficoltà di riportare le storie all’interno della tua cultura, scrivendo un racconto che parla a noi e di noi. Nel caso di una serie originale la difficoltà sta nel creare un vero e proprio format, saper cogliere ed amalgamare gli ingredienti giusti, capaci di far sposare i gusti del pubblico con un elemento più tecnico, che ti fornisce la base per andare avanti nelle diverse stagioni. L’aspetto simile direi è saper donare ai personaggi verità e profondità, narrare delle storie che raccontino in qualche modo l’Italia”.
Voi collaborate sia con la Rai che con Mediaset: a livello produttivo, cambia qualcosa?
“Direi di no. Le strutture sono certamente differenti ma il nostro metodo produttivo rimane un marchio di fabbrica”.
Qual è la difficoltà maggiore nel realizzare una fiction?
“Sono davvero tanti gli aspetti da seguire dalla scrittura alla messa in onda di un progetto. Ma l’aspetto da tenere sempre ben presente è il concept della storia, il motivo che ti ha spinto a scegliere di raccontare il mondo che c’è dietro quella storia. Perché quello è il cuore pulsante di una serie. Difficile, se vogliamo, è rimanere sempre fedeli negli anni al format originario”.
Gran parte delle vostre fiction hanno anticipato alcuni temi diventati poi molto discussi dall’opinione pubblica: Un Medico in Famiglia ed I Cesaroni hanno introdotto la famiglia allargata, Il padre delle spose ed E’ arrivata la felicità il tema delle unioni civili, Amore pensaci tu i “padri-casalinghi”. Nonostante questo, riuscite sempre a raccontare storie che non cercano polemiche né suscitano scandalo tra il pubblico più conservatore: come ci riuscite?
“Non dimentichiamo mai che il prodotto audiovisivo entra prepotentemente nelle case di milioni di italiani e che le nostre serie televisive sono principalmente indirizzate ad un pubblico di famiglie. Abbiamo una platea trasversale, come si dice. Oggi più che mai, visto che lo spettatore sceglie il momento, il posto ed il device che preferisce per la fruizione di un contenuto audiovisivo. Detto questo nelle nostre fiction, da sempre, affrontiamo argomenti ‘spinosi’ ma lo abbiamo sempre fatto in modo naturale e soprattutto senza esprimere un giudizio, anzi abbiamo sempre cercato di essere propositivi affinché lo spettatore possa non solo riconoscersi ma comprendere un punto di vista diverso dal proprio”.
Questa domanda l’ho fatta anche a Luca e Matilde Bernabei ed a Pietro Valsecchi, è diventata una sorta di “tormentone”: quando si ha a che fare con una serie tv in onda da molti anni (come nel vostro caso Un Medico in Famiglia), si inizia a pensare a come concluderla, per evitare che venga cancellata senza un finale?
“Posso immaginare che le nostre risposte saranno simili. Le lunghe serialità affondano le proprie radici sulla prospettiva, sulla replicabilità. Hanno nel loro Dna il ‘finale aperto’ per ogni linea narrativa, per ogni personaggio; hanno la capacità di accoglierne di nuovi per ogni stagione. La questione non è pensare alla chiusura adatta ma è lavorare duro per proporre sempre nuove storie avvincenti, divertenti e che sappiano donare emozioni”.
Un Medico in Famiglia è ormai un appuntamento storico di Raiuno, che spesso ha visto numerosi cambiamenti nel cast: come si convince un attore a fare un’altra stagione di una serie tv così longeva?
“L’elemento importante è avere una bella storia! Pensiamo al cast storico di Medico: grandissimi nomi quali Lino Banfi, Milena Vukotic, Giulio Scarpati, Paolo Sassanelli e Eleonora Cadeddu, hanno fatto vivere allo spettatore la sensazione di far parte della famiglia proprio perché pilastri delle storie. Ciononostante si sono avvicendati in casa Martini molti dei più bravi attori italiani: penso a Claudia Pandolfi, Lunetta Savino, Ugo Dighero, Enrico Brignano, Margot Sikabonyi, Valentina Corti, Flavio Parenti ,Giorgio Marchesi, Pietro Sermonti e tanti tanti altri. Tutti hanno partecipato alla serie con grandi personaggi e grandi storie. Penso che per un attore questo sia stimolante ed appagante”.
E’ arrivata la felicità non ha ottenuto ascolti record, ma la Rai (ed anche la critica) ne ha gradito il linguaggio moderno vicino alla serialità americana: ci saranno cambiamenti per la prossima stagione?
“Credo che ‘È arrivata la felicità’ sia un ottimo esempio di come il servizio pubblico creda nella qualità, premiandola. Spesso fermarsi al dato di ascolto secco diventa riduttivo: infatti analizzando a fondo i dati, questa serie ha raggiunto un risultato migliore sul target commerciale della rete rispetto a tante altre serie tv di Rai Uno, trasmesse nel periodo autunno-primavera. ‘È arrivata la felicità’ è stato un grande successo di gradimento e coinvolgimento dello spettatore capace di entrare nell’immaginario collettivo. È anche un successo sul web ed in particolare sui social: prima ancora della messa in onda, durante la fase teasing quindi, abbiamo giocato sul tema della ‘felicità’. Questo ha incuriosito gli utenti facendo crescere l’attesa. La felicità è diventata un trend; le pagine hanno registrato numeri molto alti in termini di engagement, sfiorando i 200 mila utenti coinvolti a settimana. Di grande appeal sono stati i live tweeting che abbiamo realizzato durante tutte le puntate. In parallelo sulla pagina Facebook è stata eseguita un’attività di liveblogging. Tante sono state le iniziative intorno a questa serie. Altro dato interessante è l’età media degli utenti coinvolti che va tra i 16 e i 34 anni. All’interno della serie è presente una linea teen molto forte alla quale abbiamo dedicato due vere e proprie web serie per la piattaforma Ray aventi come protagonisti i ragazzi della serie madre. Entrambe le serie hanno partecipato al Roma Web Fest riscuotendo grandi consensi. Ho citato tutto ciò per far capire come oggi sia riduttivo analizzare la riuscita di una serie solo dal punto di vista degli ascolti, ma quanto sia invece importante valutare la capacità transmediale di un prodotto. È arrivata la felicità è tutto questo. Quindi, per rispondere alla sua domanda, quello che stiamo facendo assieme agli autori Ivan Cotroneo (anche ideatore del concept), Monica Rametta e Stefano Bises con la seconda stagione di È arrivata la felicità, è creare storie che possano coinvolgere ed emozionare il maggior numero di spettatori; lavorare sulla forza del format, del linguaggio e dello stile, implementando gli aspetti capaci di coinvolgere, divertire ed emozionare gli spettatori”.
I Cesaroni è stato un successo nelle prime stagioni, ma gli ascolti successivamente sono calati, portando alla cancellazione della fiction: secondo lei come mai il pubblico si è disaffezionato?
“Parlare di un calo di ascolti senza tener conto della programmazione del momento, del cambiamento di formato subito dal prodotto, senza contare l’andamento generale del calo fisiologico generale dell’auditel sarebbe sbagliato. La prima puntata de ‘I Cesaroni’ è andata in onda il 7 settembre 2006, l’ultima, della 6^ serie, nel 2014. Il pubblico è cambiato e così la sua composizione. Quello che era innovazione è diventato normalità. Inoltre le serie cosi longeve subiscono anche dei cambi di cast che inevitabilmente si ripercuotono sulle storie che non sempre vengono accettati dal pubblico. Una serie family si basa principalmente su un rapporto di fiducia e riconoscibilità del pubblico con il cast. I commenti più diffusi dei telespettatori quando ci si riferisce a serie come ‘I Cesaroni’ “o ‘Un medico in famiglia’ sono quelle di avere la percezione di far parte di quelle famiglie, piccole variazioni di storie possono variare generazioni di pubblico. Quindi non credo che si possa parlare come dice lei di disaffezione, ma li lo definirei più un calo legato ad un cambio generazionale, di rete e di prodotto. I Cesaroni rimane una serie televisiva di grandissimo successo, la prima davvero social ma soprattutto un evento sociologico. Critici di primo piano li hanno citati come caso unico nel panorama italiano per capacità di coinvolgimento del pubblico, dello sviluppo del fandom, dello sviluppo transmediale del marchio e della serie stessa. I Cesaroni è un esempio di vero e proprio brand. E non le sto qui a raccontare delle numerosissime lettere dei fan che continuano ad arrivare ogni giorno”.
Per Canale 5, però, ora state lavorando ad Amore pensaci tu: cosa ci può anticipare di questa nuova serie?
“Innanzitutto siamo contenti di continuare la collaborazione con Canale 5: questo testimonia la fiducia che la rete ha nei confronti di Publispei ed è questo quello che conta in un rapporto professionale, per quanto mi riguarda. In merito a questa nuova serie una notizia recentissima è il titolo italiano che sarà ‘Amore pensaci tu’, una frase che abbiamo scelto insieme alla rete per giocare ironicamente sullo scarico di responsabilità che spesso succede in una famiglia. Ne sono molto fiera perché parla di famiglie alle famiglie in maniera originale e sincera. Come nelle vite di tutti noi abbiamo divertimento, stress, incomprensioni e grandi amori. E’ una serie scritta da Fabrizio Cestaro, Giulio Calvani, Federico Favot e sapientemente diretta dai registi Francesco Pavolini e Vincenzo Terracciano. Abbiamo un fantastico cast artistico capitanato da Emilio Solfrizzi con Filippo Nigro, Fabio Troiano, Carmine Recano, Giulia Bevilacqua, Giuliana De Sio, Valentina Carnelutti, Martina Stella e Giulio Forges Davanzati, con un eccezionale gruppo di bambini!”
Ora vi state anche dando al cinema: quale futuro vede per Publispei?
“Vorrei che fosse una società sempre più dinamica, impegnata tanto nella televisione quanto nel cinema e il digitale. Lavoriamo tutti in questa direzione, con grande grinta e mi auguro che a tanto entusiasmo corrisponda tanta soddisfazione”.