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The Young Pope: recensione in anteprima delle prime due puntate della serie TV di Paolo Sorrentino

Debutto per Paolo Sorrentino in ambito in ambito televisivo. Il suo The Young Pope si pone come una parabola irresistibile su Potere e dintorni dritti nel cuore della Cristianità, tra intrighi e personaggi eccezionali

pubblicato 4 Settembre 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 20:48

a cura di Antonio Maria Abate, inviato al Festival di Venezia 2016

Piove a dirotto su San Pietro. Ma al nuovo Papa, Pio XIII, basta un gesto con la mano per diradare le nuvole e fare spazio ad un sole che preannuncia un pontificato destinato ad incidere profondamente sulla Storia della Chiesa. Finché l’inquadratura di Lenny disteso sul letto non mette in discussione tutto, il miracolo, il suo discorso, probabilmente tutto parte di un sogno oppure un incubo. Tutto eccetto una cosa. È davvero lui il Santo Padre. Uno dei più giovani di sempre.

A chi ancora coltivasse dubbi in merito al soggetto scelto da Paolo Sorrentino per questo suo debutto nel mondo delle serie TV, avrà da ricredersi da subito. Il regista partenopeo torna ad un ambito a lui congeniale, come prova luminosamente Il divo, ovvero il Potere. Cosa fa sugli uomini? E questi come vi si relazionano? Capirai, ancor più quando si tratta di un’Istituzione bimillenaria, che conta oltre un miliardo di aderenti nel mondo, quale è la Chiesa Cattolica. Sorrentino è affascinato da questi mondi paralleli, dai suoi riti ma ancor più da tutti quei meccanismi sottobanco, dalle dinamiche del Potere per il Potere su cui alla fine sta o cade la sopravvivenza del potentato di turno.

Tanto è stato detto e scritto, a tal punto che l’ipotesi di evitare in toto certa retorica su Clero e Gerarchia appare pressoché impraticabile; eppure The Young Pope, limitatamente ai primi due episodi, ci riesce. Il gusto per il racconto è più vivo che mai e Sorrentino dà l’impressione di aver fatto immediatamente suo il nuovo mezzo, per il quale scrive con una chiarezza ed un’abilità indiscutibili. Senza rinunciare alla sua prosa, al suo tenore pacato ma lapidario, sarcastico, venato di quello stravagante umorismo che è matrice di tutti i suoi lungometraggi, chi più chi meno. Non fatevi perciò fuorviare da chi, di nuovo, lamenta una presunta prevaricazione dello stile su tutto il resto: niente di più falso.

Sorrentino riesce a tenere a bada il proprio istinto “visionario”, la sua predisposizione per l’insolito, centellinando a dovere le uscite grottesche così come certe immagini tra l’onirico ed il fantastico. Che ci sono, e già all’inizio, proprio. Una storia del genere non è nemmeno immaginabile nell’arco ristretto di un film, adatta com’è al più ampio respiro di una serie con i suoi continui rovesciamenti, con la possibilità di costruire personaggi più convincenti e via discorrendo. Un tipo di trattamento che si addice molto all’ambiguità di Sorrentino, che in questo modo può giocare con loro, dare loro vita per mezzo di quelle sfumature che li rendono interessanti.

Prendete il Cardinale Voiello (anch’egli napoletano come la pasta, esatto), un Silvio Orlando sopra le righe, affarista e manovratore; neanche il tempo di organizzare l’elezione di Lenny Belardo che subito si rende conto di aver commesso un errore madornale: Pio XIII non è affatto il burattino che pensava. Fuma nel suo studio a dispetto delle disposizioni di Giovanni Paolo II, nomina la suora che l’ha cresciuto (Diane Keaton) aiutante personale, di fatto abolisce il merchandising etc. Le scelte di casting in generale sembrano da subito appropriate, nel peggiore dei casi promettenti: giusto per rimanere a Orlando, del suo personaggio si coglie quanto basta per capire che il temperamento di quest’attore ben si addice al ruolo che è chiamato ad interpretare, melanconico ma inesorabile. Uno scacchiere, questo si mostra sin da subito The Young Pope, in cui Sorrentino torna al thriller d’autore, dopo aver dato libero sfogo al proprio cinema, la cui impronta però è presente e si avverte.

Su tutti Jude Law è certamente il più azzeccato: il suo indecifrabile Pio XIII ribalta l’immagine affermatasi negli ultimi sessant’anni o giù di lì, di un Papa pacioso, conciliante; Lenny Belardo è una canaglia ed ha le carte in regola per rendere pan per focaccia ad una struttura consolidata come quella della macchina vaticana, capace di stritolare chiunque. Non Lenny, lui a quanto pare le cose le vuole cambiare sul serio, e per riuscirci due sono i capisaldi del suo pontificato: il primo, prendere atto di come viene portata avanti la battaglia in quell’ambiente ed adeguarsi, adottando le medesime tecniche e strategie così da partire quantomeno alla pari; il secondo invece passa dal ristabilimento della Santa Tradizione, da lui venerata con uno zelo che non si sa ancora se o meno sincero. Voiello, che stravede per il suo Napoli ed ha motu proprio elevato alla santità il Pipita (all’epoca evidentemente nemmeno Sorrentino è riuscito ad immaginare l’epilogo della vicenda Higuain), cerca disperatamente informazioni sull’alieno che è Pio XIII: alla domanda «orientamenti sessuali?», la risposta del suo sottoposto è «ignota. Costui sembra amare solo la Chiesa», al che Voiello, «eh ma la Chiesa è femmina».

Di mezzo c’è l’uomo, le sue fragilità, i suoi limiti; Sorrentino inserisce qua e là alcune immagini totalmente scollegate dal racconto, tese a dirci di più su questo misterioso personaggio senza però sbilanciarsi per nulla. Presumibilmente solo alla fine saremo in grado di unire i punti e dare consistenza a quello che per il momento è solo un bizzarro collage. Non che tutto dovrà per forza quadrare, come se si stesse volgarmente facendo di conto, ci mancherebbe: che il Papa faccia colazione solo con una Cherry Coke è divertente di per sé e non ha bisogno di alcuna spiegazione. Si tratta di quei piccoli-grandi accorgimenti che lo scrittore Sorrentino prende quasi con ingenuità, comunque irresistibile.

Peraltro colpisce l’intelligenza con cui viene fatta luce su alcune delle problematiche di questo inizio di XXI secolo, alle quali la Chiesa più prima che poi dovrà provvedere. In primis la frattura che in altri tempi avrebbe già dato luogo ad uno scisma nella migliore delle ipotesi, ovvero quella tra i fedeli alla Tradizione ed i cosiddetti novatores, i progressisti. Sorrentino offre un suo punto di vista, chiaramente parziale, ma non meno acuto, che filtra attraverso la sua immancabile ironia; che non è nemmeno così dissacrante come si sarebbe portati a pensare, sebbene chiaramente il nostro non lesini invettive non sempre “innocenti”. Quel che conta però è che certi elementi non sono lì per il gusto di stimolare gli spiriti bassi, poiché vanno inquadrati in un contesto ben più ampio, in cui tutto si tiene. Perché sì, questo è il Vaticano secondo Sorrentino, un mondo che funziona secondo delle logiche specifiche e in cui tutto si muove in accordo con queste leggi non scritte.

Manco a dirlo, la seconda puntata si chiude su un momento clou, un passaggio essenziale in cui si registra un’impennata formidabile, che praticamente ci riporta al punto di partenza, proprio quando credevamo di esserci almeno fatti un’idea di quanto stesse accadendo. Nulla da fare, toccherà attendere Ottobre. Nel frattempo di The Young Pope si può già affermare che sia una bomba. E questa è già una notizia.